Non era la prima volta che la gente scendeva in piazza in Libia per chiedere lo scioglimento delle milizie che fanno il buono e il cattivo tempo e la fine delle loro scorribande, e già in passato c’era stata tensione e qualche scontro. Ma quello che sta accadendo da ieri a Tripoli segna un punto di rottura nella già caotica situazione del paese spaccato in tre e sottoposto al ricatto dei cosiddetti ‘rivoluzionari’ che rifiutano di consegnare armi e potere ad un governo centrale poco più che simbolico.
Ad accendere la miccia è stata una manifestazione convocata ieri nella capitale contro una milizia proveniente da Misurata e che spadroneggia da tempo nel quartiere di Gharghour, vicino all’aeroporto internazionale della capitale. Una gran folla di contestatori ha realizzato una marcia, partita subito dopo la preghiera di mezzogiorno, e diretta verso il quartier generale delle milizie di cui la manifestazione chiedeva l’allontamento dalla capitale. Quando la folla si è avvicinata all’edificio i miliziani hanno cominciato a sparare sui dimostranti con le armi automatiche falciando le prime file del corteo. Una parte dei dimostranti dopo i primi morti si è allontanata, ma poi è tornata alla carica questa volta armi alla mano, ingaggiando una vera e propria battaglia con i miliziani asseragliati nella loro sede che ancora continua.
Alla fine della giornata di ieri il bilancio è stato, secondo il Ministero della Sanità libico, di 31 morti e 300 feriti. Ma il numero delle vittime della battaglia sta crescendo di ora in ora visto che gli scontri non sono affatto terminati. Secondo gli aggiornamenti gli scontri a fuoco di oggi avrebbero causato un’altra decina di morti e un centinaio di feriti, portando il bilancio totale a 40 vittime.
Secondo l’agenzia ufficiale Lena tra i morti ci sarebbero anche alcuni bambini. Fonti dell’agenzia Reuters hanno riferito di aver visto i miliziani usare addirittura un cannone anti-aereo contro la gente che urlava slogan contro la milizia di Misurata.
Ieri il primo ministro Zeidan aveva ribadito il suo invito a tutte le milizie ad abbandonare la capitale e comunque a consegnare le armi, ma finora tutti i suoi appelli sono rimasti inascoltati. D’altronde che il suo potere sia poco più che formale lo hanno dimostrato alcune settimane fa il rapimento di Zeidan da parte di alcuni miliziani e poi, recentemente, la formazione di un governo autonomo della Cirenaica che ha fondato anche una compagnia petrolifera diversa da quella statale e una specie di banca centrale locale. Zeidan ha mandato sul luogo dello scontro polizia ed esercito che nonostante lo schieramento di alcuni carri armati non è riuscito finora a interrompere lo scontro a fuoco.
Quanto accaduto a Gharghour potrebbe provocare altri scontri nel resto del paese, dove potrebbero prendere forza le manifestazioni dei giorni scorsi che chiedevano al governo di imporre il rispetto della legge 27 che prevede che i miliziani – considerati `eroi della rivoluzione´ nel 2011, quando venne rovesciato il regime di Gheddafi – siano integrati nell’esercito regolare oppure che le loro unità siano smantellate. La capitale era stata già la settimana scorsa teatro di scontri armati tra milizie rivali che avevano provocato tre morti e una trentina di feriti.
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