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Renmin Ribao: “Washington gioca la carta russa per vincolare a sé l’Europa”

Il Renmin Ribao ha pubblicato un articolo dal titolo “Russia-Nato: rivalità con strette di mano”, sottolineando come “nessun paese possa permettersi di pagare il prezzo di un “confronto” lungo e diretto su larga scala con la Russia”. Intanto però tale confronto va avanti con intensità crescente e se il prezzo, in termini finanziari e politici, è troppo alto per i singoli paesi, ecco che la Nato impone a ognuno e a tutti i propri membri aumenti di stanziamenti e pronti adeguamenti ai nuovi obiettivi “difensivi” dell’Alleanza.

Mentre sono in pieno svolgimento le più massicce manovre militari della storia polacca – e le più estese dall’epoca della guerra fredda – le “Anaconda”; mentre, contemporaneamente e nell’ambito di “Anaconda”, si assiste alle “Swift Response”, con truppe aviotrasportate USA lanciate sulla Polonia e sui paesi vicini e mentre la fanteria di marina sbarca sulle coste polacche per le “Baltops” e il teatro si allarga a Germania, Polonia, Paesi baltici, Romania e Bulgaria per le “Saber Strike”, con l’impiego anche di tre bombardieri strategici B-52, ecco che Washington ha deciso di inviare un ulteriore segnale “difensivo” a Mosca, con la ridislocazione dal Golfo Persico al Mediterraneo della portaerei “Harry Truman”.

Se le manovre in Europa orientale sono considerate una provocazione anche da diversi esperti occidentali, allo stesso modo è vista la presenza della “Truman” nel Mediterraneo. Politici francesi citati da “Agora Vox” invitano a uscire da “un’alleanza distruttiva” per gli europei e a “iniziare un serio riavvicinamento con Mosca. Se la Germania verrà a trovarsi tra Russia e Francia, due potenze economiche e nucleari, si renderà conto che il proprio interesse” sarà quello di “formare un asse Parigi-Berlino-Mosca, che possa far rinsavire i pazzi di Washington e i loro vassalli a Londra”. Per quanto riguarda la portaerei USA, che incrocerà nell’area di competenza del Comando europeo, ma potrà colpire in quella di responsabilità del Comando centrale (Siria e Iraq), a Washington affermano che “ciò garantisce una necessaria presenza nel Mediterraneo per scoraggiare i russi”.

Ma, cosa dicono a Mosca? Il vice direttore dell’Istituto per la CSI, Vladimir Evseev dichiara a Pravda.ru che “se la portaerei avrà la sfacciataggine di rimanere a lungo nella nuova dislocazione, la Russia invierà un paio di sommergibili atomici che la terranno sotto continua sorveglianza. Ma non credo che la “Truman” rimarrà a lungo nel Mediterraneo: la Siria è interamente controllata dalla nostra aviazione e dalle nostre navi. La portaerei USA non ha scopo militare di rimanervi: né per le operazioni a terra in Siria, né nei confronti dell’Iraq; è piuttosto un “gioco di muscoli”, una provocazione, come quella dell’invio di navi nel mar Nero o nel Baltico in prossimità di Kaliningrad”.

Una provocazione portata nonostante che, a detta del consigliere del vice Ministro della difesa USA, di Michael Carpenter, la Russia potrebbe liquidare in 60 ore le forze Nato nei Paesi baltici. Carpenter ha però aggiunto che “per il 2017, allorché stanzieremo sul fianco orientale ulteriori forze a livello di brigata corazzata, la situazione migliorerà” e ha quindi consigliato l’invio di almeno sette brigate nell’area baltica. Una sfida così plateale che addirittura l’ex comandante in capo della Nato in Europa, Philip Breedlove, che appena un mese fa chiedeva un rafforzamento dei voli spia sulla Russia, è giunto a parlare della necessità di aprire canali permanenti di contatto con Mosca, per evitare un ulteriore inasprimento dei rapporti.

Dunque, “rivalità con strette di mano”, scrive il Renmin Ribao. Se negli ultimi tempi la Nato preme sempre più sulla Russia e il Cremlino giudica l’atteggiamento dell’Alleanza un serio fattore destabilizzante, Mosca non si arrende e adotta energiche contromisure. Ma, ciò che è più importante, dicono all’Istituto per le relazioni internazionali di Pechino, è che Washington gioca la carta russa per vincolare a sé l’Europa: “con l’allargamento della UE, l’Europa vuol mostrare agli USA la propria indipendenza. Perciò gli Stati Uniti hanno chiesto ai paesi Nato di accrescere le spese militari, il che dovrebbe aumentare le loro capacità di contrapporsi alla Russia. Nel momento in cui l’Europa si scontra con crescenti minacce esterne, continua ad aumentare la sua dipendenza dagli affari militari americani”. Il risultato, affermano all’Istituto per la Russia di Pechino, è “la perdita di fiducia militare reciproca”, che si traduce in una spirale di sfiducia nel campo della sicurezza. Ma, dice il politologo Chen Yu, soprattutto negli ultimi sei mesi Mosca si è comportata “in maniera oltremodo costruttiva ed è intenzionata a raggiungere un ammorbidimento dei rapporti con l’Europa. Si assiste dunque a una dura contrapposizione russa verso la Nato sul piano militare e a una positiva disposizione su quello diplomatico” con l’Europa. Per il momento, però, Pechino ritiene che “questa situazione di contenimento e pressione possa mantenersi a lungo”.

