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La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni, come quella che porta a Cop26

Le emissioni globali di CO2 nel 1990 erano di 21,4 miliardi di tonnellate. Nel 2015 eravamo già a quota 36 miliardi di tonnellate. Secondo l’Ipcc Summary for Policymakers, bruciare combustibili fossili ha prodotto circa 3/4 dell’incremento di anidride carbonica negli ultimi 20 anni. Da allora, fenomeni quali lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento dei mari procedono a ritmi sempre più veloci.

Il riscaldamento globale provoca allo stesso tempo lo scioglimento delle calotte polari e dei ghiacciai. La combinazione di questi fenomeni fa aumentare il livello dei mari, causando alluvioni e fenomeni di erosione lungo le regioni costiere basse.

Il riscaldamento globale è in buona parte causato dall’aumento dei gas serra nell’atmosfera, causato dalle attività umane. Ma da quali attività?

Una delle stime più citate è quella del’IPCC che si basa sui dati del 2010: il 25% deriva dalla produzione di elettricità e calore, dalla combustione di carbone, gas naturali o petrolio; il 24% dall’agricoltura, dall’allevamento e dalla deforestazione; il 21% dall’industria; il 14% dai trasporti; il 6% dal consumo di combustibili fossili per uso residenziale e commerciale; e per il 10% da una serie di altre attività come l’estrazione di combustibili fossili, la raffinazione del petrolio, la sua lavorazione e il suo trasporto.

Per quanto riguarda il settore dei trasporti, invece, le stime più precise riguardano gli Stati Uniti, un paese che a differenza, per esempio, dell’Europa dipende in grandissima misura dalle automobili. Il 59% delle emissioni dovute ai trasporti è causato proprio da auto, furgoni e piccoli camion; il 23% da camion di medie e grandi dimensioni; il 9% dagli aerei; il 3% da barche e navi; il 2% dai treni; il 4% da altri mezzi di trasporto.

Sui settori dell’agricoltura, dall’allevamento e della deforestazione, ci sono i dati della FAO secondo la quale gli allevamenti contribuiscono per più del 14% al totale delle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo; di questa percentuale, il 65% è rappresentata dagli allevamenti di bovini, sia per la carne che per il latte (gli allevamenti per la carne però causano quasi il doppio delle emissioni di quelli per il latte).

Seguono, con il 9%, gli allevamenti di suini, con l’8% quelli bufali, con l’8% quelli di polli e galline, e con il 6% di altri animali da latte e carne (come pecore e capre). Per la maggior parte, le emissioni legate agli allevamenti sono causate dalla produzione di mangimi e dalla loro digestione, per il 45 e il 39 per cento rispettivamente.

A differenza degli altri settori, però, l’allevamento produce per la maggior parte gas serra sotto forma di metano (per il 44%), seguito da ossido di di azoto e anidride carbonica, entrambi sotto il 30%.

Mentre era già in corso la COP26, ovvero, la XXVI Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, programmata a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre 2021, sotto la presidenza del Regno Unito già, sulle principali testate, campeggiavano titoli come questo “Cop26, ultimatum sul clima: ‘Agire subito’. Ma India e Cina frenano” mentre, qui da noi, i TG mandavano in onda a ripetizione i discorsi di Boris Johnson e le dichiarazioni di Joe Biden.

E se uno non sapesse (ed i più non sanno) come stanno le cose davvero, crederebbe che siamo arrivati al punto in cui siamo arrivati per esclusiva colpa di India e Cina.

Certo, India e Cina sono due grandi paesi inquinatori, ma lo sono diventati solo negli ultimi decenni ed è inevitabile che in cambio di un rallentamento della loro corsa allo sviluppo esigano una qualche forma di compensazione.

Resta comunque il fatto che, al netto di ogni altra considerazione, un cittadino medio statunitense ha un impatto negativo ambientale 18 volte maggiore di un cittadino cinese.

Inoltre, la lobby dei petrolieri(in testa arabi e statunitensi) continua a ricevere sovvenzioni per 400 miliardi di dollari l’anno. E che vi sia stata una pressione da parte di questi enormi gruppi di interesse sugli esiti della conferenza di Glascow, lo certifica la fuga dei documenti di Cop26 avvenuta qualche tempo prima del suo inizio.

