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Palestina. L’unità palestinese fa saltare i nervi a Israele e Stati Uniti

Nella giornata di ieri esponenti del movimento islamista Hamas e di Fatah hanno annunciato l’intenzione di formare un governo di unità nazionale “entro cinque settimane”. L’accordo sarebbe giunto dopo una lunga tornata di colloqui tenutisi a Gaza City tra Hamas e l’OLP: “Ci sono stati anche progressi sull’organizzazione delle future elezioni e sulla composizione dell’OLP”, ha detto un funzionario palestinese, rimasto anonimo.

Ieri lo stesso premier di Gaza Haniyeh aveva fatto pressioni per giungere in fretta ad un accordo di riconciliazione, “così da formare un solo governo, un solo sistema politico e un solo programma nazionale”. Come gesto di buona volontà, Hamas ha liberato dieci prigionieri membri di Fatah.

Il negoziato è proseguito a porte chiuse, ma il clima – fanno trapelare fonti di Hamas – “è più che positivo”. Resta da vedere se davvero questa volta alle parole seguiranno i fatti: non è certo la prima volta che le due maggiori organizzazioni palestinesi annunciano di aver trovato un accordo per la creazione di un governo ad interim, di unità nazionale, che conduca i Territori Palestinesi alle elezioni presidenziali e parlamentari rinviate continuamente negli ultimi anni.

Ma  la lunga serie di accordi firmati tra Fatah e Hamas in questi anni, al Cairo, a Riyadh e a Doha, non avevano prodotto risultati concreti indebolendo ulteriormente la già fragile posizione negoziatrice palestinese nelle trattative con Israele e gli Stati Uniti. Hamas non ha mai nascosto la sua opposizione al dialogo in corso tra Autorità Palestinese e Israele e l’annuncio di ieri giunge al momento “giusto”: una settimana prima della scadenza fissata a luglio dal segretario di Stato USA Kerry per concludere un accordo di pace tra israeliani e palestinesi. Un accordo che in realtà, in questi nove mesi, non è mai parso tanto lontano, ipotecato dalle azioni unilaterali da entrambe le parti e il rifiuto di rispettare le precondizioni di luglio da parte israeliana.

L’attuale stallo dei negoziati aveva visto il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat a ventilare una minaccia: quella di smantellare l’Autorità Palestinese perché priva nella realtà dei fatti di ogni tipo di potere politico, economico e sociale sui Territori. Una minaccia che se messa in pratica stravolgerebbe le carte in tavola, obbligando Israele a riprendere in mano la responsabilità dell’occupazione militare e la comunità internazionale a comprendere la pericolosità di uno status quo fragile e senza giustizia all’orizzonte.

Alla minaccia di Erekat sono seguiti i rimproveri statunitensi e le accuse israeliane, con il premier Netanyahu che puntava il dito contro l’ANP, definendola responsabile del fallimento del negoziato.

Il gabinetto di sicurezza israeliano si riunisce oggi per decidere la rappresaglia all’accordo di riconciliazione tra Fatah e Hamas annunciato ieri a Gaza. La radio statale israeliana ha parlato dell’adozione di dure misure punitive ma ha escluso l’arresto completo delle trattative con l’Anp di Abu Mazen. Un funzionario dell’ufficio del primo ministro Netanyahu ha descritto l’accordo di riconciliazione tra i due movimenti politici palestinesi “molto grave”.  Ieri Netanyahu aveva sentenziato che ”Chi sceglie Hamas, non vuole la pace, Abu Mazen ha scelto Hamas e non la pace con Israele”. Il premier quindi ha annullato l’incontro previsto tra i negoziatori delle due parti. L’esecutivo israeliano si fa forte anche della “delusione” americana per l’accordo Hamas-Fatah. Il Dipartimento di stato, attraverso la portavoce Jennifer Psaki, ha fatto sapere che l’accordo annunciato a Gaza potrebbe compromettere l’esito dei colloqui in corso per estendere le trattative di pace israelo-palestinesi oltre la scadenza prevista del 29 aprile.

(fonte: agenzia Nena News)

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