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Kiev, prove di normalizzazione targate Ue. Ma è rottura su gas e autonomia del Donbass

La ripresa dei combattimenti in molti punti del Donbass hanno dimostrato quanto gli accordi presi tra le parti nell’ambito del cosiddetto “Minsk 2” siano fragili e praticamente impossibili da soddisfare. D’altronde l’esercito ucraino e la Guardia Nazionale composta dai battaglioni di estrema destra non nascondono che la lunga quanto relativa tregua stia servendo a preparare meglio le truppe di Kiev ad un nuovo intenso scontro militare con le milizie del Donbass. Ma secondo alcuni dei dirigenti europei che pure sostengono i golpisti è evidente come non ci possa essere una soluzione militare del conflitto, partendo dal fatto che sia gli abitanti delle regioni orientali insorte sia il governo ucraino non sono nelle condizioni di rovesciare completamente a proprio favore la situazione dal punto di vista militare. Se anche gli Stati Uniti e la Nato decidessero di fornire armi pesanti all’Ucraina e di fornire ulteriore appoggio per tentare la svolta, gli indipendentisti vedrebbero aumentare a loro volta il sostegno aperto di Mosca (un ragionamento, quello dei governi europei, che parte dal presupposto che la Russia ha ancora fatto poco per sostenere i cosiddetti ‘separatisti’, contrariamente a quanto afferma la propaganda occidentale che parla di decine di migliaia di militari di Mosca schierati a Donetsk e Lugansk). A quel punto l’equilibrio sarebbe più o meno ristabilito ma la tensione tra Europa e Federazione Russa sarebbe ulteriormente aumentata, a tutto vantaggio delle mire egemoniche statunitensi sull’Unione Europea perniciose per le aspirazioni di Bruxelles ad una certa indipendenza militare da Washington. Ai più sembra che le varie potenze coinvolte nel conflitto siano interessate a lasciare la situazione così com’è, senza cambiamenti sostanziali che potrebbero far precipitare uno scontro diretto latente ma evidente. Al contrario, l’asse franco-tedesco sembra spingere per rafforzare una pacificazione almeno di facciata in nome di una normalizzazione nell’area che allo stato appare comunque estremamente lontana.

