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Strage di Orlando, tra crimine d’odio e terrorismo jihadista

L’Fbi è al lavoro per capire chi fosse davvero Omar Mateen, la guardia giurata di nemmeno 30anni che nella notte tra sabato e domenica ha aperto il fuoco all’impazzata, uccidendo 50 persone e ferendone altre 53 in un locale gay di Orlando, in Florida.
Gli investigatori stanno cercando di capire quali fossero e quanto fossero profondi i legami tra Mateen e il fanatismo islamista: «Non è ancora stato accertato se la sparatoria sia un crimine d’odio o un atto terroristico», si legge in una nota dei federali.
È noto, però, che tra il 2013 e il 2014 il killer di Orlando sia stato interrogato due volte per presunti legami con l’Is e che, poco prima di dare il via alla carneficina, Mateen ha chiamato il 911 e abbia giurato fedeltà ad ‘califfo’ al-Baghdadi. Sul web, infine, l’Is ha rivendicato l’attacco, seppure a molte ore di distanza dall’inizio della strage, definendo il 30enne «un nostro combattente» che ha offerto «il miglior regalo per il Ramadan», così almeno si legge su Amaq News Agency. Su Site, invece, si leggono altri proclami, più o meno sulla stessa lunghezza d’onda: «Possa Allah accogliere l’eroe di Orlando e ispirare altri a fare lo stesso» o «Mateen è l’eroe che ha ucciso 25 crociati pervertiti in un nightclub, possa Allah accettarlo tra i suoi martirti».
Errori nel conto dei morti a parte, il problema con l’Is è che non siamo di fronte a una struttura organizzata, ad una cellula che pianifica ogni attacco in maniera militare, con strategie dietro e tutto il resto, quanto a una specie di cappello che calza bene su ogni lupo solitario. In buona sostanza, è difficile affermare che l’Is abbia pianificato un attacco sul suolo statunitense servendosi di Mateen, mentre appare più ragionevole sostenere che il killer sia stato ‘arruolato’ tra le file del califfato dopo la sparatoria e la sua morte per mano delle truppe speciali, accettando a cose fatte la sua dichiarazione di fedeltà. Intanto, i media statunitensi parlano di presunti rapporti tra il padre del 30enne e i Talebani, ma le voci non sono confermate. Indicativo, infine, che l’attacco sia stato fatto contro la comunità Lgbt proprio nel giorno in cui tutto il mondo marciava per il Pride.
La strage di Orlando sta ovviamente diventando un tema della campagna elettorale per la Casa Bianca. Donald Trump è andato all’attacco, sparando a zero: «Apprezzo le congratulazioni per aver avuto ragione sul terrorismo radicale islamico, ma non voglio congratulazioni, voglio durezza e vigilanza. Dobbiamo essere svegli».
Più moderata Hillary Clinton: «Mi sono svegliata con la devastante notizia della Florida. In attesa di ulteriori informazioni, i miei pensieri vanno alle persone colpite d questo orribile atto». Il presidente in carica Barack Obama dice qualcosa di un po’ più sensato, anche se durante il suo mandato non ha fatto moltissimo (scontrandosi comunque con la strenua opposizione dei Repubblicani e di molti Democratici) per rimediare al fenomeno che pure giustamente ha più volte denunciato: «Sappiamo abbastanza per dire che si tratta di un atto di terrore e di un atto d’odio. Ma tutto questo non cambierà il nostro modo di vivere, il massacro mostra come sia facile per gli americani essere uccisi a scuola, in chiesa, nei cinema o nei club. Questa strage è un ulteriore richiamo a quanto sia facile per qualcuno entrare in possesso di un’arma. Dobbiamo decidere se questo è il tipo di paese che vogliamo essere».
Insomma, al di là del movente, bisognerebbe prestare un minimo di attenzione anche alla facilità con cui negli Usa si può entrare in possesso di pistole, fucili e ordigni esplosivi. Oltre a Orlando, poi, nella giornata di domenica si è andati vicini a un’altra potenziale strage: non lontano da Los Angeles, infatti, la polizia ha fermato un uomo (tal James Howell, di Jeffersonville in Indiana) che si stava dirigendo al Pride con un vero e proprioarsenale nella propria automobile. L’uomo non ha saputo spiegare alle forze dell’ordine quali fossero le sue intenzioni e attualmente è in stato di arresto. Per lui la cauzione è stata fissata a 500mila dollari.

 

Mario Di Vito

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