Quel giorno, la giudice venne ricusata per presunta parzialità da un avvocato che rappresentava un altro ex gerarca, imputato con Ríos Montt; accogliendo un ricorso dell’accusa, la Corte Costituzionale ha ora stabilito che la ricusazione fu indebita, riabilitando Flores e disponendo che tutto riprenda dal novembre di due anni fa.
In questo modo si allontana la possibilità che Ríos Montt, al potere fra il 23 marzo 1982 e l’8 agosto 1983, e il suo ex capo dell’intelligence militare, José Rodríguez, rispondano per la strage di 1771 indigeni Maya Ixiles, tra cui donne e bambini, in almeno 16 stragi perpetrate nel dipartimento nord-occidentale del Quiché durante la guerra civile (1960-1996).
Andranno di fatto perdute le decine di testimonianze rilasciate da periti e sopravvissuti che nel corso delle udienze iniziate il 19 marzo hanno ripercorso in un clima di dolore e commozione i 15 mesi di ‘tierra arrasada’ (terra bruciata) perpetrati dalle forze armate contro la popolazione civile. Tra le deposizioni, ne è emersa anche una rilasciata da un ex soldato che ha citato direttamente l’attuale presidente, il generale dell’esercito a riposo Otto Pérez Molina, come responsabile della caserma di El Pino di Nebaj dove furono portati e uccisi diversi indigeni.
“Riprendere il processo da una tappa già conclusa è illegale, è una burla” ha protestato il pm Orlando López; la pubblica accusa ha deciso di presentare appello contro la decisione del tribunale costituzionale. Mariela Bustamante, parente di una delle vittime, si è scagliata contro la giudice Flores definendola “ingiusta, codarda e complice degli assassini”.
Il processo era cominciato a marzo sulla base di una disposizione emessa a gennaio dopo che per anni la difesa dell’ex dittatore era riuscito a evitarlo anche grazie all’immunità parlamentare di cui Ríos Montt ha lungamente beneficiato fino alla fine dell’ultima legislatura.
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