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La variante curda tra Siria, Iraq, Iran Turchia e Usa

La questione curda si fa sempre più intricata nelle sue diversissime articolazioni in Siria e Iraq. Negli ultimi giorni un importantissimo sviluppo si sta avendo in Iraq, dove il Governo di Baghdad è passato alle vie di fatto in risposta al referendum indipendentista tenuto nelle aree controllate dal Governo Regionale Curdo, guidato dal clan Barzani e dal suo Partito Democratico del Kurdistan (PDK), lo scorso 27 settembre; tale referendum è nullo secondo Baghdad, mentre secondo Erbil, dato il risultato che ha premiato il sì all’indipendenza con più del 90% dei voti, ha avviato un processo di sconnessione dell’entità curda dallo stato iracheno.

Pertanto quest’ultimo, dopo aver attuato varie politiche di blocco in collaborazione attiva con Iran e Turchia (fino al 27 settembre storico alleato di Barzani), ha avviato un’offensiva militare per prendere il controllo di alcuni territori che il Governo Regionale Curdo si è annesso nel corso degli anni strappandoli all’Isis prima dei soldati di Baghdad, ma che non sarebbero di sua pertinenza secondo la Costituzione irachena del 2004.

A partire dal 15 ottobre diverse reparti della polizia irachena e dell’esercito iracheno, fra cui le Unità di Mobilitazione Popolare (PMU) di forte influenza iraniana, si sono mossi dapprima verso la città di Kirkuk e l’area petrolifera che la circonda, poi verso Sinjar; la risposta dei Peshmerga, ovvero le milizie del Governo regionale Curdo, è stata molto sporadica poiché essi hanno abbandonato le due aree quasi senza combattere; solo le Hpg, ovvero le milizie del Pkk sono rimaste nelle città ed hanno invitato alla resistenza, anche se non è chiaro se ed in che forme questa sia avvenuta. Fatto sta che ora le città sono di in mano al governo centrale.

I portavoce dei comandi USA nell’area hanno affermato di sostenere una soluzione pacifica, ma nei termini della Costituzione, delle dispute territoriali e poi, nel negare ogni ruolo delle PMU, hanno parlato di collaborazione fra peshmerga ed esercito iracheno nel ripristino del controllo di quest’ultimo su Kirkuk e Sinjar.

D’altra parte, ambienti vicini al PDK hanno accusato il partito rivale, ovvero l’Unione Patriottica Curda (PUK), tradizionalmente meno ostile all’Iran e al governo centrale, di aver compiuto un tradimento, come se solo i peshmerga controllati dal PUK si fossero ritirati; il Pkk invece, dal canto suo rivolge questa accusa ad entrambi.

Al di là delle dichiarazioni ufficiali, lo scenario più probabile è che sia stato proprio il voltafaccia americano nei confronti di Erbil (fino a prima considerato alleato molto più affidabile rispetto al Governo Iracheno, troppo influenzato dall’Iran) a determinare la ritirata dei peshmerga dai territori in questione che, è bene tenere presente, sono di popolazione multietnica e non preminentemente curda; a determinare tale spostamento di equilibri, dunque, sarebbe stato il referendum indipendentista di settembre, che ha alienato parzialmente a Barzani alleanze storiche, come la Turchia e, appunto, gli USA. Staremo a vedere se e come il leader nazionalista curdo proverà a correggere la rotta. La situazione rimane fluida ed evolve di ora in ora.

Sul fronte siriano, intanto, le Forze Democratiche Siriane (SDF), composte principalmente dalla formazione curda delle Ypg vicina al Pkk, ma anche da milizie di altre etnie, hanno dichiarato che Raqqa (città a prevalenza arabo-sunnita) è completamente sottratta all’Isis; non sono chiari, al momento, i termini dell’accordo che ha portato all’evacuazione delle ultime centinaia di miliziani del califfato che erano rimasti in città, molti dei quali foreign fighters.

Si pone, così, la parola fine ad una battaglia sanguinosissima che ha visto l’aviazione USA riversare sulla città, a copertura aerea dell’azione delle SDF, tonnellate di bombe in maniera pressochè indiscrimata, senza badare ai danni materiali e alle vittime civili, come riportato da molteplici fonti, spesso anche accondiscendenti nei confronti dell’imperialismo; sono apparse anche evidenze fotografiche e video dell’utilizzo di armi chimiche al fosforo bianco.

Continua intanto, la competizione fra esercito governativo e SDF su un altro fronte e sempre sulle ceneri dell’isis, in lento ma inesorabile decadimento: ovvero la provincia orientale di Deir-ez-Zor, area anch’essa a prevalenza arabo-sunnita. Dopo aver rotto l’assedio del capoluogo e sottratto al califfato la città di Mayadin, Damasco e alleati continuano l’avanzata verso il confine con l’Iraq per giungere ad all’agognato ricongiungimento con le PMU filo-iraniane, che cambierebbe i rapporti di forza nell’area a proprio favore.

Tuttavia, le SDF, anche a costo di allentare parzialmente l’assedio su Raqqa, hanno concentrato molte forze nell’area per impedire ai soldati di Damasco di varcare l’Eufrate e portarsi verso l’Iraq; in questo sforzo, hanno strappato all’Isis diversi pozzi petroliferi (di cui la zona è ricchissima) e si sono spinte fino all’area industriale di Deir-ez-Zor; lo stato maggiore russo, a tal proposito, ha più volte accusato gli USA di favorire e coprire l’afflusso di miliziani dell’Isis dall’Iraq e da altre zone della Siria per contrastare l’avanzata dell’esercito di Damasco.

Per completare il quadro, il terzo fronte che potrebbe surriscaldarsi a breve è quello della provincia di Idlib, dove la Turchia ha schierato alcuni soldati e pezzi di artiglieria pesante. Lo scopo teorico dell’operazione sarebbe quello di implementare nell’area una zona di de-escalation militare, così come concordato ad Astana con Russia e Iran; pertanto, Ankara dovrebbe appoggiare le varie brigate che si fregiano dei simboli del Free Syrian Army contro Hayat Tahrir al-Sham (HTS), ex Al-Nusra, non compresa negli accordi perché nei fatti legata ad Al-Qaeda.

Tuttavia, i vari gruppi operanti nella provincia di Idlib sono spesso indistinguibili, né la Turchia ha mai contribuito a distinguere i qaedisti dagli altri, poiché ha sempre appoggiato tutti indistintamente; se a ciò aggiungiamo che fonti delle brigate del FSA già parlano di accordi e copertura reciproca fra HTS ed esercito turco, ecco che si può già giungere alla conclusione non lontana dalla verità che il vero obiettivo dell’incursione turca potrebbe essere il confinante Cantone di Afrin del cosiddetto Rojava, ovvero l’area controllata dalle Ypg curde.

Tutte queste “micce accese” sono spia del fatto che anche dopo l’eventuale sconfitta completa dell’Isis (non scontata poiché l’imperialismo potrebbe comunque avere interesse a lasciarne in vita qualche focolaio a tempo indefinito) l’effetto destabilizzante e la deriva settaria portati dagli interventi imperialisti nell’area non cesserà; così come non cesserà il tentativo di utilizzare strumentalmente le aspirazioni legittime del popolo curdo per fini differenti.

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2 Commenti


  • Mauritius

    la questione curda è semplicemente che qualche decina di milioni di curdi sono in modo disumano non riconosciuti da tutto il mondo, gli Usa paese che compie illegalità internazionali a tutto spiano sovvenzionano una piccola parte di curdi solo per far finta di combattere Isis che hanno creato e a cui hanno dato risorse e potere (a Isis e Al Quaeda) attraverso soprattutto l’Arabia Saudita, il paese gigantescamente terrorista super alleato degli Usa
    a tutti converrebbe che i Curdi avessero il loro Stato e spendono vagonate di soldi per spese militari folli ed inutili per distruggere qualsiasi possibilità di Stato curdo
    pensate a quanto Irak, Siris e soprattutto Turchia hanno fatto per far male ai Curdi, a nulla è servito
    come è stupido sperare che i palestinesi si suicidano per far contento israele


  • Leonardo

    Sembra che siano state proprio le milizie del PUK a ritirarsi per prime: c’è da sperare quindi che, oltre alla riaffermazione dello stato unitario irakeno (la KRG è ormai ristretta alla green line del 2003), la pessima mano di poker giocata da Barzani porti l’ulteriore bonus della sua rapida fine politica.

    Così come sarebbe auspicabile che fosse l’esercito siriano a strappare all’Isis la parte rimanente di frontiera siro-irachena.
    Infatti, senza i pozzi di Kirkuk (circa il 70% del petrolio smistato da Barzani) e il bacino di al Omar (oltre la metà del petrolio siriano, a 10 km da Mayadeen) ogni velleità di sopravvivenza di eventuali “secondi Israeli” è azzerata.

    I curdo siriani in particolare dovrebbero, secondo me, cercare un accordo all’interno della Siria che verrà. Il cantone di Afrin è in pericolo e perseguendo l’occupazione militare di zone non a maggioranza curda antagonizzeranno non solo i governi centrali che li circondano ma anche le popolazioni arabe, armene e cristiano assire con cui storicamente non corre buon sangue e alle quali non si può vendere impunemente il prodotto “Rojava” come qui da noi.

    Quanto accaduto dovrebbe aver dimostrato che Damasco, Baghdad e Ankara resteranno, gli americani no.

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