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Letta salva Cancellieri, Ligresti l’affonda

Una classe dirigente putrida non riesce a mantenere neanche le apparenze, figuriamoci le “regole di malavita” che dovrebbero tenerla insieme.

Sapete tutti, fino alla noia, che Enrico Letta e Giorgio Napolitano hanno “blindato” Annamaria Cancellieri, inchiodandola sulla poltrona di ministro della giustizia con una sorta di “voto di fiducia” cui hanno costretto un Pd “stranamente” dubbioso sul conto del ministro.

Bene. Neanche il tempo di far votare a un parlamento di pupazzi contro la “sfiducia personale” – mozione presentata dal Movimento 5 Stelle – ed ecco che proprio colui per cui la Cancellieri è stata messa in croce (per alcune intercettazioni ormai famose in cui si metteva “a disposizione” della famiglia Ligresti) le dà la coltellata maligna, quella che fa più male (a lei e al Pd).

Ha dichiarato infatti Salvatore Ligresti:

“Mi feci latore, presso Silvio Berlusconi, del desiderio dell’allora Prefetto Cancellieri che era in scadenza a Parma e preferiva rimanere in quella sede anziché cambiare destinazione”.

La dichiarazione non è una battuta, ma sta a verbale nell’inchiesta milanese su Fonsai. E’ quindi ormai una “prova giudiziaria”, anche se ancora da soppesare come ipotesi di reato (la “raccomandazione”, in Italia, non lo è; altrimenti non ci sarebbero innocenti). Ligresti si è anche vantato, a verbale, del fatto che la segnalazione “ebbe successo”.

Il ministro di Grazia e Giustizia, che aveva appena ottenuto la fiducia alla Camera, si è difesa in perfetto stile berlusconiano “Qui c’è un accanimento che non ha limite, c’è un disegno che non comprendo”. E ovviamente smentisce come “falso e destituita da ogni fondamento” il contenuto dei verbali.

Negli interrogatori, Ligresti ricorda spesso la “particolare consuetudine” sempre mantenuta con Berlusconi: “Siamo amici di vecchia data, veniamo dalla gavetta e gli incontri sono tanto frequenti quanto informali. Con il presidente Berlusconi si parla di tutto. In ogni caso ricordo chiaramente di avergli presentato in più di un’occasione questo tema”.

Forse è qui la chiave del “disegno” che il ministro fa finta di non capire…

Per quanto riguarda la “qualità morale” della sua autodifesa, vi consigliamo di leggere il commento di Lucia Annunziata, sull’Huffington Post.

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Cancellieri, da Beppe Grillo al Marchese del Grillo. “Io sono io e voi…”

 

Il ministro di Giustizia ha ri-risposto al Parlamento.

Non che abbia spiegato di più nella sua ri-spiega. In compenso lo ha fatto col tono indignato di chi ci ha fatto passare direttamente da Beppe Grillo al Marchese del Grillo: “Io sono io e voi non siete un c… “.

Non che il tono sia un dettaglio. Un atteggiamento diverso avrebbe evitato di aggiungere l’umiliazione al danno che ha procurato al governo che la sta difendendo e al Pd che ieri ha versato al governo Letta un tributo di sangue che non riavrà indietro. Il ministro invece non si è avventurata su nessuno dei punti grigi del suo comportamento. Per esempio, la terza telefonata con Antonino Ligresti durata sei minuti e spuntata dai tabulati dopo il primo intervento in Parlamento, la ammette ma, come davanti ai giudici, con queste parole: “Mi inviò un sms, e io risposi”. Nemmeno stavolta dunque riesce a dire la parola “telefonata”.

Ha poi fatto ricorso a uno dei più abusati e ridicoli argomenti di chi è colto in flagrante conflitto di interessi: ha attribuito l’amicizia con Antonino Ligresti al marito, ed ha distinto fra Ligresti il delinquente in carcere e il Ligresti buono (Antonino) sulla base di una distinzione delle attività economiche dei due. Ci sarebbe un’interessante riflessione da fare sulla idea dei legami familiari che la Cancellieri ci ha proposto in questa visione (mogli e mariti che non si parlano, fratelli che non comunicano), ma ci accuserebbero di coinvolgere il “privato” in una questione politica – anche se il “privato” mi pare sia stato appunto l’ambito in cui è maturato quel rapporto speciale fra una famiglia di detenuti e il ministro di Giustizia.

Rimaniamo al pubblico dunque.

La signora Cancellieri, servitore dello Stato tanto apprezzata per tanti anni, conosce meglio di tutti gli altri le regole dell’etica pubblica. Sa bene che il ministro di Giustizia non dovrebbe accettare telefonate dai Ligresti e ancor meno accettare che il proprio marito faccia da intermediatore. Ci sono momenti fatali in cui l’amicizia diventa un conflitto di interessi.

Ma soprattutto il ministro avrebbe dovuto sapere che è stata salvata non perché davvero si considera impeccabile la sua condotta (che dolore sentire il buon Epifani che pure non l’ha sfiduciata, chiederle almeno “un qualche gesto” di riparazione, una qualche parole di scusa). Ma perché, come ha detto il principale dei suoi alleati, il premier Letta, si è voluto “un voto di sfiducia al governo”.

Un diverso atteggiamento avrebbe dunque facilitato l’assunzione della pillola, ma certo non avrebbe cambiato il risultato finale, che ha esposto in pieno tutte le contraddizioni del governo e di chi lo sostiene. Il Pd invece è caduto nella più classica trappola del doppio standard: a un amico si perdona cioè quello che non si perdona ad altri. E con quale gioia la nuova Forza Italia ha ballato su questa contraddizione votando con il governo e ricordandogli che anche Berlusconi è dunque una vittima. Convergenze che hanno fornito ottime ragioni alle denunce dei Pentastellati, e che ha inflitto l’ennesima amarezza agli elettori Pd.

Una giornata che nel suo insieme fornirà tanta ottima legna al falò della sfiducia del paese nei confronti delle istituzioni. Aspettiamo dal Colle qualche ulteriore articolazione della riflessione sulle radici del populismo e dell’antipolitica in Italia.

 

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