A Pechino più di duemila persone hanno circondato l’ambasciata giapponese, scandendo slogan e innalzando striscioni contro la posizione di Tokyo sulle isole contese. Pietre, uova, verdure e quant’altro sono state scagliate in direzione della sede diplomatica, e tentativi di sfondamento da parte della folla sono state contenute dagli agenti della polizia cinese schierata a difesa dell’edificio.
Un attacco ad un centro commerciale giapponese si è verificato ieri a Changsha. Una manifestazione di 10.000 persone diretta verso l’albergo che ospita il consolato giapponese si è avuta a Guangzhou(Canton), e altre manifestazioni si sono tenute in molte città della Cina, tra cui Xiamen, Hangzhou, Harbin, Nanjing, Hohhot (nella Mongolia Interna), Changchun e Wuhan.
Le tensioni tra Cina e Giappone non sono una novità degli ultimi anni. I due paesi da tempo hanno stabilito legami commerciali che hanno portato la Cina ad essere il primo partner commerciale del Giappone. Tuttavia la maggiore integrazione delle loro economie non ha portato ad un affievolimento delle tensioni su alcuni nervi lasciati scoperti. Negli anni passati erano le visite annuali dei primi ministri giapponesi al mausoleo Yakasuni, mausoleo commemorativo dei soldati al servizio dell’impero giapponese dal 1867 al 1951, che commemora – tra gli altri – noti criminali di guerra giapponesi, a gettare benzina sul fuoco delle relazioni tra i due paesi.
Nell’invasione della Cina durante della seconda guerra mondiale i soldati giapponesi hanno ucciso milioni di persone, commesso innumerevoli atrocità, tra le cui la più nota resta il massacro di Nanchino, in cui qualcosa come 300.000 cittadini cinesi vennero massacrati dall’esercito giapponese, abbandonatosi ad una serie infinita di episodi di omicidio, stupri, torture, ecc… in un quadro di terrore sistematico teso a stroncare la resistenza all’invasione.
Di conseguenza le visite dei premier giapponesi al monumento in questione sono state considerate un insulto alla Cina e una manifestazione della volontà nipponica di non fare i conti con il proprio passato.
Altre questioni hanno riguardato le dispute tra i due Paesi sui libri di testo scolastici adottati in Giappone che minimizzavano le atrocità commesse durante la seconda guerra mondiale e nell’invasione della Cina.
Se in Europa la Germania portasse avanti atti, simbolici e non, di questo tipo, si griderebbe al ritorno del nazismo. Qualcosa del genere è assolutamente impensabile nel vecchio continente. Se però ad essere offeso da tali comportamenti è un paese che si definisce comunista e che rappresenta un competitore strategico dell’Occidente la questione viene vista sotto una luce diversa ed evidentemente tutto diventa lecito.
Il superamento poi nel corso degli anni ‘ 90 da parte giapponese della costituzione materiale pacifica e il conseguente riarmo militare(non ultimo in questi giorni l’acquisto da parte delle cosiddette Forze di Auto Difesa giapponese – definizione ufficiale dell’esercito giapponese che consentiva di aggirare l’imposizione alleata della smilitarizzazione – di unità navali da guerra)hanno aggiunto tensioni crescenti nell’area e portato i due paesi sempre più ai ferri corti.
Le isolotte Diaoyu/Senkaku venenro strappate alla Cina col trattato di Shimonoseki del 1895, che pose fine alla prima guerra sino-giapponese, con il quale il neo imperialismo nipponico entrava nel gioco della grande spartizione della Cina in aree di influenza da parte delle potenze occidentali alla fine dell’ ottocento.
I cinesi hanno depositato all’Onu proprio in questi giorni la documentazione relativa al fatto che per primi, in età imperiale, scoprirono, nominarono, inserirono nelle mappe ed esercitarono giurisdizione sugli arcipelaghi contesi.
L’acquisizione da parte giapponese in seguito ad un trattato cui la Cina venne costretta con una guerra, e pertanto contrario a qualunque norma di diritto pattizio nazionale e internazionale, peraltro non è bastata, e il governo nipponico ha dovuto far risultare di “acquistare”da un privato giapponese, che ne vantava la proprietà, gli isolotti prima di nazionalizzarli cedendoli in proprietà alla guardia costiera nazionale. Procedure completamente illegali, si sostiene da parte cinese, che qualche giorno fa ha inviato nell’area sei pattugliatori in una missione che aveva lo scopo di riaffermare la sovranità del continente sulle isole, rivendicate anche da Taiwan in funzione antigiapponese.
L’agenzia di stampa Xin Hua riporta la posizione ufficiale del governo cinese secondo cui la Cina “non rinuncerà ad un centimetro del suo territorio”, e del ministero degli Esteri secondo cui “La Cina non rimarrà ferma mentre la sua integrità territoriale viene violata, il cosiddetto ‘acquisto’ è illegale e invalido, l’era dell’umiliazione del popolo cinese è finita, e non tornerà mai più”.
Il blitz delle motovedette cinesi, che è servito anche a negare la pretesa giapponese di “controllo fattuale” del territorio in questione, non ha impiegato l’uso della forza.
Tuttavia in questi giorni si sono tenute in giappone esercitazioni militari che avevano lo scopo di “riconquistare delle isole occupate da un esercito nemico”, e anche in Cina si cominciano a flettere i muscoli. Recentemente si è tenuta un’esercitazione militare del secondo corpo di artiglieria del EPL (esercito popolare di liberazione, le forze armate cinesi)relativo ad un aumento della capacità di deterrenza nucleare basata su piattaforme mobili motorizzate che ha destato l’attenzione degli Usa.
Ciò a dimostrazione che oltre che alle proteste di piazza come meccanismo di pressione, la Cina è in grado di upgradare rapidamente le proprie capacità offensive se messa all’angolo. Dato che dietro alla vicenda delle isole contese si cela la spinta Usa che manda avanti il Giappone nell’ambito della nota strategia che abbiamo qui più volte analizzato, il messaggio è chiaro.
E tuttavia le proteste di piazza e le posizioni apparentemente inconciliabili delle due parti sugli isolotti ricchi di risorse dimostrano che la questione è seria e che si rischia realmente la guerra: anche “esperti” di politica cinese ad Hong Kong ormai non la escludono più. Se la crisi dell’economia giapponese che ha aggiunto un ulteriore mattone sulla stagnazione degli anni ‘90 e degli anni 2000 dovesse tramutarsi in guerra guerreggiata, la risposta della Cina non si farebbe attendere, e visto il peso mastodontico di entrambi gli attori in campo, gli esiti sarebbero incalcolabili. Di conseguenza una vittoria secca da parte di Pechino e del suo accresciuto peso politico, diplomatico e militare, e uno smacco diplomatico da parte giapponese, sembrano le uniche opzioni in grado di evitare lo scivolamento verso una spirale che potrebbe essere incontrollabile. Anche per questo la Cina si dimostra così risoluta, perché qualunque passo indietro non potrebbe che peggiorare la situazione.
Fonti:
http://www.globaltimes.cn/content/733253.shtml
http://www.agichina24.it/in-primo-piano/politica-internazionale
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