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Messico. Stillicidio di attacchi ai Zapatisti

A diciott’anni dal sollevamento e a nove dalla creazione dei Caracol e delle Giunte del Buon Governo, continua, in Chiapas, la cosidetta guerra a bassa intensitá contro le comunitá autonome zapatiste. A partire dallo scorso agosto, infatti, sono state denunciate diverse provocazioni e veri e propri attacchi armati contro le basi d’appoggio della guerriglia da parte di gruppi paramilitari, i quali, con la complicitá e/o con l’indifferenza dei diversi livelli di governo, stanno cercando di seminare il terrore nei Municipi Autonomi con l’obiettivo di ostacolare il processo di costruzione dell’autonomia e di riappropriarsi delle terre riconquistate dai ribelli con l’insurrezione del ‘94.

Con il ritorno del triste fenomeno degli sfollati dalla violenza paramilitare, si é aperta nei territori zapatisti una seria crisi umanitaria, che riporta il conflitto verso scenari che non si vedevano da tempo e che preoccupano molto i movimenti solidali con l’EZLN e le organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Queste ultime (tra cui spicca il centro Fray Bartolomé de Las Casas), stanno infatti denunciando la ripresa di una strategia di contrainsurgencia che vede nuovamente in primo piano organizzazioni armate come Paz y Justicia e ORCAO (Organizazione Regionale dei Coltivatori di caffé di Ocosingo), le quali hanno impresso un salto di qualitá alla loro azione, passando dalle minacce, all’assalto delle comunitá con tanto di uniforme e mitragliette R-15. Le agressioni alle bases de apoyo sono state denunciate da quattro dei cinque Caracol zapatisti (La Realidad, Morelia, La Garrucha e Roberto Barrios), il che fa sospettare che questo sia solo l’inizio di una campagna anti-insurrezionale di ampio raggio che, se non venisse fermata con le necessarie mobilitazioni in Messico e nel mondo, potrebbe mettere seriamente in pericolo l’esperimento di autogoverno comunitario.

Le comunitá colpite dagli attacchi sono Moisés Gandhi, Unión Hidalgo, San Marcos Avilés e Comandante Abel. Gli assalti, sempre piú frequenti, seguono quasi sempre la stessa logica: colpiscono la popolazione civile con lo scopo di infondere il terrore (si va dalla violenza sessuale agli spari contro scuole e cliniche) e si concludono con l’occupazione delle terre recuperate dopo l’insurrezione, nonché con l’accerchiamento della comunitá in questione e l’immediato inizio della costruzione di case per gli agressori. Secondo la Red Contra la Represión, che ha organizzato una brigata di osservazione e solidarietá lo scorso fine settimana, la situazione piú critica e preoccupante é, al momento, quella della comunitá Comandante Abel, nella quale si contano giá un centinaio di sfollati, i quali, dopo giorni di fuga nella selva, hanno trovato rifugio nella scuola autonoma di San Marcos, un’altra comunitá indigena ribelle. Tra i rifugiati ci sono famiglie intere: bambini e anziani provati dalla marcia e dal digiuno, e donne incinta a rischio di un aborto spontaneo.
Nonostante le denunce delle autoritá zapatiste e delle organizzazioni solidali, la reazione delle istituzioni alla violenza paramilitare é stata praticamente nulla. A parte l’invio della polizia statale (che parrebbe, a detta delle vittime, stare piú dalla parte degli aggressori che degli aggrediti), la posizione dei diversi livelli di governo consiste nel negare la natura paramilitare delle organizzazioni in questione, per poter cosí liquidare gli scontri come mere contrapposizioni tra differenti fazioni indigene o come conflitti religiosi. Secondo le vittime, al contrario, si tratta di una precisa e consolidata strategia che consiste appunto nel determinare situazioni conflittuali che possano giustificare, in seguito, l’intervento militare per riportare la pace e la tranquillitá nella zona. Gli attacchi paramilitari, cioé, sarebbero propedeutici all’intervento dei corpi armati veri e propri. I primi, in altri termini, svolgerebbero il “lavoro sporco” per conto dei secondi e dello Stato.

La responsabilitá politica della violenza contro le comunitá, di conseguenza, viene attribuita, oltre che alle autoritá dei municipi ufficiali di Sabanilla e Tila, al Presidente e al Governatore uscenti, Felipe Calderón e Juan Sabines, i quali, con l’appoggio degli Stati Uniti, avrebbero pianificato una strategia contro l’Ezln per poter riprendere il controllo di un territorio molto ricco in risorse quali legna, minerali, petrolio, biodiversitá ed acqua; e, pertanto, ambitissimo dalle imprese transnazionali farmaceutiche, del turismo o della green economy, per fare solo qualche esempio. Il tutto, con il beneplacito dei tre principali partiti messicani, compreso il progressista Partito della Rivoluzione Democratica, che ha ignorato le denunce e non ha mai smesso di appoggiare il governatore chiapaneco durante i sei anni del suo mandato.

