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Gaza, Israele apre il fuoco al confine

Betlemme, 26 novembre 2012, Nena News – A quattro giorni dall’entrata in vigore del cessate il fuoco tra Hamas e Israele, ieri le forze militari israeliane hanno nuovamente riaperto il fuoco al confine Sud, a Khan Younis, ferendo un giovane palestinese. Secondo l’esercito israeliano, un gruppo di palestinesi si è avvicinato alla rete di separazione tra Gaza e Israele. Venerdì mattina, i militari di Tel Aviv avevano sparato ad un gruppo di contadini palestinesi, di nuovo a Khan Younis: Anwar Abdul Hadi Qudaih, 20 anni, è stato ucciso; diciannove i feriti.

Una rottura della tregua, secondo l’OLP. Un incidente, secondo Tel Aviv. Immediatamente le forze di polizia di Hamas sono state schierate al confine per evitare che altri eventi simili possano mettere in discussione la tregua raggiunta al Cairo mercoledì scorso. Israele controlla una linea di terra larga 300 metri al confine della Striscia, la cosiddetta “buffer zone”, teatro in passato di aggressioni armate da parte dell’esercito israeliano: il 35% degli appezzamenti agricoli si trovano nella lingua di terra militarizzata, dove i contadini palestinesi sono costretti a lavorare le proprie terre sotto la costante minaccia del fuoco israeliano.

Un ulteriore fattore di indebolimento dell’economia interna di Gaza, che l’operazione militare Colonna di Difesa non ha fatto che peggiorare. Secondo dati forniti dal governo di Hamas, i pesanti bombardamenti contro la Striscia hanno provocato danni per 1,245 miliardi di dollari: in otto giorni l’aviazione israeliana ha raso al suolo duecento abitazioni e ne ha parzialmente danneggiate 8mila; distrutti 42 edifici non residenziali, tra cui la sede del governo, tre moschee e circa cento uffici governativi.

Costi diretti, a cui si aggiunge il costo più terribile: 166 palestinesi uccisi dagli F16 israeliani, di cui almeno 43 bambini.

E tra le conseguenze dell’offensiva israeliana contro la Striscia c’è anche il nuovo tentativo delle due principali fazioni palestinesi di ritrovare l’unità: Hamas e Fatah si sono riavvicinati a pochi giorni dal lancio dell’operazione militare per affrontare al meglio la situazione a Gaza. Un’unità che appare come l’ultima opportunità per il presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, di risalire nei consensi, ai minimi storici in Cisgiordania.

Ieri una delegazione di Fatah è partita alla volta di Gaza, dove farà visita a ospedali e famiglie della Striscia. Mentre da Ramallah, l’ANP annuncia il rilascio dei prigionieri politici affiliati al movimento islamista, dopo che Hamas ha manifestato le stesse intenzioni: ieri il portavoce del governo della Striscia, Taher al-Nunu ha detto che sarà concessa l’amnistia a tutti i prigionieri affiliati o sospettati di affiliazione con Fatah.

Nabil Shaath, leader di Fatah, ha annunciato che nei prossimi giorni decine di detenuti membri di Hamas in Cisgiordania saranno liberati. Si attendono ulteriori meeting congiunti dopo il 29 novembre, quando Abbas si presenterà di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per chiedere il riconoscimento della Palestina come Stato non membro osservatore permanente.

La Palestina resta a guardare: dalle elezioni del 2006, vinte da Hamas, e dalla successiva separazione politica di Cisgiordania e Gaza in due distinte entità governative, la popolazione palestinese rimane scettica. Numerosi sono stati in passato i tentativi di riconciliazione tra le due fazioni, tentativi costantemente falliti per mancanza di volontà politica.

Ma con Hamas che cresce all’interno della società palestinese e che gode di una nuova inattesa legittimazione internazionale, l’ANP (e Fatah) sa di non poter proseguire in direzione della separazione. Con un dubbio in più: Abbas è considerato da Stati Uniti, Europa e Israele l’unico partner credibile nel processo di pace. Perdere tale status potrebbe provocare un terremoto economico a Ramallah, tenuta in piedi dal denaro dei finanziatori internazionali. Da una parte Hamas, dall’altra la comunità internazionale. In attesa del voto dell’Assemblea Generale dell’Onu e delle sue conseguenze, interne ed esterne.