Si sapeva per certo che i Paesi produttori di combustibili fossili e di carne volevano annacquare il rapporto #Ipcc sul #clima. Secondo Greenpeace che ha rivelato in un rapporto i dettagli della fuga di documenti “… l’azione è stata condotta da Brasile, Argentina, Australia, Giappone, Arabia Saudita, OPEC e le lobbies dei combustibili fossili, dell’agroindustria e del nucleare contro l’azione climatica.”.

Alla fine di Cop26 di Glasgow, oltre cento leader del mondo, che guidano i Paesi ospitanti l’86% delle foreste del globo, si sono “impegnati a stroncare la deforestazione entro il 2030“. E sono sempre 100 i Paesi che hanno aderito all’iniziativa globale per ridurre del 30% le emissioni di metano entro il 2030.

E mentre il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, tirava le conclusioni della conferenza, gli attivisti del gruppo “Exctinction Rebellion” manifestavano fuori dalla sede della JP Morgan, nel centro di Glasgow, per protestare contro il ruolo della banca statunitense nel finanziamento di progetti sui combustibili fossili.

E qualche giorno prima, a Bruxelles, nel cuore delle istituzioni europee, un gruppo di attivisti ha fatto sentire la propria voce mostrando quello che restava di un’automobile distrutta dalle forti alluvioni che quest’anno hanno colpito parte dell’Europa. “Quella che vedete è un’auto che arriva dalla Vallonia dove quest’estate ci sono state enormi inondazioni causate anche dal clima impazzito”, ha fatto notare Frank Vanaerschot, portavoce dell’Ong FairFin.

La manifestazione si è tenuta davanti alla Banca Centrale Europea che è al centro del Sistema europeo delle banche centrali e, come tale, fa parte di un sistema finanziario che sta inondando l’economia: “Il sistema finanziario ha un impatto fondamentale sul cambiamento climatico e la BCE ha versato migliaia di miliardi di euro a un sistema finanziario senza tenere conto di quello che sta accadendo al nostro Pianeta”, ha concluso Vanaerschot.

Anche a Parigi gli attivisti ambientali si erano mobilitati con una vivace protesta davanti alla Place de la Bourse, la famosa Piazza della Borsa. Un modo per denunciare il finanziamento da parte delle banche della multinazionale petrolifera francese Total. La compagnia recentemente è stata accusata di aver minimizzato il rischio climatico dei combustibili fossili per decenni.

Nonostante le altisonanti dichiarazioni di intenti, Cop26 ha assunto solo “impegni” su deforestazione e metano, ma non ha intrapreso tutte le altre azioni urgenti, concrete e vincolanti che la gravità della situazione climatica in atto imporrebbe.

Se, da un lato, sono stati alzati gli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti, dall’altro, sono stati allungati notevolmente i tempi in cui tali obiettivi dovrebbero essere raggiunti. Per dirla in soldoni, è stata buttata la palla lontano senza tenere conto della drammatica urgenza del problema globale dl cambiamento climatico e delle conseguenze che si stanno già dispiegando in tutta la loro potenza distruttrice.

Per dirla con il geologo e divulgatore scientifico, Mario Tozzi, “Al G20 si accordano per non superare 1,5°C di incremento della T atmosferica entro il 2050. Chi glielo dice che siamo già ben oltre i 2°C di previsione e nessuna misura concreta è in atto? Io dico, ma loro quanto parlano a vuoto?”.

E a poco è servito il grave monito del segretario generale dell’Onu, Guterres, lanciato appena una settimana prima di Cop26: “Siamo sulla buona strada per la catastrofe climatica. L’era delle mezze misure e delle false promesse deve finire”, aveva detto il segretario.

Ma, come disse Antonio Gramsci, la storia insegna, ma non ha scolari.

Mentre i leader dei Paesi più ricchi parlavano solo di soluzioni tecniche e capitolavano dinanzi agli interessi delle grandi multinazionali, il neo presidente della Bolivia, Luis Arce, intervenendo alla COP26, ristabiliva il primato della politica e univa la sua voce a quella dei movimenti internazionali affermando che “la soluzione alla crisi climatica non verrà con più ‘capitalismo verde’ o mercati internazionali per il carbone. La soluzione sta in un cambio di civiltà: incamminarsi verso un modello alternativo al capitalismo”.

Ma, viste le magre conclusioni della conferenza sul clima di Glasgow, pare proprio che non ci sia catastrofe climatica ed ambientale in grado di far cambiare registro ai potenti della terra e di farli uscire davvero dal solito tragico bla, bla, bla. E intanto piangiamo i morti, osserviamo la desertificazione che avanza, assistiamo al fuoco e alle inondazioni e alla distruzione della terra.

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