“Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini”. È la frase scritta nel 1817 da Heinrich Heine che l’artista israeliano Micha Ullmann scelse per introdurre il memoriale Versunkene Bibliothek di Berlino, biblioteca di 50 metri quadrati con gli scaffali completamente vuoti in Bebel Platz, a pochi passi dall’Unter den Linden di Berlino, e a pochi metri dall’Università Humboldt.
Qui, la sera del 10 maggio 1933, il ministro della Propaganda del Terzo Reich, Joseph Goebbels, con un un’infuocato discorso, incitò gli studenti della Deutsche Studentenschaft al rogo dei libri usando queste parole: “i roghi sono un ottimo modo per eliminare con le fiamme lo spirito maligno del passato!”.
Nel grande rogo rituale che ne seguì, furono bruciati tutti i libri sgraditi al nazismo. Il consolidamento del potere non passava, infatti, solo attraverso la soppressione della democrazia e del sistema parlamentare, ma anche attraverso la conquista della cultura perché questa potesse finalmente “esprimere l’identità e lo spirito del popolo tedesco”.
Nei giorni scorsi, la Digos (la “polizia politica”, si) ha sequestrato tutto il materiale e i dispositivi a Paolo Persichetti, giornalista, ricercatore e storico che, da decenni, svolge un infaticabile, eccellente e rigorosissimo lavoro di ricostruzione storica di uno degli eventi chiave della storia recente di questo paese – il rapimento e l’uccisione dell’ex presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro – confutando e smontando minuziosamente, pezzo per pezzo, le tragicomiche versioni che, di volta in volta, vengono diffuse da quella sorta di circo Barlum che sono sempre state le varie commissioni parlamentari sul caso Moro.
Quellesempre a caccia di “rivelazioni misteriosofiche” che possano, in un qualsiasi modo, ridare un po’ di fiato alle mirabolanti, strampalate teorie dietrologiche miranti unicamente ad accreditare la favolosa tesi che tutto (ma proprio tutto), alla fine degli anni settanta, sia stato determinato, financo nei minimi particolari, da un “grande complotto internazionale ordito da forze oscure” per far fallire lo storico incontro delle masse democristiane con quelle comuniste, ovvero, tra la Democrazia Cristiana ed il Partito Comunista Italiano.
Un mito sempreverde in cui affonda le proprie radici la periodica riproposizione dei governissimi, dei governi tecnici e di quelli delle larghe intese sostenuti dagli acrobatici trasformismi di tutte le forze politiche principali, che, in nome del superiore “interesse nazionale” continuano nella costante opera di prosciugamento dei diritti e delle conquiste dei decenni precedenti e di strenua difesa di privilegi, profitti e rendite delle caste padronali saldamente al comando del paese e dei partiti, sempre al loro servizio.
I governi di unità nazionale, oggi come allora, si reggono sul conformismo, sull’unanimismo e sullo schiacciamento, poliziesco, mediatico e de facto, di ogni voce di dissenso, sia sul piano politico e sociale che su quello culturale.
E quel che è capitato a Paolo Persichetti (ma non solo a lui) si inserisce in un piano di rilettura di Stato degli ultimi 60 anni di questo paese ed in una più ampia manovra repressiva retrodatata, in atto da tempo che mira, in modo lucido e spietato, alla damnatio memoriae di tutti quei protagonisti di allora che hanno ancora qualcosa da dire di molto diverso dalle verità ufficiali di Stato.
Per portare a compimento il processo di rimozione collettiva definitiva – coatta e dall’alto – il potere costituito deve impedire ogni tentativo di ricostruzione storica indipendente del conflitto sociale e politico degli anni settanta. Un periodo della storia di questo paese in cui i rapporti di forza tra le classi si rovesciarono per lungo tempo a favore delle masse popolari.
Un periodo di cui il potere esige, ora, la totale rimozione, né più, né meno, di quanto Erdogan esiga la rimozione del genocidio armeno o Israele l’esistenza del popolo palestinese.
Come in “Fahrenheit 451”, romanzo fantascientifico-distopico di Ray Bradbury del 1953, noto ai più nella traduzione cinematografica che ne fece Francois Truffaut nel 1966, si vogliono distruggere libri, sovversivi per definizione, perché raccontano una storia diversa da quella dei vincitori e che, per ciò stesso, possono essere da monito per il potere, esempio per le nuove generazioni e fondamenta per nuovi progetti di riscatto e di liberazione dalle catene di un eterno presente senza più sogni né storia.
Nella fiduciosa attesa delle manifestazioni di accorato sdegno, delle prese di posizione del mondo accademico e della libera ed indipendente intellettualità italica in difesa della libera ed indipendente ricerca in qualsiasi campo della umana scienza et conoscenza, esprimo piena solidarietà a Paolo Persichetti.
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