Da quando è arrivata Syriza al governo, con l’intenzione di “ridiscutere” i termini dei programmi di “aiuti” concessi ad Atene, andiamo scrivendo che il vero problema è che il debito greco non può essere ripagato. Né ora, né mai.
Non siamo dei geni incompresi. Lo dicono tutti quelli che non siedono sulle poltrone della “Troika”, altrimenti detti “le istituzioni” o anche “i creditori”. Il vero mistero è come facciano, quei signori, a far finta che il debito sia ripagabile purché Atene accetti di fare le “riforme strutturali” che loro pretendono di imporle. Tanto più che i precedenti governi ellenici le avevano accettate e messe in pratica, ottenendo lo straordinario – e previsto – risultato di far aumentare il debito pubblico rispetto al Pil, anziché diminuirlo.
Anche in questo caso non ci riteniamo dei geni. Basta uno studente del primo anno per spiegare che imponendo misure recessive (tagli di spesa e aumenti di tasse) a un paese in crisi, il Pil è obbligato a diminuire; mentre il debito, se pure diminuisce di poco, ha una dinamica molto più lenta. E quindi la proporzione aritmetica debito/Pil non può che dare un risultato in crescita. Dal 125 al 180%, “grazie” ai diktat della Troika.
Soprattutto, la Troika si è trovata davanti una delegazione di economisti raziocinanti, guidata da Yanis Varoufakis, che fin dal primo giorno aveva messo sul tavolo l’obiettivo della ristrutturazione-riduzione del debito ellenico. Banalmente, un cosa è stilare un “piano di rientro” per un debito – poniamo – del 100%; cosa del tutto diversa è fare calcoli a partire da quasi 200… Ne vengono fuori “rate” fuori dalla grazia di dio, inconcepibili per un debitore che sta cercando gli spiccioli per mangiare oggi.
L'”offerta” ultimativa della Troika si riduce in sintesi a questo: noi ti prestiamo (una tantum) altri 15 miliardi, ma tu fai una lista di “”riforme strutturali” per metterti in condizione di rilanciare l’economia e ripagarci l’intero debito che di devi. In pratica, però, avverrebbe l’opposto: ti facciamo aumentare il debito (di altri 15 miliardi) e ti mettiamo in condizione di perdere altri pezzi importanti della tua struttura economica (spesa pubblica compresa). Wolfgang Munchau, analista del Financial Times, aveva qualche settimana fa calcolato nel 12,5% l’ulteriore calo del Pil ellenico in soli quattro anni, se Tsipras avesse accettato quelle condizioni.
Senza ristrutturazione-riduzione del debito, insomma, nessun governo riuscirebbe a riportare la Grecia a livelli tali da poter stare dignitosamente dentro il recinto definito dalla moneta unica. Ma proprio questo punto è tabù per i vari Schaeuble, Dijsselbloem, Markel, Tusk, Draghi, Juncker, ecc.
Se nè infine accorto anche IlSole24Ore, come poetete leggere qui di seguito.
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Il realismo che manca sul nodo del debito
di Giuseppe Chiellino
Dalle dieci slides pubblicate domenica dalla Commissione europea per rendere pubbliche le richieste formulate al Governo greco ne manca una. La più importante, probabilmente avrebbe dovuto essere la prima. È la slide in cui la troika si sarebbe dovuta impegnare a cancellare una parte consistente di quei 350 miliardi di debito che stanno schiacciando l’economia del Paese e che rischiano di mettere a repentaglio l’intero progetto europeo.
Questo è il nodo vero su cui si è incagliato il negoziato: il debito. Lo aveva già riconosciuto dieci giorni fa il capo economista del Fondo monetario, Olivier Blanchard, definendolo un «trade off», uno scambio con le riforme. Lo ha ripetuto ieri il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, forse fuori tempo massimo e comunque rinviando la discussione all’autunno. È alla ricerca della “prova inconfutabile” che il governo greco è intenzionato davvero a fare le riforme. E non gli si può dar torto, visto l’atteggiamento negoziale tenuto da Alexis Tsipras e dai suoi ministri. Tsipras, invece, ha chiesto di invertire l’ordine temporale, per portare a casa il trofeo dell’haircut e poter chiedere agli elettori di sopportare i sacrifici imposti dalla troika. È il tentativo di mascherare una perdita di sovranità ineluttabile per un Paese così indebitato. Anche questo è comprensibile.
Ciò che invece non è comprensibile all’uomo comune europeo, cittadino ed elettore, è l’assoluta incapacità della politica di trovare – in mesi di negoziati – un punto di incontro, un compromesso, nella consapevolezza reciproca che i creditori e i loro contribuenti non possono continuare a versare risorse «in un secchio bucato» – come è stato definito il bilancio di Atene – ma che allo stesso tempo l’austerity imposta in questi anni ai greci non ha funzionato e il rapporto debito/Pil ha continuato a crescere in modo inesorabile.
Senza scomodare Bismarck (guarda il caso, un tedesco) si è dimenticato che la politica è l’arte del possibile, soprattutto in una Unione giovane, cresciuta troppo in fretta e perciò gracile. E inesperta. Il dubbio, fondato, è che sin dall’inizio ci sia stata da una parte e dall’altra la volontà di arrivare al punto di rottura, spinti anche da profonde divergenze ideologiche.
L’esposizione dei creditori nei confronti della Grecia è destinata ad aumentare e solo un bambino ingenuo può illudersi che l’ennesimo piano lacrime-e-sangue consenta di recuperare tutti i quattrini da un debitore nelle condizioni della Grecia. Tanto vale prenderne atto, prima possibile e con una buona dose di realismo, per cercare una via d’uscita che metta al primo posto l’interesse comune dell’Unione monetaria e, forse, dell’Europa. È ancora possibile evitare di infliggere umiliazioni troppo pesanti ai greci e ulteriori perdite ai creditori.
30 Giugno 2015
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