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No di Mosca all’intervento Usa contro le forze siriane

Dopo un lungo periodo di silenzio (che a molti era sembrato un sostanziale via libera all’intervento turco), il governo russo ha fatto sapere ieri di non essere affatto d’accordo con l’ulteriore coinvolgimento degli Stati Uniti contro le forze militari siriane.

Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha bollato come “controproducente” l’annuncio di Washington sul via libera concesso alla propria aviazione per condurre attacchi contro chiunque minacci od ostacoli le truppe mercenarie che Washington e Ankara invieranno nel nord della Siria per realizzare la cosiddetta ‘safe zone’, di fatto un’autorizzazione ad aggredire militarmente anche le forze armate di Damasco. Nel corso di una conferenza stampa in Qatar, Lavrov ha condannato le dichiarazioni della Casa Bianca, che aveva parlato di “passi aggiuntivi” allo scopo di proteggere gli alleati in Siria e aveva intimato al regime di Bashar al Assad di non ostacolare le loro azioni. “Crediamo sia controproducente annunciare pubblicamente che alcuni gruppi armati addestrati dagli Stati Uniti…saranno sotto la protezione delle forze aeree della coalizione”, ha affermato Lavrov, “E che per proteggere questi gruppi, questa forza aerea sarà autorizzare a colpire chiunque possa – possa – essere considerato un ostacolo al lavoro di questo gruppo”. “Mosca ha sottolineato più volte che aiutare l’opposizione siriana, senza parlare dell’aiutare con mezzi economici o tecnici (militari, ndr), porterebbe a una ulteriore destabilizzazione della situazione in Siria” aveva affermato qualche ora prima il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.
Di fatto la strategia statunitense – sempre che Washington ne abbia una e non agisca alla giornata cercando di barcamenarsi in un settore del mondo in cui ormai deve fare i conti con competitori troppo attivi e presenti – appare un ‘non sense’. Ufficialmente l’obiettivo numero uno è quello di contrastare militarmente lo Stato Islamico e Al Qaeda, ma al tempo stesso la Casa Bianca dà mano libera ai turchi che sostengono i jihadisti e il cui obiettivo è quello di eliminare il governo siriano e di spazzare via l’autogoverno realizzato dai curdi e dalle altre comunità nel nord, proprio dove deve sorgere la ‘zona cuscinetto’. Quindi con la scusa di combattere lo Stato Islamico e di proteggere i circa 5000 mercenari addestrati in Turchia allo scopo, le forze armate di Washington dichiarano che da ora sono pronte a colpire – e quelle turche faranno lo stesso, a maggior ragione – le forze militari siriane che stanno contrastando l’avanzata dei jihadisti, indebolendo inoltre le milizie popolari curde. Barack Obama, affermano numerosi media del paese, ha auto­riz­zato attac­chi aerei per difen­dere i ribelli siriani armati e adde­strati da Washing­ton «sia se col­piti dall’esercito di Dama­sco sia dall’Isis». Un passo che di fatto rimette l’orologio a due anni fa, quando l’amministrazione Obama insieme a quella francese stava per far decollare i caccia per l’inizio dei bombardamenti su Damasco, operazione frustrata all’epoca dall’opposizione di Russia e Cina.
Che si tratti di una strategia difficilmente sostenibile e più orientata a soddisfare le necessità di Ankara che di Washington lo dimostra la debolezza della forza mercenaria che dovrebbe rappresentare la nuova fanteria della coalizione “anti Isis” a guida statunitense. Oggi altri 5 miliziani della cosiddetta ‘Divisione 30’ sono stati catturati dai qaedisti di Al Nusra nel nord della Siria, dopo che nei giorni scorsi altri 18 avevano subito la stessa sorte o erano stati uccisi dai concorrenti estremisti. Quanto all’efficacia e alla motivazione dei mercenari il cui addestramento e armamento stanno costando all’amministrazione Usa soldi e sudore, è molto dubbio che i famosi 5000 ‘ribelli siriani’ possano essere schierati nel Nord della Siria in tempi brevi. I portavoce di alcuni dei gruppi di mercenari assoldati dalla Turchia e dagli emissari statunitensi nell’area hanno fatto sapere che a loro interessa più disarcionare Assad che combattere miliziani jihadisti con i quali spesso condividono obiettivi e visione del mondo.
Insomma non necessariamente i piani di Obama andranno in porto così come stabiliti. Intanto per Washington è il momento di un grattacapo non da poco. Che i bombardamenti aerei della cosiddetta coalizione internazionale in Siria e in Iraq provocassero vittime tra i civili – esattamente come quelli delle forze militari lealiste siriane – si sapeva, anche se media e governi avevano finora fatto finta di nulla. Ma ora un rapporto presentato da un gruppo di monitoraggio indipendente, Airwars, certifica che i civili maciullati dalle bombe sganciate dai caccia statunitensi, britannici e delle petromonarchie sono centinaia. Secondo Airwars, in soli 57 attacchi aerei condotti in Iraq e Siria nel corso dell’ultimo anno sono morte almeno 459 persone. Inoltre gli stessi raid avrebbero anche causato almeno 48 decessi da “fuoco amico”, uccidendo soldati iracheni o miliziani dell’Esercito Siriano Libero.
Sul fronte turco, giusto per fugare ogni dubbio sul reale obiettivo del regime di Ankara, ieri quattro giudici che a gennaio avevano ordinato alle forze di sicurezza di fermare e perquisire alcuni camion gestiti dal Mit (i servizi segreti) e che portavano armi ed equipaggiamenti destinati ai tagliagole dello Stato Islamico sono stati arresti con l’accusa di complottare per rovesciare il governo.

 

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