La questione è politica, l’economia non c’entra più molto. La Germania vuole la Grecia fuori dall’euro, almeno temporaneamente. La posizione è attribuita al potente ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble. Il quale avrebbe avuto un durissimo faccia a faccia con Angela Merkel perché intende porre il veto a qualsiasi accordo, su qualsiasi “piano”.
Lo riporta la Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz), che afferma di aver preso visione di un documento del ministero delle Finanze tedesco, inviato peraltro ai coleghi dell’Eurogruppo. I giudizi di Schaeuble sulla nuova “proposta greca” (in realtà scritta dai francesi) è definitivo: “insufficienti”.
L’alternativa è drastica: in cambio del nuovo ciclo di “aiuti” Berlino vorrebbe la creazione di un fondo fiduciario da 50 miliardi di euro in cui trasferire asset pubblici greci da privatizzare in caso non venisero ripagate delle rate del debito. Perché a giudizio degli esperti al servizio di Schaeuble, “Mancano ambiti centrali di riforma per modernizzare il Paese e produrre crescita e sviluppo sostenibile nel lungo periodo”. Derro meno gentilmente: quel paese non ha i fondamentali per essere reso “competitivo” al punto di poter stare nell’Unione Europea.
Berlino è inoltre decisa a porre il veto sull’allungamento delle scadenze del debito greco fino a 60 anni (un’idea del Fondo Monetario Internazionale, mica di qualche elemosiniere!). Un’estensione così lunga – di fatto un raddoppio – consentirebbe secondo i tecnici di Washington di rendere “sostenibile” il debito di Atene senza necessità di ridurlo con una rinuncia da parte dei creditori.
Nel corso di questi cinque anni di purgatorio la Grecia potrebbe, a suo avviso, ristrutturare il debito (non pagando almeno alcuni dei propri creditori), aggiustare i conti, fare le “riforme” e poi, una volta conclusa la macelleria sociale, provare a rientrare.
Non sarebbe però una “liberazione” della Grecia dalle catene della Troika. Il monitoraggio sarebbe invece ancora più ferreo, in pratica una presa del governo nelle mani della Troika. Ma senza più impegnare le finanze dei “partner” in salvataggi all’ultimo secondo.
Di fatto, Schaeuble la intende come una “punizione collettiva” per un intero popolo, perché oltre ad abbassare definitivamente la testa dovrebbe sperimentare un massacro tale da scoraggiare in futuro qualsiasi idea di “recupero della dignità”, se non addirittura di ribellione.
Inoltre la “cura” costituirebbe un esempio “pedagogico” per tutti gli altri paesi, in cui va montando l’insofferenza di massa verso l’Unione Europea, le sue regole e anche la moneta unica.
L’idea di Schaeuble non è nuovissima, è una sua vecchia fissazione – suggerita dal professor Hans-Werner Sinn, presidente dell’Ifo (un istituto che rilascia mensilmente un famoso indice sulla “fiducia delle imprese”), consigliere dello stesso Schaeuble – che affronta però alla radice il problema dei paesi Piigs, che non ce la fanno a fare contemporaneamente tagli di spesa, “riforme strutturali” e aggiustamenti di bilancio. Se l’idea passa – se ne sta discutendo, sembra, all’interno dell’Eurogruppo, anche se piovono smentite – bisognerà cambiare i trattati, perché l’ipotesi di uscita dalla moneta unica, anche solo temporanea, non era stata assolutamente presa in considerazione. Voci dal negoziato, infatti, spiegano che l’ipotesi «non può essere presa sul serio», perché «è legalmente infattibile, senza senso economico e non in linea con la realtà politica».
Per realizzarla dunque, servirebbe paradossalmente una “riforma” dell’Unione Europea, ma di segno opposto ed esclusivo. Per restringerne il perimetro e blindare le mitiche “regole”
Quelli che pensavano che sarebbe stato sufficiente piegarsi ai diktat e rinunciare ai programmi riformisti con cui si era stati eletti sono serviti. I “mediatori” anche.
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