La parola definitiva l’ha detta probabilmente Wolfgang Schaeuble, il ministro delle finanze tedesco: «se la Grecia decide di uscire dall’euro, non possiamo costringerla. Saranno loro a decidere se restare o no» nell’euro.
L’ipotesi smette di essere un caso di scuola e diventa un evento molto probabile, cui tutti – i paesi europei, gli «investitori internazionali» e gli stessi greci in primo luogo – devono prepararsi. Al punto che si può dire che la questione non è più vista come un «se», ma come un «quando» e soprattutto «come».
Giuridicamente, non esiste nessun meccanismo per cui i paesi dell’eurozona possano «buttar fuori» i reprobi, quelli che «non rispettano le regole». Ma l’articolo 50 del Trattato stabilisce che l’unico soggetto che può decidere è il singolo paese membro; senza però prevedere nessuna procedura particolare. Come se gli estensori del Trattato ritenessero un gesto del genere impossibile.
Il voto ellenico ha ovviamente fatto precipitare le incertezze, trasformandole in «fuga dal rischio». Persino l’erogazione delle prossima tranche di aiuti concessi dalla Ue – 5,2 miliardi, da consegnare oggi – è stata ieri messa in discussione da parte di alcuni paesi. Tra cui la Germania. Poi, in serata, è arrivato lo «sblocco». Ma molti osservatori hanno considerato questa voce solo un modo di aumentare la pressione sulle forze politiche greche affinché formino subito un «governo di unità nazionale per restare nell’euro», magari guidato da Venizelos (il nuovo segretario del Pasok, dopo l’abbandono di Papandreou). Che guarda caso ieri è stato l’unico ad avanzare una proposta simile. Ma sembra ormai impossibile evitare una seconda tornata elettorale a metà giugno, vista l’estrema frammentazione politica che impedisce la formazione di qualsiasi esecutivo.
L’intenzione tedesca è chiarissima. Ieri Joerg Asmussen, membro del direttorio della Bce, ha rispiegato che «non ci sono alternative al programma di risparmio; il governo greco ha perso fin troppo tempo nell’applicazione del programma di riforme». Accusa che, vista da qui, sembra abbastanza assurda. In due anni il paese si è impoverito a dismisura, i salari sono diminuiti del 25% solo nel 2011; e altrettanto si prevede accadrà quest’anno. Non c’è rimasto quasi nulla di «pubblico» da mettere sul mercato. Molti analisti riconoscono a questo punto che «un’economia in difficoltà non può convivere con una valuta forte». O si svaluta l’euro fino a poter essere sopportato anche dai greci, oppure deve essere Atene ad andarsene. Di propria volontà.
La domanda che perseguita tutti è: cosa accade, se Atene esce? Il caos a breve sembra garantito sia per i greci, ovviamente, che si ritroverebbero immediatamente ancora più poveri (tra il 40 e il 60%). Ma anche per l’Europa. I paesi «deboli» della periferia – Spagna, Italia, Portogallo e Irlanda – diventerebbe immediatamente i prossimi bersagli della speculazione al ribasso (già ieri lo spread tra Btp e Bund tedesco è tornato sopra i 400 punti; quello dei Bonos spagnoli a 450), con effetti a catena sulla tenuta dell’intera costruzione europea. Del resto il voto di domenica ha punito ovunque – anche in Italia, e pesantemente – i partiti che sostengono «il rigore». Un segno inequivocabile dell’impossibilità di «mantenere la coesione sociale» con politiche di spremitura a senso unico delle popolazioni.
Ma nelle difficoltà sistemiche vengono fuori improvvisamente anche brandelli verità fin qui tenuti gelosamente nascosti. Come evidenziato ieri sul nostro giornale da Gabriele Pastrello, la Germania è l’unica a beneficiare della situazione attuale. Come? «Ai tassi attuali, e con lo spread vertiginosamente salito, Berlino sta ristrutturando il proprio debito pubblico gratuitamente, anzi, guadagnandoci qualcosa». In altri termini «il rigore» imposto agli altri permette alla Germania di abbassare il debito, aumentare le esportazioni e persino di concedere aumenti salariali interni. Una bestemmia, per chiunque altro.
Nel frattempo Alexis Tsipras, leader di Syriza, formazione di sisinistra radicale piazzatasi al secondo posto nel voto greco, ha giudicato impossibile formare un governo sotto la prpria guida. Ora toccherà al socialista Venizelos, molto benvoluto dai mercati. Ma nessuno spera che sia lui, arrivato solo terzo domenica, a riuscire dove già il conservatore Samars aveva fallito. Comunque vada, i greci sono destinati a pagare la propria scelta. Devono solo scegliere tra pagare e soffrire senza possibilità di risorgere, o farlo per ripartire davvero.
* Il Manifesto 10-05-2012
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