Anzitutto, il nuovo film di Moretti, Santiago, Italia, non si può considerare veramente un documentario, come invece viene catalogato nei diversi siti internet di programmazione cinematografica. Non lo è perché non ha l’intenzione di documentare oggettivamente alcunché, aggiungendosi alla quantità di libri e film che hanno trattato del golpe dell’11 settembre 1973. Santiago, Italia è piuttosto un film di memoria, realizzato montando una serie di interviste a militanti che vissero i giorni del golpe cileno e il periodo successivo della dittatura e dell’esilio. Interviste che in gran parte sono dei frammenti autobiografici che hanno la forza e suscitano l’emozione caratteristica della storia orale.
Frammenti di vita che vengono inquadrati nella storia delle giornate del golpe e della dittatura attraverso il confronto con immagini di filmati dell’epoca: i discorsi di Allende, compreso il suo ultimo, dalla Moneda in fiamme, il bombardamento del palazzo presidenziale, la repressione degli oppositori.
Tuttavia, ciò che resta più impresso nello spettatore sono i racconti dei protagonisti del film, che narrano come ciò che considerano il momento più bello e gioioso della storia del Cile, i giorni in cui la “speranza era oggi, non domani” si mutarono improvvisamente nell’inferno del fascismo.
La grande maggioranza delle voci presenti nel film è di militanti politici della sinistra cilena, ma Moretti ha voluto intervistare anche due militari che ebbero parte nel golpe e nel regime di Pinochet, uno dei quali si duole di essere stato condannato per omicidio e sequestro di persona. Dare la parola ai carnefici, potrebbe essere una scelta rischiosa ma nel contesto del film non è affatto così. Infatti, intervistare quei due personaggi quando ormai la storia ha espresso un giudizio sul golpe cileno e il regime di Pinochet, mette ancor più in luce l’inconsistenza umana e politica dei due militari, il secondo dei quali a un certo punto si scompone lamentando di essere stato invitato a un’intervista che credeva “imparziale” ma che così non gli sembra. E’ il solo momento, a parte una breve sequenza iniziale, in cui Moretti appare in immagine, di fronte all’ex militare per dire la sola frase “Io non sono imparziale”. Peraltro, non deve stupire che tali personaggi non mostrino alcun pentimento, in Italia siamo ben abituati ai reduci di Salò che rivendicavano la loro scelta di collaborare con i nazisti.
Buona parte degli ottanta minuti del film è costituita dalla ricostruzione della vicenda che vide l’ambasciata italiana a Santiago rifugio di centinaia di militanti e oppositori del regime che, per salvarsi, saltavano il muro del giardino della sede diplomatica. Quel “salto” significava salvarsi, essere protetti, potere avere un futuro anche se in un paese straniero. Diverse ambasciate furono il luogo della salvezza per molti cileni, ma la sede diplomatica italiana fu quella che più a lungo restò aperta ai profughi e si dimostrò più accogliente, tanto che si conta che varie centinaia di persone ebbero salva la vita “saltando” il muro del suo giardino.1 Non mancarono anche, in quei momenti, le paure di assalti alla rappresentanza italiana di squadroni paramilitari, né le intimidazioni e le provocazioni, la più cinica delle quali fu attuata gettando nel giardino dell’ambasciata il corpo di Lumi Videla, militante del MIR, uccisa dai militari, ma che nella versione ufficiale della giunta golpista sarebbe morta durante un’”orgia”, barbaro stratagemma per mettere in difficoltà i diplomatici italiani. Diplomatici che avevano oltretutto uno statuto piuttosto precario, dato che il governo italiano non aveva riconosciuto la giunta militare e quindi non godevano di accredito ufficiale.
E’ stato chiesto a Moretti perché abbia girato Santiago, Italia proprio in questo momento. La domanda non mi sembra particolarmente interessante, poiché il lavoro di Moretti è un bel film di memoria che sarebbe valsa la pena di girare in ogni momento del passato e del futuro, soprattutto a vantaggio delle generazioni più giovani.
In un’intervista televisiva Moretti ha però affermato di avere colto il motivo per cui ha girato questo film proprio oggi a posteriori, quando, a riprese ultimate, Salvini è diventato ministro degli Interni.
