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Bangladesh: dopo la strage in fabbrica la rabbia degli operai

Dopo quello che sabato ha causato la morte di 111 operai ed operaie nel rogo della Tazreen Fashion, questa mattina un altro incendio é scoppiato in una fabbrica di abbigliamento a Dacca, in un palazzo di 12 piani che ospitava diversi laboratori per la produzione di capi d’abbigliamento. Questa volta fortunatamente non ci sono state vittime, ma che le condizioni in cui sono costretti a lavorare in condizione di estremo pericolo e di quasi schiavitù decine se non centinaia di migliaia di persone in Bangladesh è più che evidente.

Ma non per il governo del paese, secondo il quale l’incendio che ha fatto strage di giovani è stato un attentato perpetrato allo scopo di destabilizzare l’esecutivo. “Non é stato un incidente. Era tutto preparato” ha detto durante un suo intervento in Parlamento il primo ministro, Sheikh Hasina Wazed, informando anche che la polizia avrebbe arrestato due sospetti piromani.

Intanto questa mattina parecchie migliaia di lavoratori e lavoratrici del settore tessile sono scesi in strada per protestare contro le condizioni di lavoro nelle fabbriche. Alla manifestazione erano presenti anche molte delle operaie sopravvissute all’incendio della notte precedente. Prima i dimostranti hanno innalzato barricate e poi in corteo hanno bloccato un’autostrada fino a raggiungere la zona industriale di Ashulia, nella periferia della capitale Dacca, dove hanno sede oltre 500 fabbriche che producono abiti confezionati per le marche occidentali. “Gli operai di diverse fabbriche hanno interrotto il lavoro e hanno raggiunto la manifestazione. Vogliono che i proprietari di Tazreen ricevano una punizione esemplare” ha dichiarato il capo della polizia di Dacca, Habibur Rahman. Secondo la polizia molte fabbriche che lavorano per Walmart, H&M o C&A sono rimaste chiuse oggi per evitare l’ira delle maestranze. “La maggior parte degli operai è sotto choc. Vogliono vedere dei progressi in materia di sicurezza nelle loro fabbriche, dove sentono di andare a braccetto con la morte”, ha dichiarato un rappresentante sindacale citato dai media, Babul Akter. 

Da tempo i sindacati, i partiti di sinistra e alcune associazioni non governative denunciano i turni di lavoro troppo lunghi e le scarse misure di sicurezza nei laboratori dove si confezionano abiti, dove gli incendi sono frequenti.
Le organizzazioni aderenti alla “Clean Clothes Campaign”, insieme ai sindacati e alle organizzazioni impegnate per i diritti dei lavoratori in Bangladesh e in tutto il mondo, hanno chiesto oggi un intervento immediato ai grandi marchi internazionali. L’azienda dove è divampato l’incendio, la Tazreen Fashions, produce infatti per numerosi marchi, tra cui l’olandese C&A, il francese Carrefour, la statunitense Walmart e lo svedese Ikea. Clean Clothes Campaign ritiene che “questi soggetti abbiano dimostrato negligenza per non aver preso contromisure efficaci ai problemi di sicurezza evidenziati da incendi precedenti, divenendo responsabili per l’ennesima tragica perdita di vite umane”. Stando a quanto si legge in un comunicato della campagna “un vigile del fuoco presente sulla scena ha riferito che non c’era nessuna uscita antincendio all’esterno dell’edificio. Le prime analisi suggeriscono che il fuoco sia partito da un corto circuito elettrico. La causa dell’80% di tutti gli incendi industriali in Bangladesh è dovuto a cablaggi difettosi”.

“Molti brand sanno da anni che molte delle fabbriche in cui scelgono di produrre sono delle trappole mortali. Il loro fallimento nell’adottare misure adeguate è una negligenza criminosa” ha accusato Ineke Zeldenrust della Clean Clothes Campaign che ha chiesto l’avvio di un’inchiesta indipendente e trasparente sulle cause dell’incendio, per arrivare a un pieno ed equo risarcimento per le vittime e i loro familiari e per individuare le azioni necessarie a prevenire tragedie simili in futuro. “L’ennesima perdita di vite umane, sacrificate sull’altare di un modello industriale che produce profitti per i grandi gruppi internazionali a discapito dei lavoratori impiegati senza diritti nelle fabbriche per l’export, fortifica la nostra convinzione che occorrono cambiamenti strutturali, concreti e rapidi per rimuovere la cause alla base di tragedie come queste” ha detto Deborah Lucchetti di Abiti Puliti, la Ccc italiana. Il Bangladesh è, dopo la Cina, il secondo esportatore mondiale del tessile, un settore dove trova impiego il 40% della manodopera del manifatturiero. 

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