Dopo l’ultimo incontro di martedì scorso tra ministri degli Esteri di Ucraina, Russia, Germania e Francia si è sostenuto da tutte le parti che l’intesa di Minsk rimane la base per la pacificazione, anche se lenta e faticosa. Già la settimana precedente però il Commissario europeo per l’Allargamento Johannes Hahn è arrivato a Kiev facendo pressioni su presidente e governo perché l’Ucraina soddisfi i propri obblighi fissati dagli accordi firmati all’inizio di febbraio, senza aspettare che i primi passi li facciano le Repubbliche Popolari. Magari non sul piano militare, quanto su quello politico. La questione principale riguarda il futuro status delle regioni insorte e che di fatto ormai da un anno costituiscono un territorio indipendente, in tutto e per tutto, da Kiev.
Nei giorni scorsi il quotidiano Ukrainskaya Pravda, dichiaratamente filoeuropeo, ha scritto di una possibile revisione di alcuni punti degli accordi di Minsk, con la concessione di uno status speciale ai territori insorti di tipo permanente e non solo per un periodo limitato. Un’opzione a cui non solo Bruxelles, ma anche Mosca )sarebbe favorevole e che però era stata esclusa fermamente dal regime di Kiev. A quel punto il Donbass riceverebbe un’ampia autonomia politica, culturale, linguistica all’interno di una formale accettazione della sovranità ucraina, e potrebbe comunque conservare un qualche collegamento con la Federazione Russa. Almeno in teoria, perché nella pratica è davvero ostico pensare oggi ad un ritorno, seppur parziale, di quei territori martoriati sotto l’egida degli ultranazionalisti e sciovinisti di Kiev.
Che continuano a rifiutare ogni dialogo con le autorità delle due repubbliche, a partire dal premier Arseni Yatseniuk che ripete in ogni occasione che “non tratta con i terroristi”, nonostante che gli accordi di Minsk 2 riconoscano lo status di negoziatori per Alexander Zakharchenko e Igor Plotnitsky, i presidenti delle due entità indipendentiste. Ma qualcosa si starebbe muovendo, per effetto delle pressioni di Bruxelles e Mosca, anche secondo Vesti, pubblicazione ritenuta filorussa e vicina alle posizioni di quel poco d’opposizione che rimane all’interno del parlamento blindato di Kiev. Secondo Vesti le cancellerie russa e ucraina starebbero discutendo sottobanco a proposito di un compromesso sul Donbass sulla base del quale gli interi oblast di Donetsk e Lugansk, e quindi non solo i territori liberati dai suoi abitanti finora, diventerebbero una unica regione sotto sovranità ucraina ma dotata di una sostanziale autonomia.
A remare contro sarebbero soprattutto le forze ultranazionaliste all’interno del governo e del parlamento di Kiev, a partire proprio dal falco Yatseniuk che guida una vasta schiera di leader politici estremisti e comandanti dei battaglioni neonazisti ‘prestati alla politica’. Secondo le indiscrezioni il più pragmatico Petro Poroshenko, oligarca e presidente post golpe, non riuscirebbe a far ingoiare all’estrema destra una ricucitura con le province ribelli. Il progetto costituzionale presentato da Poroshenko concede infatti maggiori poteri alle singole regioni ma non conferma lo statuto di semi-autonomia di cui godono teoricamente già i territori sotto il controllo delle milizie popolari, che dovrebbe venire regolato da una legge ad hoc con validità solo triennale. Se anche Poroshenko e le cosiddette ‘colombe’ filoeuropee riuscissero a imporsi sugli ambienti più estremisti (e per giudicare Poroshenko un moderato ce ne vuole), la legge dovrebbe comunque passare al vaglio del parlamento, e la Rada è dominata da forze tutt’altro che disponibili a negoziare l’autonomia con quelli che vengono definiti ‘separatisti’ quando non direttamente ‘terroristi’.
Naturalmente su questo punto il dialogo tra Kiev e Mosca non procede certo a gonfie vele. Nei giorni scorsi la Russia ha fortemente criticato il progetto di riforma costituzionale ucraino imposto proprio dagli accordi di Minsk 2, ritenendo che la autorità di Kiev abbiano “totalmente ignorato” le proposte delle popolazioni del sud-est del paese.

Secondo il viceministro degli Esteri russo, Grigory Karassin, le mancate consultazioni fra il governo di Kiev e i ribelli costituiscono una violazione degli accordi firmati nella capitale bielorussa lo scorso 2 febbraio. La questione verrà affrontata dallo stesso Karassin in un colloquio previsto il 9 luglio prossimo con il vicesegretario di Stato americano, Victoria Nuland, molto attiva nel sostegno ai golpisti ucraini già quando si presentava in Piazza dell’Indipendenza, a Kiev, per aizzare la folla contro il governo locale e contro Mosca. Che da parte sua ha annunciato l’immediata cessazione delle forniture di gas all’Ucraina dopo il fallimento dei colloqui a Vienna tra Kiev, Mosca e Bruxelles sulle condizioni di fornitura del metano alla repubblica ex sovietica. “Sia le forniture di gas all’Ucraina sia il transito verso l’Ue non sono in pericolo”, ha dichiarato Maros Sefcovic, vice presidente della Commissione Europea per l’unione energetica, di fatto lasciando intendere che sarà Bruxelles a pagare le forniture russe alla nuova colonia orientale di Bruxelles. Ma Kiev da parte sua ha minacciato di interrompere del tutto le forniture di gas ai territori del paese in mano ai ribelli. La soluzione al conflitto, al di là delle aspirazioni di Mosca e Bruxelles ad una almeno parziale ricomposizione, sembra parecchio lontana.

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