Al di là della battuta polemica, è chiaro che il film è nato anche per entrare nella questione dell’accoglienza dei rifugiati, della solidarietà internazionale e dell’umanitarismo. Un film è tale anche per il suo montaggio e non è certo casuale che l’intervista conclusiva sia a un rifugiato cileno che, rimasto in Italia, ne confronta la realtà del 1973 con quella odierna. Un’Italia in cui, nel 1973 erano presenti, dice l’intervistato. solidarietà e democrazia, valori oggi dissolti nell’individualismo.
Su questo tema vale la pensa di spendere qualche parola. Non credo si possa affermare che il governo italiano del settembre 1973, guidato da Mariano Rumor, già premier ai tempi della strage di Piazza Fontana e legato a doppio filo agli USA, ideatori del golpe cileno, fosse di per sé più “democratico” e “umanitario” di quello di oggi. Ciò che era diverso era il contesto politico generale, la situazione del conflitto di classe. L’Italia del 1973 era un paese dove esisteva un forte conflitto di classe, che si manifestava nelle lotte operaie e studentesche che avevano anche una decisa caratterizzazione internazionalista, basti pensare a quante iniziative si tenevano ogni settimana contro l’aggressione americana al Vietnam o in favore del popolo palestinese. In quel contesto, l’esperienza di Unidad Popular fu vissuta come propria non solo dalla cerchia dei militanti, ma più in generale a livello di massa. Parafrasando quanto viene detto da una militante cilena, nel film, anche l’Italia, o una sua buona parte, era “innamorata” di Allende. Fu quindi normale, logico, che dopo il golpe gli esuli cileni fossero accolti calorosamente in Italia, da alcuni per ragioni semplicemente umanitarie, ma da molti altri per un senso di internazionalismo di classe. La forza del movimento popolare era, allora, un contrappeso al governo democristiano2, che ne dovette tenere conto.
Oggi le cose non stanno come nel 1973 e se l’Italia è meno accogliente di quella di quarantacinque anni fa, è per le diverse condizioni del conflitto di classe, per la sconfitta dei movimenti popolari e per la conseguente cancellazione della cultura della sinistra nel comune sentire popolare. Quanto abbia contribuito a questa situazione la politica della sinistra stessa, non lo si può chiedere a Moretti, che aspettando da decenni che si dica “qualcosa di sinistra” continua a dichiararsi fedele elettore del PD. Ognuno ha le proprie ossessioni, comunque Santiago, Italia, è un bel film che non è, e non potrebbe, proporre analisi politiche della storia italiana.
Concludo con una citazione dal film. Uno dei diplomatici che furono protagonisti della vicenda del 1973, ricorda che il muro che circondava l’ambasciata era alto solo un paio di metri, fatto che ne rendeva facile lo scavalcamento. Oggi il muro dell’ambasciata è stato alzato, è molto più alto. Sarebbe assai difficile superarlo. Un caso?
1 La storia di quei mesi all’ambasciata italiana di Santiago è stata raccontata in un libro da uno dei diplomatici che ne furono protagonisti. Emilio Barbarani: Chi ha ucciso Lumi Videla?, Milano, Mursia, 2012
2 E’ bene ricordare che la Democrazia Cristiana cilena esercitò un’opposizione ai limiti della democrazie al governo di Unidad Popular , tanto che si può sostenere una sua indiretta responsabilità nel golpe.
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Sol
Un’altra “piccola” differenza tra il 1973 e l’oggi è che i rifugiati salvati dall’Ambasciata d’Italia a Santiago furono alcune centinaia. Quanto al numero di migranti sbarcati in Italia negli ultimi anni, si è superata quota 100.000 per quattro anni consecutivi, dal 2014 al 2017. Non tutti restano in Italia, ovviamente, ma molti sì ( e comunque anche i rifugiati cileni spesso passavano dall’Italia per poi andare in Nord Europa).
Resta il fatto che tra i due casi (1973 e un qualsiasi anno dal 2011 ad oggi) c’è almeno un ordine di grandezza di differenza e a volte più di due. Resta anche il fatto che negli ultimi anni l’Italia ha comunque concesso lo status di rifugiato a molte più persone di quanto succedesse negli anni ’70. Magari non l’ha fatto con sufficiente frequenza, ma l’opposizione tra un’Italia generosa degli anni ’70 e quella egoista di oggi non mi pare giustificata, almeno non nei termini manichei che traspaiono dal film di Moretti.
http://espresso.repubblica.it/internazionale/2012/02/28/news/cosi-l-italia-salvo-750-cileni-1.40780
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