A giugno centinaia di delegati di Izquierda Unida, la sinistra unita spagnola, si erano riuniti a Madrid per dibattere numerosi temi legati alle conseguenze della crisi economica, alle alleanze internazionali e ad altre questioni. Tra le quali l’atteggiamento da tenere nei confronti dell’Euro e dell’Unione Europea. Dopo un dibattito assai sbrigativo, il segretario della coalizione ribadì quella che è la posizione ufficiale della Sinistra Europea: a favore dell’euro all’interno di una “Unione Europea radicalmente riformata”. Ad alcuni delegati la posizione era sembrata rinunciataria e al tempo stesso utopistica. Un po’ come chi, specularmente dall’estrema sinistra, parla di una rivoluzione socialista continentale per costruire “gli Stati Uniti socialisti d’Europa” (sic!). “Ciò che vogliamo è situare il dibattito sull’euro nel contesto di un processo costituente nuovo in Europa. (…) accettare l’uscita dall’euro sarebbe come chiudere il dibattito” aveva tuonato il responsabile della politica economica di IU, José Antonio García Rubio, rispondendo ad alcuni rappresentanti territoriali della coalizione di sinistra secondo i quali l’euro era uno dei problemi di una Unione Europea che “non può essere cambiata dall’interno”. Ma le loro rimostranze rispetto alla linea ufficiale erano state liquidate dal voto dei partecipanti alla conferenza: 106 a favore del documento riformista contro soli due contrari e 16 astensioni. La dimostrazione, secondo i dirigenti di Izquierda Unida, che la sinistra spagnola era in linea con la posizione dei suoi partner continentali, in particolare i tedeschi della Linke, i greci di Syriza, Rifondazione Comunista. Tutti a favore, anche se con sfumature diverse, di un discorso abbastanza fumoso sulla ‘rifondazione democratica dell’Europa’ e della ricontrattazione dei trattati e dei memorandum imposti ai Piigs dalla troika: con quali alleanze politiche e sociali e basandosi su quali rapporti di forza debbano essere ricontrattati i diktat di Bruxelles e di Francoforte non è dato sapere. In un intervento di natura fantapolitica, il parlamentare europeo di IU Willy Meyer dichiarò a giugno che la sinistra dovrebbe concentrarsi nello sforzo di “democratizzare la Banca Centrale Europea affinché l’euro diventi una moneta dei cittadini”…
La questione sembrava chiusa con la conferenza di giugno. Ma nel frattempo la crisi è peggiorata e la disoccupazione è aumentata. In Spagna come altrove. E i dubbi sulla possibilità concreta e reale di democratizzare una impalcatura istituzionale ed economica costruita ad immagine e somiglianza di una borghesia europea oligarchica e a guida tedesca sono cominciati a serpeggiare non solo nella base della Sinistra Unita spagnola, ma anche dentro Syriza e la stessa Linke tedesca.
Finché ieri, durante la seconda giornata del XIX Congresso del Partito Comunista Spagnolo, il dibattito sull’euro e l’UE è stato caratterizzato da ben altri toni e proposte. Durante il dibattito su un documento presentato da una cinquantina di delegati del PCE, riuniti nell’Auditorium Marcelino Camacho della capitale spagnola, si sono potuti ascoltare giudizi assai più duri nei confronti della moneta unica e dell’integrazione europea rispetto a quelli di giugno. La tesi più radicale è stata esposta dai rappresentanti delle Gioventù Comuniste di Spagna (UJCE) secondo le quali “l’unica opzione possibile a beneficio dei popoli è l’uscita dell’Unione Europea e dall’Euro perché l’UE ha un carattere irriformabile che potrebbe essere modificato solo potendo contare sulla maggioranza assoluta del Parlamento Europeo, il che è impossibile”. Che il parlamento europeo abbia tali poteri lo escludiamo, ma la forse ingenua presa di posizione dei giovani del PCE è il segnale che il dibattito sta maturando anche in forze politiche della sinistra continentale rimaste per anni alla finestra rispetto al processo di costruzione di un superstato europeo che rivela sempre più il suo volto aggressivo nei confronti dei popoli e delle classi lavoratrici. Il documento originale presentato dal partito sul tema parlava fumosamente di “rottura con l’attuale modello dell’UE e dell’euro per avanzare verso un modello di integrazione territoriale”, in continuità di fatto con le tesi riformiste di IU, di cui il PCE è fondatore e socio, sebbene spesso messo all’angolo dalle tendenze movimentiste e socialdemocratiche della coalizione. Anche i rappresentanti del PCE nel Pais Valencià hanno contestato la proposta ufficiale, chiedendo una posizione netta sulla questione.
Emendamenti e critiche non sono piaciuti a Willy Meyer e a Garcia Rubio, che hanno fatto notare che una decisione finale sul tema – che comunque non considerano centrale in vista delle prossime elezioni europee (!) – non potrà tener conto della posizione che verrà adottata dal Congresso del Partito della Sinistra Europea, previsto a Madrid il prossimo dicembre. Per ora il segretario generale dei comunisti spagnoli, José Luis Centella (votato dal 95% dei delegati), afferma che l’importante è “rompere con la UE e con l’euro” per cercare una nuova forma di integrazione continentale sul modello di quella latinoamericana. Il che, secondo i leader del Pce, richiede un processo costituente europeo basato su quattro punti: alternativa economica per i paesi del sud, strategia per rompere con l’UE e l’euro, alleanza dei popoli ‘debitori’ (di fatto i Piigs) e un programma economico.
D’altra parte la linea ufficiale del partito rimane quella della ‘disobbedienza’ nei confronti della troika e dei trattati europei. Un’ambiguità che prima o poi andrà sciolta. La crisi continua a macinare ricchezza sociale, diritti ed esistenze. Non è proprio il caso di essere titubanti e timidi.
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