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“L’attacco si estende alla memoria storica degli sfruttati”

“Mi domando che cosa c’è dietro questa perquisizione a Paolo Persichetti se non la volontà di farci stare zitti, di non raccontare quella storia degli anni ’70 con tutti gli errori, e con tutte le contraddizioni, ma è una storia politica di questo paese”. Intervista a Luciano Vasapollo, realizzata da Alex De Gironimo, de Il Faro di Roma, sull’incredibile perquisizione e sequestro del materiale di ricerca a danno di Paolo Persichetti.

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Pochi giorni fa è avvenuto un fatto sconcertate. Un nostro compagno di viaggio, della generazione successiva alla mia, e che è stato come me un detenuto politico e oggi fa il giornalista d’inchiesta, Paolo Persichetti, ha subito una strana perquisizione da parte di agenti della Polizia su mandato di un magistrato che lavora alla Procura di Roma”, racconta il professor Luciano Vasapollo, ordinario di Economia alla Sapienza, intervistato da FarodiRoma al suo rientro da Bologna dove è intervenuto a una manifestazione pubblica a sostegno di Persichetti e dei presunti terroristi di cui la Francia ha promesso l’estradizione in Italia (giuridicamente difficile da concedere).

Di che cosa è stato accusato Paolo Persichetti?

Paolo ha pagato duramente con il carcere e poi la semilibertà pur non avendo commesso reati di sangue. Oggi è accusato nuovamente di “associazione sovversiva”, laddove non ci sono fatti concreti e nemmeno i nomi di altri associati.

Né è spiegato in che modo avrebbe promosso azioni sovversive, se non ricercando e raccontando gli anni di piombo e le contraddizioni dello Stato che avrebbe dovuto difendere la Costituzione invece a suo tempo l’ha sospesa per varare le leggi speciali che consentirono le condanne di compagni che non avevano commesso reati di sangue.

Purtroppo anche oggi c’è un piano generale di imporre (in Italia e nel mondo) quella dei potenti come unica verità possibile e, di conseguenza, reprimere qualsiasi possibilità di vivere contro e di non omologare il pensare.

Si vogliono colpire le giovani generazioni che vogliono percorrere il conflitto ancora prima che possa manifestarsi. È l’attacco preventivo alla possibilità di un altro mondo fuori dalle spietate leggi del capitale, è la strategia della comunicazione deviante per il controllo totale delle vite, dentro un quadro dove la memoria storica del vivere diversamente e in conflitto contro la piattezza della realtà che vogliono imporci e che le figure rivoluzionarie siano ricondotte dentro un quadro di subalternità o follia e ridotte alle varie forme delle moderne schiavitù.

Professor Vasapollo, ma è possibile opporsi a una tale strategia?

Oggi siamo chiamati a una battaglia di cultura di classe nella quale il conflitto consiste nella ripresa attiva di un progetto politico culturale, ovvero nel creare condizioni del fare quotidiano rivoluzione e di cultura politica di classe, che partendo dalla storia entra nel presente nelle sfide di oggi.

Dobbiamo essere colti per essere liberi, come diceva il poeta cubano José Martì e produrre socialmente sapere, non accettare mai che qualcuno lo faccia al posto nostro.

Ma nell’Italia di oggi è possibile una militanza non violenta a sostegno di quanti oggi sono perseguitati, come i migranti respinti in mare e, appunto, gli ormai anziani militanti esuli a Parigi?

Questo è il Paese con sinistra e destra che si equivalgono nell’attaccare comunisti coerenti rivoluzionari o semplicemente chi coerentemente non accetta di farsi omologare. La semplificazione della storia è l’effetto della volontà di potenza portata alle sue estreme conseguenze.

Quello che possiamo fare è continuare con pazienza a lottare e testimoniare in senso attivo e militante.

Con Persichetti nelle ultime settimane ci eravamo sentiti per una campagna di solidarietà politica e umana a favore di compagni della mia generazione degli anni ‘70 che hanno ottenuto asilo politico in Francia quarant’anni fa; oggi hanno una famiglia, dei figli, una vita. Ma oggi ritorna la logica dello Stato della vendetta che ne chiede l’estradizione in Italia, per scontare una pena inflitta circa mezzo secolo fa.

Il compagno che risponde al nome di Paolo Persichetti, ha subito una perquisizione con la presenza di molti agenti. qualche giorno fa, perché scrive libri, come tanti di noi che raccontiamo una storia ma la raccontiamo nei fatti e non accettiamo che i potenti dicano “la storia siamo noi”, perché la storia siamo Noi, la storia di classe, la storia del proletariato. Questa è la storia, non quella che dicono loro con le loro verità assolute.

E Paolo ha un bambino con una seria malattia, un handicap, e sono andati a prenderlo proprio davanti alla scuola di questo bambino tre giorni fa, l’hanno portato a casa e hanno fatto una perquisizione portando via libri e fogli scritti in preparazione di un nuovo libro sugli anni ’70.

Dopo il primo volume stava preparando il secondo, che doveva consegnare agli editori ad agosto ed è stato portato via tutto il materiale. E’ stata portata via anche la cartella clinica del figlio, sono stati presi anche ricordi familiari.

Io mi domando che cosa c’è dietro questa perquisizione se non la volontà di farci stare zitti, di non raccontare quella storia degli anni ’70 con tutti gli errori, e con tutte le contraddizioni, ma è una storia politica di questo paese.