D’altra parte, la paramilitarizzazione del conflitto sociale, in Messico e piú in generale in America Latina, non é affatto una novitá. Infatti, a partire dalle guerriglie degli anni sessanta, si sono andati costituendo un sapere e una pratica propri della controinsorgenza, il cui obiettivo é sempre stato quello di destabilizzare le comunitá che sostengono gli sforzi dei gruppi guerriglieri. Se, durante la guerriglia di Lucio Cabañas nella Sierra di Guerrero, per esempio, erano direttamente le Forze Armate a terrorizzare villaggi e comunitá, in Chiapas, a partire dal ’95, sono invece state create e formate militarmente diverse organizzazioni controinsurrezionali, le quali svolgono lo stesso ruolo, senza peró avere le controindicazioni legate al rispetto dei diritti umani e allo stato di diritto, le quali rendevano piú complessa e problematica la gestione diretta della repressione da parte dell’esercito.

A partire dal 1995, sono state segnalate in territorio zapatista ben 19 organizzazioni di questo genere. Gruppi come Paz y Justicia, Los Chinchulines, Máscara Roja, Alianza San Bartolomé de los Llanos, Mira, Los Degolladores e Tomás Munzer, per fare solo qualche nome, sono stati protagonisti di numerosi atti di violenza (cha vanno dal sequestro all’omicidio) nei confronti di comunitá e singoli individui, nella maggioranza dei casi, simpatizzanti dell’Ezln. Dai gruppi d’assalto di Zedillo (il controverso ex presidente sotto processo per aver fornito il sostegno dell’esercito a gruppi paramilitari nonché responsabile politico, secondo i suoi accusatori, della strage di Acteal nella quale furono trucidati 45 indigeni tzotzil) agli squadroni del narcotraffico di Calderón, i paramilitari operano nel paese giá da un pezzo, secondo esperti e organizzazioni in difesa dei diritti umani; e continuare a negare la loro esistenza da parte delle differenti amministrazioni, non ha fatto altro che consolidare il fenomeno e facilitarne la riproduzione.

Alla paramilitarizzazione della regione, bisogna aggiungere l’occupazione del territorio da parte dell’esercito, il quale, come viene documentato in un importante lavoro di mappatura fatto dal Capise (un centro di ricercatori sociali indipendenti), ha praticamente accerchiato le comunitá zapatiste, istallando, in corrispondenza di ognuna delle istituzioni autonome, diverse strutture militari. Il cammino verso l’autonomia si trova dunque stretto tra due fenomeni che, lungi dal contrapporsi, paiono in realtá essere complementari, e sembrerebbero confermare i sospetti di chi, dietro le agressioni delle ultime settimane, vede l’insofferenza dei poteri forti nazionali e globali verso un processo di trasformazione che, oltre a dare buoni risultati ed essere fonte di ispirazione per i movimenti sociali di tutto il pianeta, impedisce nei fatti agli stessi di trasformare la regione in una risorsa per il mercato mondiale.

Nel Messico della tragica crociata calderoniana contro il narcotraffico, la vita dei movimenti sociali é molto piú difficile. In particolare, le lotte dei popoli originari per la costruzione dell’autonomia, si trovano sotto il fuoco incrociato di differenti gruppi di potere: minacciati da megaprogetti infrastrutturali o turistici, presi a fucilate da paramilitari o narcos, repressi dalla polizia o dall’esercito, sono diversi gli esperimenti di autogoverno che subiscono intimidazioni ed agressioni che portano al sequestro e alla morte di decine e decine di attivisti o di membri di diverse comunitá. Dallo stato di Michoacán, con le importanti esperienze di Cherán e Ostula, a quello di Oaxaca con il Municipio Autonomo di San Juan Copala, passando per le lotte in difesa della terra e del territorio che si stanno dando a Wirikuta, nel Nord del paese, e a Huexca, nella regione di Morelos; le comunitá indigene continuano a rappresentare un’anomalia ed un esempio scomodi per chi é interessato alla svendita dei beni comuni e vuole trasformare il territorio secondo gli interessi del capitale globale.

L’attacco alle comunitá zapatiste arriva proprio durante il periodo di transizione verso il nuovo polemico governo della restaurazione priista e rappresenta senz’altro un segnale preoccupante che potrebbe aprire scenari dallo sviluppo imprevedibile, d’altra parte, le immediate reazioni di solidarietá fanno ben sperare: messaggi e comunicati provenienti da tutto il pianeta hanno infatti condannato gli attacchi e ribadito il sostegno al processo di trasformazione sociale in atto nel sud-est messicano. Le mobilitazioni, tuttavia, continuano e le Giunte del Buon Governo hanno lanciato per il prossimo 30 settembre, una giornata di solidarietá a livello nazionale e internazionale, durante la quale, la variegata galassia dello zapatismo globale esprimerá in modi diversi e in differenti punti del pianeta il medesimo semplice concetto: gli zapatisti non sono soli e la loro lotta é ormai patrimonio comune dei movimenti mondiali!

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