Sul versante orientale, intanto, in un documento ufficiale pubblicato dall’agenzia KCNA, Pyongyang ha chiesto a Washington di rivedere la propria politica ostile, con cui cerca “inutilmente di raggiungere la rovina della Corea del Nord per mezzo dell’isolamento, del blocco e della pressione militare”. Il documento rileva che Washington “dovrebbe cessare l’espansione militare e le manovre in Corea del Sud dirette contro la RPDC” che, secondo Pyongyang, “rappresentano una delle ragioni principali per l’escalation di tensione nella penisola coreana” e dovrebbe “smettere di intromettersi nei problemi interni della nazione coreana allo scopo di porre ostacoli alla riunificazione indipendente del Nord e del Sud”. Al tempo stesso, Pyongyang ha invitato Seoul a unire nord e sud “sul principio federativo”, che presuppone “l’esistenza di due diversi sistemi sociali e ideologici” e ha chiamato i coreani a sviluppare il movimento per la cacciata “delle truppe USA dalla Corea del Sud, nell’interesse di una pace stabile”. Per tutta risposta, il Ministero della difesa sudcoreano ha chiesto un aumento del 5,3% (da 33 a 38,8 miliardi $) del proprio bilancio nel 2017, per l’ammodernamento dei sistemi contraerei e antimissile e il rafforzamento delle difese alla frontiera con il Nord.

Da parte sua, il Giappone ha chiesto alla Cina di non acuire la tensione, dopo che ieri una fregata cinese era transitata in acque internazionali in prossimità delle isole Senkaku, l’arcipelago nel mar Cinese orientale conosciute in Cina come Diàoyú Qúndǎo e oggetto di contesa territoriale tra Pechino e Tokyo, dopo che nel 2012 quest’ultima dichiarò di averle acquistate da proprietari privati. “Insieme alla comunità internazionale e in primo luogo agli Stati Uniti” ha dichiarato il Segretario generale del governo, Yoshihide Suga, “anche in futuro pretenderemo che la Cina si astenga da azioni unilaterali”.

Anche in questo caso, dunque, gli Stati Uniti vengono chiamati a svolgere il ruolo di “arbitro internazionale”, in regioni lontanissime dal proprio territorio, ma in cui mantengono basi e contingenti militari nelle immediate vicinanze di paesi sovrani. Tanto che il sito nordcoreano Juche Songun riporta un intervento del giornalista canadese Stephen Gowans dal titolo “Gli USA – garanti di pace e sicurezza mondiali?”. L’intervento riguarda specificamente la risoluzione 2270 dell’ONU, adottata nel marzo scorso all’unanimità dai 15 membri (permanenti e non, compresi Venezuela e Angola) del Consiglio di sicurezza, in relazione agli esperimenti nucleari nordcoreani. Ma, nota Gowans, il diritto internazionale non dice che un paese non possa aver diritto all’arma nucleare e a missili balistici: “Perché il lancio di un satellite, lo sviluppo di missili balistici e la sperimentazione di armi atomiche sono una minaccia quando lo fa la Corea del Nord, ma non quando è fatto da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Cina e Russia, o qualsiasi altro paese che il Consiglio di sicurezza non ritiene colpevole?”. Il Consiglio di Sicurezza esprime “seria preoccupazione” per il fatto che Pyongyang “reindirizza” fondi alla “creazione di armi nucleari e missili balistici, mentre i cittadini della RPDC soffrono la mancanza del necessario”. Ma questo argomento, “utilizzato in passato contro Pakistan e India, quando realizzarono le proprie armi atomiche, è non meno applicabile ai paesi occidentali. Ad esempio, gli Stati Uniti spendono centinaia di miliardi di dollari in armamenti, mentre 2 milioni di americani sono senza tetto e altri 36 milioni vivono sotto la soglia di povertà. Perché il Consiglio di Sicurezza non esprime “seria preoccupazione” nei riguardi di Washington?”. Siamo in presenza di una sorta di “apartheid atomico”, scrive Gowans: un privilegio riservato ai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e a Israele; uno strumento di dominio sui piccoli paesi da parte degli Stati più grandi e potenti. “Davvero qualcuno può seriamente pensare che gli Stati Uniti, paese che semina morte e distruzione in tutto il mondo, dalla Corea al Vietnam, all’Afghanistan e all’Iraq, possano effettivamente agire come primus inter pares tra i membri del Consiglio?”. Le armi nucleari, conclude Gowans, “costituiscono l’unico mezzo per dissuadere dall’aggressione contro la Corea del Nord, paese costantemente minacciato dagli Stati Uniti e dalla loro neo-colonia, la Corea del Sud, e presto, forse, anche dal suo ex padrone coloniale, il Giappone (se Washington riuscirà nel suo intento) – ed è proprio questo strumento di autodifesa che il Consiglio di Sicurezza cerca di negare alla Corea del Nord”.

 

Fabrizio Poggi

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