I quotidiani internazionali hanno ormai dimenticato le grandi manifestazioni di Istanbul che per settimane, questa estate, hanno tenuto banco sulle prime pagine.
Le proteste contro il governo in Turchia proseguono, ma non con le dimensioni oceaniche che abbiamo visto fino al mese di agosto, scatenate dal movimento di difesa del Gezi Park, piccolo ma fondamentale fazzoletto verde nella metropoli sul Bosforo, e dalla opposizione ai processi di gentrificazione e cementificazione di una città al centro degli appetiti di una nuova classe dirigente liberalista e islamista raccolta intorno al partito di Erdogan, l’Akp.
Le manifestazioni continuano, dicevamo: quelle degli insegnanti, quelle di alcune comunità alevite, quelle dei curdi, quelle degli studenti della Odtu di Ankara che si oppongono alla distruzione del loro campus in nome della costruzione di una inutile autostrada… Il fatto che le dimensioni delle proteste siano minori rispetto al passato non significa che il governo sia diventato più tollerante, anzi. Non mancano cariche violente contro i dimostranti inermi, l’uso di idranti e spray urticanti, arresti e teste spaccate.
Nel frattempo sono le stesse ‘forze dell’ordine’ di Ankara ad elencare le conseguenze dell’ondata repressiva con la quale il governo dell’Akp ha affrontato e tentato di bloccare un’ondata di proteste popolari senza precedenti. Sono state più di cinquemila le persone fermate durante gli scontri dell’estate scorsa (molti di loro presto dovranno subire dei processi), e 190 di loro sono ancora in carcere: ad affermarlo una recente ricerca della polizia che ha coinvolto migliaia di fermati e ripreso ieri mattina dalla stampa turca. In un’intervista pubblicata ieri dal quotidiano Hurriyet Lobna Allami, una ragazza gravemente ferita il 31 maggio a Istanbul da un lacrimogeno sparatole alla testa e presto diventata una dei simboli della violenza della polizia, ha raccontato di aver riportato danni permanenti al cervello e avere difficoltà a parlare e a fare ragionamenti complessi “come una bambina di cinque anni”. Lobna, che soffre ora di afasia e di altri seri disturbi, è soltanto una delle migliaia di manifestanti feriti in questi mesi, secondo quanto ammette la stessa polizia in uno studio citato ieri sulla prima pagina dal quotidiano Milliyet.
Sono stati, infatti, più di 4mila i feriti (a decine hanno perso l’uso della vista da uno o da entrambi gli occhi) e cinque ufficialmente (ma sei o sette secondo i rapporti dei medici e dei coordinatori della protesta) le persone uccise durante le manifestazioni che hanno, secondo i dati contenuti nel rapporto, portato in piazza circa 3 milioni 600 mila persone in 80 città del paese nell’arco di poco meno di 4 mesi. Gli analisti delle forze dell’ordine turche, inoltre hanno condotto uno studio sulle 5 mila 500 persone fermate tracciando un identikit del manifestante medio. Secondo i risultati della ricerca il 50% di coloro che protestavano erano donne, il 78% membri della comunità musulmana sciita degli aleviti e la stragrande maggioranza sarebbe in possesso di un titolo d’istruzione superiore, avrebbe meno di 25 anni e un reddito inferiore alle 1000 lire turche (l’equivalente di 370 euro circa).
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