Il nuovo Presidente ucraino Vladimir Zelenskij, ufficialmente insediato nella carica lunedì scorso, dopo la vittoria elettorale del 21 aprile, non ha atteso la fine naturale della legislatura del prossimo 27 ottobre e ha sciolto la Rada, fissando elezioni parlamentari straordinarie al 21 luglio. Zelenskij ha anche proposto ai deputati di accoggliere le dimissioni del capo del Consiglio di sicurezza Vasilij Gritsak (alla cerimonia d’insediamento, né lui, né il capo delle operazioni in Donbass, Igor Lunëv, hanno onorato il nuovo Presidente del saluto militare), del Ministro della difesa Stepan Poltorak, del Procuratore generale Jurij Lutsenko, tutti fedelissimi di Petro Poroshenko. Dimissionato anche il Capo di Sato maggiore Viktor Muzhenko, già sostituito con Ruslan Khomchak: se il primo è considerato il principale responsabile della disfatta ucraina a Debaltsevo, il secondo è visto come colpevole di quella nella sacca di Ilovajsk.
Oltre le figure chieste da Zelenskij, già la scorsa settimana anche il Ministro degli esteri Pavel Klimkin aveva annunciato le proprie dimissioni, insieme al segretario del Consiglio di difesa ed ex primo Presidente a interim dell’Ucraina golpista Aleksandr Turcinov. Lo stesso hanno annunciato vari “consigliori” di Poroshenko e funzionari della passata amministrazione presidenziale, insieme alla rappresentante presidenziale alla Rada (nonché moglie del Procuratore generale) Irina Lutsenko e allo stesso Primo ministro Vladimir Grojsman.
Zelenskij ha motivato lo scioglimento della Rada con il livello di fiducia pressoché nullo (4%) dei cittadini nei confronti del Parlamento e ne ha sostenuto i “fondamenti giuridici” con l’assenza di una coalizione (art.83 Cost.) a partire dal 2016: più o meno cioè da quando le redini del governo erano passate da Arsenij Jatsenjuk, all’uomo di Poroshenko, Vasilij Grojsman. Di fatto, sin da prima della sua annunciata vittoria su Petro Poroshenko, si parlava delle difficoltà che Zelenskij avrebbe incontrato nei suoi rapporti con una Rada, in cui le forze favorevoli all’ex Presidente golpista avrebbero continuato ad avere un discreto peso. Non è un mistero, in ogni caso, che sia forte la fronda anti-Zelenskij da parte di tutti coloro che si sono arricchiti nei cinque anni di Petro Poroshenko: diverse agenzie spaziano dal “malcontento” di numerosi alti gradi militari, a minacce aperte di attentati o di rivolta anti-presidenziale.
Ora, prima che queste avessero tempo di riorganizzarsi in vista del normale voto di fine ottobre, Zelenskij, o chi per lui, ha evidentemente deciso di puntare sull’abbrivo della vittoria presidenziale, per cercare di ottenere una maggioranza a lui favorevole anche in sede parlamentare. I deputati non sono rimasti ovviamente a guardare e il leader del Partito Radicale, Oleg Ljashko, ha accusato il Presidente di avventurismo e ha annunciato l’inizio di una raccolta di firme contro lo scioglimento del Parlamento. Nel frattempo, comunque, la Rada si è riunita oggi in sessione plenaria (al momento, operavano solo le Commissioni) per discutere la proposta presidenziale di annullamento del sistema maggioritario e abbassamento al 3% dello sbarramento elettorale.
Ufficialmente legata allo sciogliemento della Rada, la repentina decisione della missione del FMI di lasciare l’Ucraina, anche se i commissari non hanno mancato malignamente di rilevare come non siano passate inosservate “alcune nomine di quadri” ad alto livello decise dal nuovo Presidente.
Nerl discorso inaugurale, Zelenskij ha dichiarato di esser “pronto a tutto in nome della pace”, ma le artiglierie ucraine non hanno mai cessato di colpire i centri del Donbass: anche nelle stesse ore della cerimonia di Kiev, venivano bersagliate la periferia di Donetsk e le aree attorno a Gorlovka. Non a caso, già nelle scorse settimane Mosca si era preparata alla “offensiva di pace” del nuovo potere ucraino, nominando a reponsabile presidenziale russo per il Donbass l’energico Mikhail Babič, visto che Zelenskij si prepara a intensificare le operazioni contro le Repubbliche popolari.
Il nuovo Presidente dell’Ucraina golpista ha anche posto come prima condizione per il dialogo con Mosca “la restituzione dei territori perduti” (Crimea e Donbass) e ha chiesto aiuto ai “65 milioni di ucraini”: tanti sono, secondo Zelenskij, quelli che vivono non solo in patria, ma in tutto il mondo e, a imitazione dell’ukaz putiniano sui passaporti agli abitanti delle Repubbliche popolari, si è detto pronto a concedere a quei 65 milioni di persone la cittadinanza ucraina. Ha poi citato le parole pronunciate da Ronald Reagan al momento del suo insediamento, secondo cui “il governo non risolve i nostri problemi; il governo è i nostri problemi”, dando così il benservito al gabinetto filo-Poroshenko. Sempre nel discorso inaugurale, Zelenskij avrebbe accennato anche alla possibilità di un referendum sulla questione del dialogo con la Russia e della situazione in Donbass.
Poroshenko che, almeno in apparenza, rischia grosso. Rientrato in Ucraina dopo cinque anni di forzata emigrazione, il giurista Andrej Portnov, ex capo dell’Amministrazione del deposto Presidente Viktor Janukovic, ha annunciato una serie di iniziative per mandare l’ex Presidente dietro le sbarre, accusandolo, tra l’altro di aver organizzato la provocazione dello scorso novembre allo stretto di Kerč, mettendo consapevolmente a rischio la vita dei marinai ucraini e approfittandone poi per introdurre la legge marziale. Portnov si è detto deciso a ottenere la confisca delle proprietà di Poroshenko – sia nel settore industriale che nei media – in questo operando in tandem con il rivale giurato di Poroshenko (e sponsor ufficioso di Zelenskij) l’ex governatore della regione di Dnepropetrovsk, l’oligarca Igor Kolomojskij, anch’egli rientrato in Ucraina da Israele.
Ma, quale sia il ruolo che Washington continua ad assegnare all’Ucraina golpista, con o senza Petro Poroshenko, lo testimonia la presenza alla cerimonia di insediamento di Zelenskij del Segretario per l’Energia, Rick Perry, insieme al rappresentante del Dipartimento di Stato per l’Ucraina Kurt Volker, all’ambasciatore USA presso la UE Gordon Sundland e al Direttore degli affari europei presso il NSC, Alexander Windman. L’obiettivo che sul momento continua a rimanere in primo piano per la Casa Bianca è quello della contrapposizione al gasdotto “North Stream-2” e in tale disegno l’Ucraina, insieme alla Polonia, riveste una parte fondamentale nel contrastare il progetto russo-tedesco.
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