da Nena News

UN bid, Hamas divisa sul sostegno ad Abbas

Emma Mancini

Betlemme, 26 novembre 2012, Nena News – A quattro giorni dall’entrata in vigore del cessate il fuoco tra Hamas e Israele, ieri le forze militari israeliane hanno nuovamente riaperto il fuoco al confine Sud, a Khan Younis, ferendo un giovane palestinese. Secondo l’esercito israeliano, un gruppo di palestinesi si è avvicinato alla rete di separazione tra Gaza e Israele. Venerdì mattina, i militari di Tel Aviv avevano sparato ad un gruppo di contadini palestinesi, di nuovo a Khan Younis: Anwar Abdul Hadi Qudaih, 20 anni, è stato ucciso; diciannove i feriti.

Una rottura della tregua, secondo l’OLP. Un incidente, secondo Tel Aviv. Immediatamente le forze di polizia di Hamas sono state schierate al confine per evitare che altri eventi simili possano mettere in discussione la tregua raggiunta al Cairo mercoledì scorso. Israele controlla una linea di terra larga 300 metri al confine della Striscia, la cosiddetta “buffer zone”, teatro in passato di aggressioni armate da parte dell’esercito israeliano: il 35% degli appezzamenti agricoli si trovano nella lingua di terra militarizzata, dove i contadini palestinesi sono costretti a lavorare le proprie terre sotto la costante minaccia del fuoco israeliano.

Un ulteriore fattore di indebolimento dell’economia interna di Gaza, che l’operazione militare Colonna di Difesa non ha fatto che peggiorare. Secondo dati forniti dal governo di Hamas, i pesanti bombardamenti contro la Striscia hanno provocato danni per 1,245 miliardi di dollari: in otto giorni l’aviazione israeliana ha raso al suolo duecento abitazioni e ne ha parzialmente danneggiate 8mila; distrutti 42 edifici non residenziali, tra cui la sede del governo, tre moschee e circa cento uffici governativi.

Costi diretti, a cui si aggiunge il costo più terribile: 166 palestinesi uccisi dagli F16 israeliani, di cui almeno 43 bambini.

E tra le conseguenze dell’offensiva israeliana contro la Striscia c’è anche il nuovo tentativo delle due principali fazioni palestinesi di ritrovare l’unità: Hamas e Fatah si sono riavvicinati a pochi giorni dal lancio dell’operazione militare per affrontare al meglio la situazione a Gaza. Un’unità che appare come l’ultima opportunità per il presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, di risalire nei consensi, ai minimi storici in Cisgiordania.

Ieri una delegazione di Fatah è partita alla volta di Gaza, dove farà visita a ospedali e famiglie della Striscia. Mentre da Ramallah, l’ANP annuncia il rilascio dei prigionieri politici affiliati al movimento islamista, dopo che Hamas ha manifestato le stesse intenzioni: ieri il portavoce del governo della Striscia, Taher al-Nunu ha detto che sarà concessa l’amnistia a tutti i prigionieri affiliati o sospettati di affiliazione con Fatah.

Nabil Shaath, leader di Fatah, ha annunciato che nei prossimi giorni decine di detenuti membri di Hamas in Cisgiordania saranno liberati. Si attendono ulteriori meeting congiunti dopo il 29 novembre, quando Abbas si presenterà di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per chiedere il riconoscimento della Palestina come Stato non membro osservatore permanente.

La Palestina resta a guardare: dalle elezioni del 2006, vinte da Hamas, e dalla successiva separazione politica di Cisgiordania e Gaza in due distinte entità governative, la popolazione palestinese rimane scettica. Numerosi sono stati in passato i tentativi di riconciliazione tra le due fazioni, tentativi costantemente falliti per mancanza di volontà politica.

Ma con Hamas che cresce all’interno della società palestinese e che gode di una nuova inattesa legittimazione internazionale, l’ANP (e Fatah) sa di non poter proseguire in direzione della separazione. Con un dubbio in più: Abbas è considerato da Stati Uniti, Europa e Israele l’unico partner credibile nel processo di pace. Perdere tale status potrebbe provocare un terremoto economico a Ramallah, tenuta in piedi dal denaro dei finanziatori internazionali. Da una parte Hamas, dall’altra la comunità internazionale. In attesa del voto dell’Assemblea Generale dell’Onu e delle sue conseguenze, interne ed esterne.
da Nena News

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