A causa delle politiche lacrime e sangue applicate dai diversi governi sotto dettatura dell’Unione Europea e del Fmi da cinque anni a questa parte, il numero di greci che vive in condizioni di povertà è raddoppiato rapidamente. Di conseguenza, quattro greci su 10 dispongono oggi di un reddito al di sotto della soglia di povertà fissata nel 2009. E’ questa la foto che emerge dall’ultimo rapporto redatto dalla Confederazione generale dei lavoratori greci (Gsee, il principale sindacato ellenico) circa il rapido deterioramento degli indici-chiave dell’economia. Lo studio è già nelle mani del premier Alexis Tsipras, del governatore della Banca di Grecia (BoG) Yannis Stournaras, nonché dei leader dei diversi partiti. Allo stato però il governo non è nelle condizioni di invertire la tendenza dopo l’accettazione lo scorso 12 luglio da parte del premier di un Terzo Memorandum infarcito di nuovi tagli alla spesa pubblica, di nuove tasse, di privatizzazioni e liberalizzazioni che non faranno altro che deprimere l’economia di un paese che invece sperava in una inversione di tendenza. Tra l’altro proprio in queste ore ad Atene i rappresentanti del Fondo Monetario, della Commissione Europea, della Bce e del Fondo Salva Stati stanno insistendo con il governo affinché accetti ulteriori restrizioni rispetto a quelle ‘concordate’ – con la pistola puntata alla tempia di Tsipras – pochi giorni fa, a partire da una decurtazione dei salari dei neoassunti del 10% e degli assegni pensionistici del 30%. Misure che, afferma la troika, dovrebbero essere varate a passo di carica, non oltre la metà di agosto se Atene vuole avere accesso al promesso piano di nuovi prestiti per 85-90 miliardi di euro. L’altro ieri i tecnici della troika sono entrati nella sede della Ragioneria dello Stato coprendosi i volti per timore di ritorsioni. Ieri invece sono arrivati i capi-missione delle quattro diverse istituzioni Delia Velculescu (denominata «Draculescu» per il ruolo avuto a Cipro) per il Fmi, Declan Costello per la Commissione Europea, Rasmus Rueffer per la Bce e l’italiano Nicola Giammarioli per il Mecccanismo europeo di stabilità. Ruffer si è fatto le ossa con la Troika in Portogallo. Racconta Francesco de Palo su Il Fatto Quotidiano che di lui, nel 2012, Arménio Carlos, segretario generale della Confederação Geral dos Trabalhadores Portugueses disse: “Questi signori si comportano come dei robot. Sono venuti qui con una missione e, potete starne certi, la missione non è quella di aiutare il Portogallo. Sono qui per aiutare i mercati”. In quella circostanza Ruffer lavorò su una piattaforma che prevedeva: la cancellazione di ogni vincolo al licenziamento e riduzione degli indennizzi; l’allargamento dei contratti precari e cancellazione della contrattazione collettiva; il taglio dell’indennità per straordinari e per i giorni di riposo; il taglio delle 4 giornate festive; l’allungamento della giornata lavorativa fino a 12 ore al giorno e fino a 60 ore settimanali; il taglio del giorno di riposo compensativo e soprattutto del sussidio di disoccupazione per il 20%. Dopo la cura da cavallo i conti del Portogallo stanno tornando a posto, ma altrettanto non si può dire delle condizioni di vita e di lavoro di milioni di lavoratori, disoccupati e pensionati portoghesi.
Per tornare alla Grecia, nel 2009, secondo il rapporto del Gsee, la percentuale di lavoratori a tempo pieno che vivevano in condizioni di povertà assoluta era del 7,6%, mentre nel 2012 era salita al 19,7%, ed oggi è facile pensare che superi il 25%. Per i lavoratori a tempo pieno autonomi, nel 2009 la percentuale di coloro che vivevano in povertà era del 23,5%, contro il 37,4% del 2012 (anche se in questo ramo i dati potrebbero essere falsati dall’ampia diffusione dell’evasione fiscale). La percentuale di coloro che vivevano in povertà assoluta era ancora più elevata per i lavoratori part-time che nel 2009 era al 30,1% e che nel 2012 aveva raggiunto il 51,7%. Inoltre, il rapporto rileva che il numero degli occupati part-time sta costantemente guadagnando terreno a spese dei lavoratori a tempo pieno: la loro percentuale è aumentata in modo significativo passando da circa il 6% del 2009 al 10% nel 2014, mentre la percentuale di persone che lavorano part-time involontario è schizzata al 70%.
Nel frattempo, il numero dei disoccupati è quadruplicato, passando da 364mila nel terzo trimestre del 2008 a un milione e 340mila nel primo trimestre del 2014. In totale, nel 2009 il 34,8% dei disoccupati viveva in povertà, mentre nel 2012 erano il 65,5% anche a causa del taglio dei sussidi e dell’aumento dei costi per curarsi anche all’interno del sistema sanitario pubblico salassato dalla spending review. Attualmente il tasso di disoccupazione è tornato sopra quota 26% nonostante decine di migliaia di giovani ogni anno lascino il paese per tentare di trovare una vita migliore nel Nord Europa, in Australia, in Canada e negli Stati Uniti.
L’economia greca affonderà quest’anno nella recessione ad un tasso almeno del 2,5%, anche se alcune stime più recenti parlano di un’accelerazione verso il 4%. Quest’anno è previsto anche un aumento dell’inflazione a causa dell’imposizione da parte del governo del rialzo dell’Iva anche su una parte dei prodotti di prima necessità, il che eroderà il potere d’acquisto di salari e pensioni ormai striminziti.
Nelle previsioni per il resto del 2015, la Fondazione per la ricerca economica e industriale (Iobe) di Atene, pur considerando un bene l’aver evitato l’espulsione dall’eurozona, avverte che gli effetti negativi dei recenti sviluppi politico-economici imposti al paese saranno difficilmente reversibili.
Nel presentare la relazione, nei giorni scorsi il Direttore Generale della Iobe, Nikos Vettas, ha parlato di gravi danni per l’economia locale.
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