“Fahrenheit 451 è ancora molto attuale. In molti modi. E non solo per quelli legati alla politica, alle dittature che ancora nel mondo pensano di poter controllare il pensiero umano, decidendo cosa i cittadini possono leggere e cosa no. Basta guardare quello che è accaduto negli Stati Uniti: qui i libri non li brucia nessuno, la censura non esiste, abbiamo la libertà di scrivere e di leggere tutto quello che vogliamo, ma allo stesso tempo non è esattamente così perché negli ultimi decenni il nostro sistema educativo è stato distrutto, le generazioni più giovani non sanno cosa voglia dire leggere o scrivere. Non volevamo farlo ma stiamo facendo diventare la società americana come quella di Fahrenheit 451, una società nella quale per essere davvero liberi dovremmo imparare a leggere e scrivere di nuovo.” (Ray Bradbury, 2003)
In un futuro non precisato i pompieri, anziché spegnere gli incendi, li appiccano per bruciare i pochi libri rimasti in circolazione. Chi li legge è un emarginato, un disadattato, un sovversivo che merita il carcere o peggio ancora la morte. Siamo in un futuro dove si ha paura di fermarsi a pensare, un futuro in cui di giorno le strade sono piene di macchine che sfrecciano ad altissima velocità e di notte, lungo i marciapiedi, non c’è un’anima. La notte si guarda la tv, poi ci si addormenta con le cuffie ascoltando la radio. Pensare rende tristi. Del resto la felicità è a portata di mano, la tv trasmette immagini di persone sorridenti tutto il giorno, commedie e intrattenimento fanno il resto. Lo svago è tutto, l’ignoranza è un bene. Bisogna nascondere sotto il tappeto i problemi, i dubbi, le contraddizioni, e visto che ci siamo anche il pensiero critico. Per fare ciò è stato necessario eliminare tutto ciò che induce le persone a pensare, come le panchine, i giardinetti e le sedie a dondolo perché queste “sono troppo comode” e “la gente deve stare in piedi, deve correre tutto il santo giorno”. Insomma, perché i libri sono stati banditi? Perché i libri rendono la gente apprensiva, squilibrata. Perché sia mai che il lettore si commuova leggendo una poesia, il pianto è una cosa dolorosa, da combattere. Perché un libro è una potentissima fonte di instabilità politica. Pensate che la lettura di un libro può addirittura cambiare le idee di una persona. Tremendo, vero?
A dirla tutta, in Fahrenheit 451 la scomparsa del libro è solo l’atto finale di un processo culturale che vede innanzitutto il dilagare della tv coi suoi migliaia di programmi di intrattenimento insieme al sopraggiungere di una stampa e un’editoria sintetizzate al massimo. Bombardando i lettori di centinaia di notizie senza importanza gli danno l’impressione di essersi informati a dovere. Gli articoli sono tanti ma brevi, spesso c’è solo il titolo, si sa tutto e non si sa niente.
Woody Allen disse “leggo per legittima difesa” e non aveva tutti i torti. Tra i tanti motivi, bisogna leggere per preservare la mente. Preservarla dai luoghi comuni, dalle idiozie della televisione, dall’apatia mentale, dal punto di vista unico dominante. Cosa rende diversa una storia letta da una vista alla tv? Prima di tutto la televisione è un piccolo dittatore a cui è difficile resistere, ti si spara addosso con una tale potenza, con la sua luminosità, la sua musica e i suoi colori che appena l’accendi ti si riversa dentro quasi senza resistenze. La tv ti fa vedere le cose a modo suo, mentre un libro te le fa pensare a modo tuo. Poi, nei libri non ci sono messaggi subliminali. A che altro sevono i libri? Beh, per avere una memoria, per non ripetere gli errori del passato. E per nutrire il cervello, diamine.
Nelle disavventure di Guy Montag, il pompiere che per tutta la vita ha bruciato libri salvo poi tornare sui suoi passi, compare sullo sfondo lo scoppio imminente di una guerra mondiale, perché “chi non crea non può fare a meno di distruggere, è una cosa antica come la storia e la delinquenza minorile”.
I personaggi sono pochi, la storia è semplice e diretta, non a caso è il libro di fantascienza più letto in assoluto (ops, ho detto fantascienza, ora non lo leggerà più nessuno). Da un lato c’è Montag il pompiere, personaggio che più azzeccato non si può. Bradbury avrebbe potutto scrivere l’ennesimo libro in cui il popolo esplode in una rivoluzione materiale assediando i palazzi del potere, invece ha voluto rappresentare una rivoluzione ancora più profonda, una rivoluzione interiore, di pensiero. Poi c’è Clarisse, la ragazza che Montag incontra spesso mentre torna dal lavoro. Clarisse è ritenuta pazza da genitori e insegnanti, perché le piace passeggiare, leggere e sentire la pioggia caderle addosso quando piove e addirittura le piace socializzare, dare attenzione al prossimo, per non parlare del fatto che si ostina a mantenere una propria individualità invece di mescolarsi con la massa. C’è anche Faber, anziano professore dell’università che non ha mosso un dito, all’epoca, mentre lo sfacelo culturale si stava compiendo, per cui è soffocato dai rimorsi. Infine abbiamo il capitano Beatty, il superiore di Montag, che cerca in tutti i modi di riconvertire Montag con argomentazioni forbite in favore della distruzione dei libri. Dunque, in questo romanzo non assistiamo a una rivoluzione di popolo contro un esercito governativo o roba simile, ma a una rivoluzione interiore di un singolo uomo contro un nemico che non può essere altro che un nemico psicologico e concettuale come il capitano Beatty, il quale rappresenta il nemico per eccellenza, quello che alberga dentro ognuno di noi.
Libro da assumere in dose doppia o tripla a seconda delle preferenze. E ricordate che Ray è vivo e se la spassa insieme a noi.
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