Le pellicole, i cartoni, i fumetti e tutto ciò che riguarda l’animazione, spesso, sono entrati a far parte del repertorio della propaganda di una nazione. In tempo di guerre, fredde o calde, tale fenomeno ha conosciuto un incremento esponenziale e nessun governo ne è stato mai esente.
Rambo, moderno eroe antirusso, rappresenta il prototipo del combattente americano “per la libertà”, ancor di più nei momenti di massima tensione tra le due superpotenze, e lo slancio finale reaganiano verso la vittoria.
Nell’Italia fascista, oltre alle trionfalistiche canzoncine in 2/4, si susseguivano pellicole, filmati e racconti, firmati Istituto Luce e approvati dal regime, che esaltavano sia le gesta del duce, capo condottiero, sia le vittorie dell’esercito regio proiettato verso il feticcio immaginifico dell’impero.
Anche in Grecia, si determinò lo stesso artificio mediatico. La reazione all’attacco fascista della fine dell’ottobre del 1940, oltre al piano militare e civile, si manifestò nel primo esperimento di cartone animato della storia di quel piccolo Stato. La spirito anti-invasione produsse un brevissimo, ma incisivo, corto di animazione, che racconta in modo ironico la drammatica e prevedibile sconfitta italiana. In esso si ridicolizzava la supponenza e il costume del regime fascista.
I tragici antefatti: il 28 ottobre del 1940, poco dopo mezzanotte, l’ambasciatore italiano Grazzi si reca dal dittatore greco Metaxas, di simpatie fasciste (ma fedele al re Giorgio II che, invece, aveva relazioni strette con la corona inglese) per consegnare un urgente ultimatum, in scadenza di lì a poche ore.
La Grecia era neutrale e tra i due paesi pare intercorressero dei rapporti solidi. Attraverso quel documento, l’Italia chiedeva allo Stato ellenico di consentire l’occupazione del territorio e in particolare di alcuni punti strategici. Non sapendo, tuttavia, precisare quali fossero questi avamposti.
Era un pretesto: dopo l’occupazione della Romania e dei suoi pozzi petroliferi da parte della Germania agli inizi di ottobre, Mussolini, stanco dell’ennesima azione unilaterale da parte dell’esercito nazista, decise di aprire la strategia dei fronti paralleli per equilibrare le evidenti disparità strategico militari tra i due alleati.
Il bilancio delle roboanti campagne fasciste era stato fino ad allora magro, ma la scelta fu tutt’altro che sensata: in più di un’occasione, da diversi ambienti tedeschi, gli italiani avevano avuto suggerimenti di lasciar stare tranquillo il fronte greco.
Ma la propaganda fascista millantava equipaggiamenti, munizioni e un’organizzazione militare con la quale nel tempo di una passeggiata avrebbe “spezzato le reni alla Grecia”.
La realtà, però, fu diversa dalla propaganda. Inoltre, il 2 ottobre, paradossalmente, era stata prevista in quell’area una smobilitazione in attesa dell’inverno: dopo due settimane, cambio tattico. Alla riunione in previsione dell’attacco alla Grecia erano presenti, oltre Galeazzo Ciano e il suocero, anche diversi capi militari, tra cui Badoglio, Roatta, Soddu, Visconti Prasca, Iacomoni di Sansavino. Tutti, ad eccezione dei vertici di Marina e Aeronautica.
Con Giovinezza come sfondo musicale, il cartone greco esordisce con l’immagine di un castello nel quale si vedono stese delle enormi braghe bianche sotto la bandiera sabauda. Immediatamente, si entra in una stanza segnata da una targhetta che riporta la scritta ‘Storia d’Italia’.
In essa, si vede il dittatore fascista, rappresentato in tutta la sua ferocia, ma allo stesso tempo buffo e macchinoso, che detta le sue brame di conquista a una donna addolorata con le fattezze dell’Italia. La donna scrive contro la sua volontà, mentre il capo ostenta già grandi imprese.
In un primo momento, donna Italia, nonostante la palese sofferenza per la decisione di attaccare ingiustamente un popolo ‘fratello’, scrive senza evidenti obiezioni. Dal quaderno, si evince il primo indizio di tracotanza. In esso, infatti, è riportata la scritta: “l’occupazione della Grecia è questione di quattro giorni”.
Il sole emerge dietro un monte, annunciando il 28 ottobre 1940: si vedono i carri armati e i soldati italiani varcare la frontiera con l’Albania. A un certo punto, un monte diventa un enorme tsarouchi, la scarpa tipica che indossavano gli Evzoni, i migliori soldati scelti dell’esercito greco, che divora le truppe fasciste.
È la raffigurazione di uno dei monti dell’altissima catena del Pindo in Epiro, teatro della prima sconfitta delle milizie mussoliniane. Le divisioni Parma e Piemonte dal confine albanese-macedone e le divisioni Venezia I e Arezzo dal confine Jugoslavo, ma anche la Siena, la Ferrara, la Centauro, nella realtà, si erano posizionate per lo sfondamento, ma decisamente scoordinate e male equipaggiate.
