Nell’ultimo rapporto dell’Ispra – Tea-Transizione ecologica aperta. Dove l’ambiente italiano? – ci sono informazioni e spunti degni di attenzione. In particolare sulla situazione nelle metropoli. L’Italia è un paese fortemente urbanizzato, più di un terzo della popolazione si concentra nelle sue 14 città metropolitane.
Sempre più allarmante – secondo l’Ispra – è il fenomeno dell’isola di calore urbano: cementificazione, scarsità di aree verdi, utilizzo dei sistemi di riscaldamento e raffrescamento degli edifici sono tra i principali responsabili dell’aumento delle temperature dei centri cittadini fino a 4-5°C in più rispetto alle aree periferiche. In generale quanto più grandi e compatte sono le città, tanto maggiore è l’intensità del fenomeno isola di calore. Il 2020 ha chiuso il decennio più caldo di sempre, con anomalie medie annuali comprese tra +0,9 e +1,71°C. Anche la temperatura superficiale dei mari italiani negli ultimi 22 anni è stata sempre superiore alla media.
Ed è stata proprio l’espansione del cemento a rendere le cose ancora peggiori. Nonostante una leggera flessione a partire dal 2012, il consumo di suolo in Italia è ancora forte: 60 chilometri quadri l’anno ovvero 15 ettari al giorno. Quanto al dissesto idrogeologico, secondo il rapporto dell’Ispra sono tante le costruzioni, abitazioni, attività produttive, infrastrutture di ogni tipo, che aggravano il fenomeno e i suoi costi umani ed economici.
Negli ultimi 20 anni, i danni per gli eventi idrogeologici, stimati in oltre un miliardo di euro l’anno, sono stati di gran lunga superiori agli investimenti per interventi di mitigazione del rischio frane e alluvioni, pari in media a circa 300 milioni. Solo negli ultimi tre anni gli investimenti hanno raggiunto il miliardo l’anno: ancora poco, tenuto conto che il fabbisogno per il territorio italiano è di 26 miliardi.
La percentuale di territorio coperto da aree boschive è oggi pari al 37% della superficie nazionale, un valore superiore a quello di due paesi europei tradizionalmente forestali come Germania e Svizzera, entrambi al 31%. Dal secondo dopoguerra ad oggi le foreste italiane sono aumentate costantemente, passando 5,6 a 11,1 milioni di ettari. La crescita, avvenuta a spese delle superfici agricole e di terreni naturali e semi-naturali, ha subìto un’accelerazione negli anni più recenti: dal 1985 al 2015 le foreste hanno avuto un incremento pari al 28%.
Anche le aree protette terrestri e marine sono molto aumentate dagli anni ’70 per numero ed estensione. La superficie protetta a terra tocca il 20% di quella nazionale. Quella marina copre oltre il 19% delle aree di mare a giurisdizione italiana; cifra che comprende, oltre a quelle protette, le aree sottoposte a speciali misure di conservazione. Manca ancora un 10% per raggiungere il target europeo fissato al 2030 (30%), ma sono già previste 23 nuove aree marine protette.
Ci sono poi notizie più confortanti sulle emissioni. Negli ultimi 30 anni, scrive il rapporto dell’Ispra. le emissioni di gas serra prodotte dall’Italia si sono ridotte del 19% rispetto al 1990. Negli stessi anni è anche aumentata la quantità di anidride carbonica assorbita dalle foreste e dai suoli, contribuendo in modo significativo a combattere i cambiamenti climatici. La riduzione delle emissioni è avvenuta soprattutto grazie ai grandi utilizzatori, che dispongono delle risorse necessarie per investire in nuove tecnologie più efficienti: diminuite le emissioni del 46% nell’industria manifatturiera e del 33% nelle industrie energetiche. Meno bene, invece, nei trasporti e negli edifici, dove i costi ricadono più direttamente sulle spalle dei cittadini.
L’Italia si trova al centro del bacino del Mediterraneo – rammenta l’Ispra – dove l’impatto dei cambiamenti climatici sarà presumibilmente più intenso e potenzialmente disastroso a causa dell’elevata vulnerabilità dell’area”.
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