Una storia politica di tante organizzazioni della sinistra di classe che si contrapponeva alle stragi, alle bande fasciste, ai servizi segreti deviati, allo stragismo impunito del paese spesso guidato anche da settori dei servizi segreti della CIA e statunitensi.

Però il significato di comportamenti di questo tipo come la richiesta di estradizione dei compagni a Parigi o questa perquisizione priva di ogni fondamento a Paolo, non risponde soltanto ad una logica giudiziaria ma assume i connotati della vendetta per farci stare zitti e dell’intimidazione politica ricolta ai tanti giovani, ai ragazzi ai disoccupati e a coloro che vorrebbero cercare una strada collettiva per uscire da una situazione nella quale le ultime generazioni sono costrette nella precarietà del lavoro e della vita.

Ma non è puramente utopico tentare di opporsi alla verità imposta in questi casi dalle procure? 

Ci stanno dicendo che dopo quarant’anni se poco poco tu ai tempi hai fatto una scritta che non dovevi fare, ti vengono a prendere, paghi tutto e così tu non hai diritto alla storia.

Io non voglio stare zitto, non stavo zitto a quindici anni, non sto zitto oggi a sessantacinque anni.

Dicevamo di che è stato accusato Paolo? E’ stato accusato di associazione sovversiva. Il codice penale, di cui l’articolo 270, dice che l’associazione sovversiva si costituisce in varie persone, devono compiere dei reati.

Qual è il reato, scrivere libri? Qual è il nome di quest’associazione? “Associazione culturale ai fini della memoria popolare e di classe?”

Quale è l’accusa? Parlo ai magistrati che farebbero bene ad ammettere che hanno preso una cantonata, hanno commesso un errore; perché ormai su quelle storie esistono centinaia di libri, centinaia di migliaia di pagine e documenti pubblici, senza segreto di Stato ormai da anni.

Io devo ringraziare qui pubblicamente, oltre a Contropiano che è il nostro giornale, anche il vostro FarodiRoma. Un giornale che sta facendo una campagna e ci sta aiutando per i compagni in Francia, per Paolo eccetera, perché ci aiutano nel diritto costituzionale al libero pensiero alla libera parola, alla libertà di scrivere.

FarodiRoma e tanti amici anche cristiani di base ci aiutano nel darci il diritto di parlare, di raccontare storie perché dobbiamo continuare a fare storia.

Compagni anziani come me e giovani, ragazzi a cui non è garantito un futuro, noi non vogliamo arrenderci, noi non ci arrendiamo, voi siete parte della classe che continua la nostra esperienza culturale, sociale, politica e sindacale, ognuno nel proprio contesto, ognuno con i mezzi suoi, ognuno nelle proprie forme e nei modi che il contesto sociale e politico dà, senza miti e senza estremismi.

E noi siamo continuità di questa storia, dell’aspro conflitto capitale-lavoro in Italia dal dopoguerra ad oggi. Se vogliamo mettere al centro l’impostazione del cosiddetto lavoro mentale, noi abbiamo bisogno della cultura popolare e di classe.

Professore allora la logica della comunicazione deviante per cancellare memoria e conflitto tocca tutti i grandi temi delle contraddizioni del modo di produzione capitalista; ad esempio le menzogne e le mezze verità strumentali alle compatibilità di sistema si sviluppano anche al tema del conflitto tra capitale e natura al quale aveva accennato nella sua precedente intervista…

Il modo di produzione capitalistico non dialoga con la natura, non dialettizza con la natura, non usa la dialettica con la natura, si appropria della natura. Perché? Che cosa deve fare il capitale? Vuole trasformare la natura in capitale.

La realtà che ci circonda è una realtà in conflitto, dove i conflitti economici e politici vengono nascosti da bugie. Guerre etniche, si dice, guerre religiose, guerre per la democrazia, per la cosiddetta uguaglianza che si doveva creare con l’unipolarismo, con la globalizzazione, però in effetti che cosa è successo?

E’ successo che il mondo sta sempre più in mano di pochi ricchi e di pochi paesi capitalistici, e quella che loro chiamavano ‘globalizzazione’, io l’ho chiamata ‘competizione globale’ fra aree imperialiste che contribuisce a distruggere la natura. Questa competizione è elemento di distruzione della natura.

Il rapporto, quindi, tra modo di produzione e distribuzione e l’impatto con il sociale e con la natura, è sempre più condizionato da una relazione di coercizione, una relazione, diciamo così, tra il capitale transnazionale (le multinazionali) la borghesia transnazionale e le aree di influenza diverse, cioè nuove forme di colonialismo, di neo-colonialismo, quindi le nuove economie nazionali, si collocano ormai in funzione dell’allargamento e della ridefinizione dei poli geoeconomici internazionali.

La contraddizione strutturale è una condizione strutturale non dei capitalismi, attenzione, ma del modo di produzione capitalista. I capitalismi si rappresentano in modo diversificato, il modo di produzione capitalistico è uno solo, e Marx, in maniera chiara, esplicita, diretta, dice: guardate, questo è uno dei tre limiti che incontra il capitale nella sua evoluzione, il capitalismo non potrà durare per l’eternità, perché le contraddizioni si chiamano: forza lavoro. Cioè? come l’abbiamo chiamata la contraddizione capitale/lavoro? Lotta di classe, il materialismo storico.

Poi il capitale stesso. Perché il capitale stesso? perché il capitalismo tende alla caduta del saggio di profitto, quindi non alla caduta della massa di profitto, ma la legge che descrive la caduta tendenziale del saggio di profitto.

E la terza contraddizione è quella ambientale.

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