La peggio, su tutte, la ebbero gli alpini della Julia: già nei primi giorni di novembre, i greci attaccarono, dopo che questi si erano addentrati nel territorio ellenico per circa 40 chilometri. Isolati, i soldati della divisione a morire a guerra appena iniziata saranno 1700. Una passeggiata rivelatasi un inferno. Quasi immediatamente, Badoglio rassegnò le dimissioni.
Il cartone continua nel racconto: dopo che nel riquadro appare la scritta “non abbiamo nemmeno tenuto conto dei grandi fiumi della Grecia”, sbuca un cane che scarica la propria minzione nei pressi di un albero. Qui, arrivano alcuni carri armati italiani che alla sola vista della chiazza lasciata dalla bestiola, si mostrano impauriti e goffamente si scontrano. I fiumi, appunto.
Alla fine di ottobre pioveva a dirotto da giorni e i fiumi Aóos, Kalamas, Acheronte, infatti, si erano prevedibilmente trasformati in corsi d’acqua dalla portata impetuosa e pericolosissima, diventando impraticabili. A farne le spese di questo accidente, per l’ennesima volta, furono le già demoralizzate truppe italiane.
Ancora il video: una legione di alpini che spara all’impazzata, ma alla comparsa di un solo Evzoni, tutti lasciano le armi e alzano le mani in segno di resa: il potente soldato si trasforma in una scopa che spazza via i codardi. Con una specie di tarantella, a fare da sfondo, compare un soldato greco che, pancia a terra, urla “άέρα”, ovvero ‘aria’, per ben tre volte: un grido di libertà che spaventa ancora gli italiani diventati conigli che scappano di nuovo verso il confine con l’Albania.
La disfatta italiana è chiarissima: fino al marzo del ’41 una guerra di posizione logorante, fatta di trincee e malattie. Sotto il clima gelido, i casi di congelamento tra gli italiani furono numerosissimi e la fame diventò inesorabile. E proprio in quella primavera, fallì l’ultima offensiva voluta direttamente da Mussolini presente personalmente in Albania.
I cannoni con il fascio littorio continuano a bombardare la Grecia del cartone animato: una, due, dieci, cento volte. Tuttavia, basta un semplice coltello greco a spaventare anche i cannoni che tirano su la gonna e corrono a gambe levate.
Ritorna ancora una volta Giovinezza e il Duce, insensibile rispetto al cocente ripiegamento delle sue truppe e alle perdite umane, dall’alto di un palco saluta impettito i pennacchi che sfilano.
Incapaci finanche di tenere il passo, tanto da pungersi le natiche con la punta delle baionette: a dimostrazione dell’inadeguatezza dell’esercito. Inciampano e cadono sulle note della Carmen di Bizet.
Un fiero soldato greco intercetta un collega italiano, riducendolo a mo’ di scopetta, con cui si lucida gli scarponi, mentre l’esercito regio si volatilizza. E, ancora, l’immagine ritorna sulla stanca donna Italia che continua a scrivere sotto dettatura del tronfio presidente del consiglio italiano.
La “storia racconta come finì la corsa” e anche il finale del video è tragico: Mussolini che vola sulle note del brano ‘La Donna è mobile‘ tratta dal Rigoletto, trasportato da un piccolo tappeto magico con i simboli della Germania nazista, anche se Hitler, nella realtà, era furioso per l’insensatezza strategica dell’alleato e per l’arrivo degli inglesi in aiuto dei greci.
La Grecia, a questo punto, non può far altro che resistere e nell’inedito documento video, si trasforma in una grande mano che si chiude e stritola il dittatore italiano, vero perdente.
Tra le file italiane si contarono 13.755 morti, 50.874: feriti, 12.368 congelati, 25.067 dispersi, 52.108 congelati: una strage voluta degli alti dirigenti italiani, responsabili e mai realmente condannati.
La scena finale ci riporta alla donna Italia, sdegnata dalla vuota tracotanza del duce. Si rifiuta di continuare; poi, scorta Mussolini fino a un’altissima scogliera, dalla quale spinge il fallimentare dittatore legato con un masso al collo.
Sulle note di una celebre marcia funebre, annega e nella profondità del mare viene impalato dall’albero maestro dell’incrociatore Elli, vigliaccamente affondato da un sottomarino italiano, durante la sentitissima festa della Madonna dell’Assunta del 15 agosto 1940, nell’isola di Tinos: atto odioso, quanto strategicamente insensato, dietro il quale ci fu, tra l’altro, lo zampino di Cesare De Vecchi, ex quadrumviro della marcia su Roma e governatore del Dodecanneso. Quasi tre mesi prima della dichiarazione di guerra.
Telos.
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