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Siria. Usa e Israele in soccorso di Daesh e al Nusra

La tregua in Siria è finita. In effetti un reale cessate il fuoco, sancito dai due principali sponsor del conflitto (USA e Russia) senza un convinto appoggio e coinvolgimento delle numerose e incontrollate milizie jihadiste, non c’è mai stato.

La stessa amministrazione Obama, come avvenuto nel febbraio 2016, ha tentato nuovamente di correre in soccorso alle fazioni coalizzate contro il regime di Bashar Al Assad. La sospensione del conflitto, secondo alcuni analisti, è stata vista come un estremo tentativo da parte degli americani di fermare gli scontri, in maniera da far riorganizzare le milizie sostenute dagli USA. Del resto la stessa cosa era avvenuta in passato – a febbraio – con migliaia di nuove milizie salafite che entrarono in territorio siriano, dal permeabile confine con la Turchia, con rifornimenti e armi.

Quello che, però, è successo il 17 Settembre è stato un qualcosa di nuovo e inaspettato nel conflitto siriano. L’aviazione americana ha bombardato a Deir Ezzor una postazione dell’esercito siriano causando 60 morti e 100 feriti e favorendo l’avanzata delle milizie di Daesh, in una delle poche aree strategiche controllate dalle truppe lealiste. Il pentagono ha subito dichiarato che “si è trattato di un errore” e lo stesso Obama si è scusato con il governo di Damasco. Il ministro degli esteri russo, Lavrov, ha immediatamente etichettato l’episodio come “un chiaro sostegno militare ai terroristi di Daesh”. Lo stesso governo di Damasco ha dichiarato che “il raid americano è un’aggressione evidente e palese contro l’esercito regolare siriano e contro il territorio siriano”.

Le scuse e la successiva irritazione americana sono, in effetti, segni palesi dell’errore di valutazione fatto dall’amministrazione statunitense. Errore di valutazione e non, come ripetuto più volte, errore militare. Appare, infatti, impossibile che uno degli eserciti più potenti al mondo abbia commesso un simile sbaglio per diversi motivi.

Il primo è il “modus operandi” dell’operazione. Il raid è stato effettuato a 4 riprese per una durata complessiva di 45 minuti: non si tratterebbe, quindi, dello sbaglio di un singolo pilota.

Il secondo: l’obiettivo del raid. La collina di Jebel Tudar, occupa una posizione strategica particolare perché si trova lungo la strada verso l’aeroporto. Si tratta di una posizione che le truppe lealiste siriane difendevano da oltre un anno. Dopo l’attacco americano, con un tempestivo e strano “coordinamento”, le truppe di Daesh hanno non solo subito occupato la posizione, ma attraverso la loro agenzia stampa “Amaq” , hanno anche annunciato la conquista di Jebel Tudar.

Ultima anomalia: l’annuncio da parte dell’aviazione americana di essere intervenuta in quella zona a supporto dell’aviazione siriana. Sembra inverosimile una dichiarazione del genere perché in quel territorio la coalizione a guida statunitense non era mai intervenuta e tanto meno in supporto degli aerei di Damasco.

In conclusione l’attacco americano a Deir Ezzor, ultimo baluardo di Daesh se Raqqa cadrà, ha favorito le truppe jihadiste di Daesh fortificando una posizione strategica per le milizie di Al Baghdadi nelle vie di comunicazione tra la Siria orientale e l’Iraq.

L’esercito israeliano, invece, è intervenuto in sostegno alle milizie della coalizione di Fatah Al Sham (ex Al Nusra) nella parte meridionale dello stato siriano. A distanza di una settimana dalla battaglia di Qadissyat sono, ormai, numerosi e precisi i dettagli che riportano un coinvolgimento attivo da parte delle autorità di Tel Aviv. Secondo il quotidiano libanese Al Akbar, le truppe israeliane sono intervenute in quattro diverse occasioni: prevalentemente con aviazione, artiglieria e supporto logistico. Il sostegno si è anche materializzato con l’utilizzo di un ospedale da campo sionista e con il trasporto degli jihadisti più gravi negli ospedali israeliani della zona.

L’obiettivo della battaglia era quello di creare un corridoio per mettere in contatto due zone di controllo “ribelli” e conquistare il villaggio druso di Hadar nella zona del Golan occupato. Da diversi anni, infatti, quella zona è una vera spina nel fianco per le milizie salafite che non sono mai riuscite a “sfondare” le linee difensive siriane. L’esercito di Damasco ha avuto, inoltre, il sostegno della popolazione locale drusa che vive uno stato di occupazione sia da parte delle forze sioniste sia da parte di quelle jihadiste.

Secondo le fonti del quotidiano libanese As-Safir, la battaglia è durata oltre sei giorni. Durante gli scontri sono stati visti mezzi “ribelli” circolare indisturbati nella zona di controllo israeliana nel tentativo di effettuare una manovra a tenaglia. La reazione difensiva è stata veemente ed ha causato numerose perdite nei ranghi dei ribelli di Fatah Al Sham – circa 200 morti e 500 feriti. Nel tentativo di bombardare postazioni siriane in appoggio ai ribelli, l’esercito israeliano ha perso un caccia F-16 ed un drone (Fonte AFP, Sputnik), perdite ovviamente smentite dal governo di Tel Aviv.

Per complicare ulteriormente la situazione ieri un convoglio di aiuti della mezza luna rossa è stato attaccato causando la morte di oltre 20 persone. Secondo gli USA sarebbero stati i russi o l’aviazione siriana; secondo Mosca sarebbero stati i “ribelli” che stavano tentando una sortita sulle linee di Aleppo. Quest’ultima, secondo diversi media mediorientali, sarebbe la versione più convincente visto che in merito al bombardamento non ci sono segni di cratere sulla strada nel tragitto del convoglio.

In risposta a questi due episodi ed al recente bombardamento/fantasma, Damasco e Mosca sono state abbastanza chiare circa la loro posizione. Secondo Lavrov “non ci sono più margini per poter rinnovare la tregua che ha solamente permesso alle milizie ribelli di riarmarsi e di rinforzare le loro posizioni”. In un messaggio agli israeliani lo stesso Bashar Al Assad ha dichiarato che “la risposta alle incursioni israeliane in territorio siriano non è stata casuale” aggiungendo che “ci saranno altre risposte militari se l’entità sionista continuerà a sconfinare nel nostro territorio o sosterrà i ribelli”. La sicurezza di Damasco fa presagire che, se lo stato israeliano continuerà nel suo sostegno ai ribelli, si potrebbe aprire un nuovo fronte sulle alture del Golan.

Se da una parte il regime siriano sembra essersi rinforzato ed essere in grado di contrastare e rispondere ai numerosi fronti di combattimento, fino a rispondere alle truppe sioniste, dall’altra, però, sembra sempre più difficile una soluzione diplomatica per la conclusione del conflitto.

Stefano Mauro

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