Non hanno riservato particolari novità o scossoni le elezioni politiche generali del 7 maggio in Sudafrica, le prime senza l’eroe della lotta contro l’apartheid Nelson Mandela, e le prime nelle quali hanno potuto votare alcuni milioni di giovani nati dopo la fine del regime segregazionista.
Niente sorprese, dicevamo, come già previsto dai sondaggi.
L’African National Congress del presidente Jacob Zuma si sarebbe affermato con più del 62% dei consensi quando la conta delle schede si avvicina ormai al 90% dei voti emessi. Quattro punti in meno rispetto alle precedenti consultazioni, segno che l’appeal del partito erede della lotta contro l’apartheid scende man mano che le promesse di riforma e di giustizia vengono deluse dai suoi capi trasformatisi in imprenditori o in burocrati politici. Ma segno anche che il potere rimane saldamente in mano ad un partito che continua a dominare la scena politica probabilmente più per la mancanza di una credibile alternativa all’interno della comunità nera. L’ex leader della gioventù dell’Anc Julius Malema, cacciato dal partito per le sue posizioni di rottura con l’establishment sulle questioni sociali, ha ottenuto per il suo neonato partito – l’Economic Freedom Fighters – un non disprezzabile 5% (nella foto un loro raduno). Voti presi tra i settori popolari della comunità nera estremamente critici con l’appoggio dato dall’Anc agli imprenditori e alle multinazionali straniere del settore minerario contro le quali, negli ultimi anni, si sono sviluppate intense mobilitazioni sindacali che hanno rotto l’egemonia delle sigle legate all’Anc e desiderose di concertazione.
Se l’Anc ha perso consensi a sinistra, altri sono andati ‘a destra’ verso i liberaldemocratici di Democratic Alliance, che ha superato il 22% ma che, anche avendo conquistato consensi all’interno delle classi medie nere impaurite dalle piaghe della criminalità e della corruzione, non è riuscita a sfondare più di tanto al di fuori della comunità bianca.
Buona l’affluenza, che ha toccato il 72,75%, contraddicendo quegli analisti che prevedevano un’astensione record frutto del disamore e della disillusione degli elettori alle prese con una economia in crescita ma senza riforme sociali e senza segnali di redistribuzione. Rispetto alle scorse elezioni del 2009, gli aventi diritto registrati nelle liste – 25 milioni e 300 mila – sono cresciuti di 2 milioni e 200 mila.
Non sembra aver fatto particolare breccia tra i sudafricani la dichiarazione dell’arcivescovo anglicano Desmond Tutu – l’ultimo dei protagonisti dell’epica lotta contro l’apartheid a non essersi compromesso – che alla vigilia del voto aveva affermato che non avrebbe sostenuto, anche se a malincuore, l’Anc di Zuma.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa