La settimana che si apre sarà decisiva per il Presidente Emmanuel Macron e l’esecutivo che si regge sul movimento da lui creato En Marche! (LREM).
Sui socials circolano già appelli per un “quarto atto” della protesta, dopo la prima tappa della mobilitazione del 17 novembre che ha dato vita ai blocchi in tutto l’Esagono e alla Reunion, un “secondo atto” sabato 24 che ha visto la prima grande manifestazione parigina (insieme ad azioni decentrate), e un terzo atto quest’ultimo sabato a Parigi, come in tutta la Francia.
L’ultimo appello lancia per sabato 8 dicembre un concentramento a piazza della Bastiglia. per raggiungere l’Arco di Trionfo.
L’impasse politico in cui versa l’azione governativa è evidente, e le due maggiori forze dell’opposizione – cioè la France Insoumise e il Rassemblement National (ex-FN) – attraverso i loro leader chiedono lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale e le elezioni anticipate.
Le dimissioni di Macron sono divenute ben presto una delle maggiori richieste del movimento dei Gilets Jaunes, e il coro “Macron Demission” ha accolto il Presidente francese anche questa domenica mentre, di ritorno dall’Argentina, per il summit del G20 si è recato all’Arco di Trionfo e nei luoghi teatro degli scontri di sabato.
La piega presa dagli eventi francesi è frutto della politicizzazione delle contraddizioni anche al di là delle Alpi, con una accelerazione abbastanza impressionante delle dinamiche storiche, che ha prodotto un quadro inedito di frattura tra la classe dirigente e la popolazione dell’Esagono.
Per ora il governo ha escluso il ricorso allo “stato d’eccezione”, ovvero “l’état d’urgence” che era stato promulgato durante i moti nelle banlieues nel 2005, e dopo gli attentati terroristici del 2015. Sebbene sia terminata nel 2017, molte delle misure che questo comprendeva sono state incorporate nel diritto comune, attraverso una nuova legislazione “antiterrorismo” entrata in vigore il primo novembre dell’anno scorso.
Questo corpo di leggi è uno dei più liberticidi del continente e di fatto giustifica uno “stato d’eccezione permanente”.
È interessante notare come si stia coagulando “un partito dell’ordine” attorno alla proposta dell’ “état d’urgence”, di cui il porta-voce del governo Benjamin Griveaux era il più risoluto sostenitore e di cui il ministro dell’Interno Christophe Castaner non escludeva a priori l’applicazione. E anche Marine Le Pen in pratica si allinea, chiedendo ai Gilets Jaune di smobilitare e lasciar fare alla polizia.
Tre sindacati di polizia: “Alliance” – che chiede anche la mobilitazione dell’esercito – SCPN e Synergies-Officiers ne hanno chiesto l’applicazione, segno che tra le forze dell’ordine serpeggia il desiderio di una ulteriore svolta autoritaria come via d’uscita dall’attuale situazione di “mobilitazione permanente” di sempre più strati sociali.
Cerchiamo di fare un bilancio del terzo atto della protesta, integrandolo a ciò che avevamo scritto quasi “in presa diretta” sabato pomeriggio.
Il governo fornisce la cifra di 136.000 persone che si sarebbero mobilitate nell’intera giornata di sabato.
La giornata si è caratterizzata per la mobilitazione dei GJ a Parigi, scesi in piazza già dalla prima mattina, in cui si sono succeduti scontri che si sono protratti per tutto il pomeriggio in diverse zone del centro cittadino. Nel pomeriggio, per il governo, circa 2.000 persone hanno partecipato al corteo indetto dalla CGT su una ampia piattaforma rivendicativa, mentre sarebbero stati 10.000 coloro che hanno partecipato alle mobilitazioni dei GJ nella capitale.
Il maggior sindacato francese ha denunciato con forza la disoccupazione, che secondo i dati del terzo trimestre, riguarda ormai 5.649.600 persone iscritte al “centri per l’impiego” francesi (Pôle Emplois), di cui solo il 42% riceve una qualche forma di indennità, mentre circa 11.000.000 di persone (compresi i disoccupati) si trovano in condizione di precarietà.
Il governo vuole imporre una riforma dell’“assurance chomage”, cioè l’indennità di disoccupazione e varare una riduzione del budget destinato all’UNEDIC, perno istituzionale per l’erogazione di questa indennità.
Nella sola Capitale le forze dell’ordine, cioè l’anti-sommossa (CRS), avrebbero utilizzato più di 10.000 “munizioni” di diverso tipo.
7.940 munizioni per gas lacrimogeni (MP7), 800 granate anti-accerchiamento, 339 granate “esplosive” stordenti (GLI-F4) – di cui la Francia è l’unica utilizzatrice e che sono state più volte denunciate per avere causato feriti gravi, non a caso al centro di una campagna per la loro messa al bando – 776 “proiettili di gomma” ex-flash balls; ed inoltre sarebbero stati utilizzati circa 140.000 libri d’acqua, sparata dagli idranti ad alta pressione.
Sul fronte “repressivo” ci sono state 682 persone trattenute per essere interrogate in tutta la Francia (di cui 412 nella sola Parigi), 630 sono state poste in stato di fermo – domenica sera 378 sarebbero ancora trattenute tra cui 38 minori – ci sarebbero stati 263 feriti, tra cui 83 tra le forze dell’ordine.
Nella nottata di sabato, ad Arles è deceduta la terza persona dal 17 novembre a causa dei blocchi e dei rallentamenti del traffico provocati dai GJ.
In tutta la Francia la mattina, ancora di più, si sono svolte numerose manifestazioni ed iniziative, alcune delle quali hanno visto la presenza congiunta dei Gilets Jaunes e di militanti sindacali, come a Rennes, Touluse, Lille e Nimes, per citare alcuni casi; mentre a Marsiglia si è svolta l’ennesima manifestazione per il crollo di due edifici in pieno centro cittadino il 5 novembre; una mobilitazione in cui ai bisogni di alloggi dignitosi, contro il disagio abitativo, si sono unite le richieste della CGT, anch’essa in piazza, e quelli dei gilets gialli.
Bisogna ricordare che venerdì si erano mobilitati – rispondendo all’appello di una delle maggiori organizzazioni studentesche, l’UNL – 30.000 studenti e che oggi, lunedì 3 dicembre, la loro mobilitazione dovrebbe continuare.
Il governo, da un lato ha dichiarato più volte che non vuole fare retromarcia sul proprio operato, ma allo stesso tempo – vista la situazione – si è dovuto dimostrare aperto “al dialogo”, senza che questo in alcun caso sortisse alcun effetto: sta però contemporaneamente imponendo una “militarizzazione” del conflitto sociale, che fa assomigliare i bilanci di fine giornata delle mobilitazioni a veri e propri “bollettini” di guerra, senza poter finora contare su un abbassamento del consenso di cui godono i gilets jaunes, né su porzioni sociali in grado di contrastare le mobilitazioni fungendo da base sociale per il “partito dell’ordine”; né su corpi intermedi significativi che assecondino l’apertura “virtuale” di una concertazione sociale (tranne la dirigenza sindacale della CFDT e di FO).
Questa settimana sarà altresì decisiva per capire che profilo assumerà questo movimento sociale per ora in ascesa e la capacità di tradurre in un riconosciuto output politico adeguato le richieste che vengono dal magma sociale che si sta esprimendo, in una situazione in cui la configurazione legislativa e le modalità d’intervento delle forze dell’ordine danno ampi margini repressivi, per cui la promulgazione dell’“état d’urgence” potrebbe essere l’ultima carta per una élite politica e gli interessi che rappresenta, sempre più delegittimata.
Come si sa, in Francia, l’attaccamento al potere può far perdere la testa a chi lo vuole detenere a tutti i costi.
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