Nuova giornata di sciopero generale in Grecia dopo quella che ieri ha già paralizzato il paese per la seconda volta in una settimana. Uno sciopero che nei trasporti ha funzionato così bene che in pochi sono riusciti ad arrivare in Piazza Syntagma, per manifestare davanti al Parlamento. D’altronde questa settimana non c’è stato quasi giorno senza una marcia, un presidio, una occupazione. E comunque nella manifestazione convocata dai sindacati e dalle forze di sinistra stamattina nel centro di una Atene spettrale c’erano alcune migliaia di persone, forse 15 mila. Gente di tutta l’età e di tutte le categorie sociali, ma soprattutto giovani, i più colpiti dai tagli: se i lavoratori normali vedranno decurtare il loro già magro stipendio del 22%, chi a 25 anni ha la fortuna di lavorare riceverà il 35% in meno.
Mentre il corteo, raggiunto il Parlamento, si andava lentamente sciogliendo, sono scoppiati nuovi incidenti, soprattutto a causa dell’inflessibilità e dell’intolleranza dei poliziotti schierati in tenuta antisommossa. Ieri il loro sindacato ha chiesto alla Procura di arrestare i ‘negoziatori’ della troika, e ha affermato che gli agenti non sono disponibili a farsi utilizzare contro il loro popolo per garantire gli interessi di poteri stranieri. Ma non devono aver letto il comunicato quei celerini che all’ora di pranzo hanno caricato la folla in Piazza della Costituzione dopo che alcuni manifestanti avevano lanciato qualche sasso e avevano indirizzato slogan di fuoco contro di loro e idealmente contro i ministri di quel governo che ieri notte, nonostante il forfait dell’estrema destra e di qualche socialista, ha ratificato i nuovi sacrifici.
Verso le 13,30 la polizia ha imbracciato gli scudi ed ha allontanato la folla a furia di manganellate e spintoni con gli scudi. Così come durante le cariche e gli scontri di ieri si segnalano anche oggi alcuni feriti e fermati. Un manifestante di mezza età è rimasto parecchio tempo sul selciato, a terra. Scene di guerriglia urbana nella città portuale di Patrasso, dove gruppi di incappucciati hanno lanciato pietre contro i poliziotti che hanno risposto con ampio uso di lacrimogeni. Sia ieri che oggi decine di migliaia di persone – 30 mila ieri, 15 mila oggi – hanno manifestato nel centro di Heraklion, la città principale (300 mila abitanti in totale) di Creta. “C’è una strana atmosfera, di attesa” ci raccontano da Atene.
Da parte sua il sindacato comunista Pame ha deciso come di consueto di manifestare in solitaria, concentrandosi in Piazza Omonia. Alcune migliaia i partecipanti. Poco prima un centinaio di militanti del Partito comunista greco (Kke) hanno invaso l’Acropoli, calando dalla collina che sovrasta la capitale greca due grandi striscioni che recitavano – in greco ed in inglese – “Abbasso la dittatura dei monopoli dell’Unione Europea”.
Dopo le defezioni di ieri all’interno dei partiti che sostengono Papademos, i leader dei due partiti superstiti della maggioranza – la destra di Nea Dimokratia (Nd) e il socialista Pasok – hanno lanciato un forte appello alla fedeltà ai propri parlamentari affinché domani votino compatti licenziamenti, privatizzazioni, tagli a salari e pensioni. Chi non lo farà, ha avvertito Antonis Samaras di Nd, non sarà candidato alle prossime elezioni. Ed è tornato in campo anche Papandreou – uno che non può girare senza scorta da anni – con una dose massiccia di demagogia, spiegando che anche se le misure appaiono dure, una loro bocciatura in Parlamento vorrebbe dire che lo stato non potrà far funzionare gli ospedali, pagare stipendi e pensioni. Come se ora funzionassero… «Se non accetterete questa sfida…i tagli saranno ancora più pesanti, il sistema bancario crollerà e il livello di vita dei greci cadrà a picco» ha ammonito ‘l’amerikano’. Comunque qualche deputato socialista ha fatto capire che è intenzionato a non votare il mortale pacchetto.
Di Grecia ha parlato oggi ad Helsinki anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: «la situazione della Grecia è diversa» da quella italiana, ha detto, ma «naturalmente, sono impressionato e preoccupato da questa forte manifestazione di malessere sociale in Grecia». Forse per paura che il malessere sociale diventi rivolta di massa e che si estenda anche all’Italia.
Per ora però, Napolitano sembra aver ragione: l’Italia non è la Grecia. Nel senso che mentre i processi di attacco ai lavoratori e alla democrazia sono simili e paralleli, seppur con ritmi diversi, in Italia i sindacati maggioritari si guardano bene dal convocare scioperi generali a catena contro i governi e l’Unione Europea. E se anche lo facessero, non è detto che i loro iscritti li sosterrebbero, abituati come sono al compromesso al ribasso e all’inciucio da parte dei loro dirigenti.
Per ora il popolo greco continua a lottare. Per il proprio futuro, e anche per quello degli altri.
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