Si è repentinamente innalzato il livello della retorica bellica di Kiev, dichiarava ieri una nota del Ministero degli esteri russo. “Avendo rifiutato di firmare – nel corso dell’ultima riunione del gruppo di contatto a Minsk – il documento già pronto e concordato sul ritiro dalla linea di contatto e per una distanza di 15 km, di carri armati, artiglieria fino a 100 mm e mortai fino a 120 mm, la qual cosa avrebbe contribuito alla riduzione della contrapposizione nella regione, il potere ucraino, adducendo perentoriamente non meglio precisate minacce e provocazioni, ha iniziato a declamare sul ritorno alle posizioni di attacco del proprio armamento pesante e delle artiglierie, in precedenza portati nelle retrovie in attuazione del complesso di misure in attuazione degli accordi di Minsk del 12 febbraio 2015”.
Messa accanto agli ultimi avvenimenti sul terreno nel Donbass, la nota del Ministero degli esteri di Mosca, solitamente molto controllato nell’evitare qualsiasi riferimento anche indiretto a favore o meno di una delle parti in conflitto, porta inevitabilmente a pensare che, ciò che da alcune settimane anche fonti occidentali riportano, stia per accadere: Kiev si starebbe preparando a grandi passi a un’offensiva contro la Novorossija.
Ieri, anche il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Nikolaj Patrušev, ha dichiarato che il documento posto a base strategica del Consiglio di sicurezza ucraino fornisce “la base per l’ulteriore politica di militarizzazione, dà possibilità a USA e Nato di utilizzare le risorse ucraine e tende a una nuova escalation del conflitto nel sudest del paese”. Il documento cita quale pericolo principale per il paese “la minaccia russa e richiede, secondo le linee Nato, la destinazione a sicurezza e difesa di almeno il 5% del bilancio.
Quanto poi a retorica, quella attuale ucraina ricorda tanto da vicino i famigerati falò appiccati ottant’anni fa dagli idoli in camicia bruna degli attuali “combattenti volontari” galiziani inquadrati nei vari “Azov”, “Ajdar” o Pravyj sektor: dopo la lista nera di attori, cantanti, scrittori, russi o naturalizzati, cui è vietato l’ingresso in Ucraina (lista che viene aggiornata e ampliata quasi quotidianamente) ecco ora venir pubblicato anche l’elenco di libri di autori russi proibiti nella terra di “Taras Bulba”.
Il Comitato statale ucraino per le trasmissioni televisive ha compilato un elenco di (per ora) 38 autori – spiccano pubblicisti e giornalisti come Limonov, Dughin, Glazev, Dorenko, Veršinin, Mukhin e altri – insieme a film o serial prodotti in Russia, vietati d’ora in avanti in Ucraina, perché “creano una minaccia alla sicurezza nazionale”.
La portavoce del Ministero degli esteri russo, l’appena insediata Marja Zakharova, ha commentato il provvedimento di Kiev con le parole del dialogo tra Skalozub e Famusov in “Che disgrazia l’ingegno”, del drammaturgo Aleksandr Griboedov, “dato che bisogna fermare il male: raccogliere tutti i libri e bruciarli”. Uno degli autori censurati, il direttore della radio “Parla Mosca” Serghej Dorenko ha definito semplicemente “ridicolo” il divieto di introdurre libri in Ucraina, nell’epoca di internet.
Purtroppo, sembra però che a Kiev non prenda campo la sola retorica, ma si preparino anche ben concrete operazioni belliche. Ieri il presidente Porošenko ha firmato il decreto con cui aumenta di poco meno di 250 milioni di $ (per l’esattezza 5,299 miliardi di grivne = 241 milioni di $) il bilancio militare per le operazioni nel Donbass. Tale aumento andrebbe a scapito di non meglio precisati “fondi principali di spesa” del Ministero della giustizia. D’altronde, pare che quest’ultimo dicastero possa benissimo rinunciare a qualcosa, dato che, secondo un sondaggio del Fondo di Iniziativa democratica ucraina, il numero di ucraini favorevoli e contrari a farsi giustizia da soli si equivale: questa è un’altra delle conquiste della democrazia europeista introdotta dalla junta di Kiev. L’ultimo esempio è quello del taxista di Odessa, linciato ieri l’altro per aver offeso un soldato ucraino.
Comunque, nello specifico del decreto, 233,7 milioni di $ andranno al Ministero della difesa e i restanti 7,2 milioni di $ sono destinati a coprire le spese alimentari di altre strutture armate: i famosi “volontari” dei battaglioni neonazisti. La cifra stanziata non è enorme, ma è comunque qualcosa, rispetto agli 800 milioni chiesti dal Ministero della difesa e che il premier Arsenij Jatsenjuk aveva detto chiaro e tondo di non sapere dove andare a prendere.
D’altronde, pur se condotte finora senza grande successo, in Ucraina sono perennemente in corso mobilitazioni – l’ultima trovata è quella del “safari” a caccia di giovani da reclutare – e, da qui a fine anno, Kiev pianifica di condurne altre tre, dopo le sei che hanno consentito di reclutare dal 25 al 50% del previsto. Indicativo il caso del distretto militare di Kharkov, che impone ai dirigenti degli istituti scolastici di produrre gli elenchi degli studenti di età tra i 16 e i 22 anni, da tener pronti per altre ondate di reclutamento. E’ così che, come ha dichiarato il vice Ministro della difesa Pëtr Mekhed, citato dalla Tass, Kiev è costretta a fare sempre più ricorso ai “contractor”, con il conseguente aumento di spesa per il bilancio statale.
E, dall’estero, non giungono solo mercenari o “volontari” a dar man forte al regime ucraino, e nemmeno soltanto forniture militari “non letali” da USA, Polonia, Paesi baltici e mediorientali; secondo il servizio di intelligence della Repubblica di Donetsk, citato dall’agenzia Novorossija, sul territorio del Donbass sono già al lavoro velivoli senza pilota e apparecchiature per la guerra elettronica, utilizzati anche ieri nel corso delle operazioni nell’area di Mariupol.
Intanto, pare abbia assunto aspetti grotteschi quanto ipotizzato da alcuni canali televisivi russi già nella serata di lunedì, allorché era stata data notizia di un attacco, apparentemente inspiegabile, delle forze armate ucraine, contro posizioni occupate da altre forze di Kiev nell’area di Telmanovo. Ieri, l’agenzia Dan-news riportava la notizia diffusa dal Ministero della difesa della DNR secondo cui lo scorso 8 agosto circa 30 uomini (di entrambe le parti) sarebbero rimasti uccisi e una ventina feriti negli scontri tra esercito e guardia nazionale presso il villaggio di Granitnoe, nella zona di Telmanovo. Non è che l’ultimo degli episodi di guerra intestina (non a parole ma a colpi di mitra) che più di una volta ha visto coinvolti reparti dell’esercito regolare e formazioni al soldo dei vari oligarchi ucraini.
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