Il nuovo leader dei conservatori tedeschi
Sabato 16 gennaio Armin Laschet è stato eletto Presidente della CDU, la tradizionale formazione conservatrice tedesca, alleata con la “gemella” CSU bavarese.
Laschet è un navigato politico conservatore dalle alterne fortune, che tra i tre sfidanti alla più alta carica del Partito – con Norbert Röttingen uscito sconfitto al primo turno e Fredrich Merz, rappresentante della destra interna – , è quello che più rappresentava di più la continuità con le politiche di Angela Merkel.
56 anni, cattolico praticante e figlio di un minatore, ha iniziato la sua carriera politica nella Germania Unita; è stato deputato federale tra il 1994 ed il ’99, poi deputato europeo dal ’99 al 2004, per quindi assumere funzioni via via sempre più importanti. Il suo profilo, al di là del suo spessore, sembra essere più simile alla tradizione conservatrice renana del Partito di Adenauer e Kohl che non alla stessa Merkel.
Con 521 su 466 voti, cioè appena il 52,8% delle preferenze dei poco più di mille delegati della CDU che si sono espressi “a distanza”, Laschet ha conquistato la carica di Presidente contro l’outsider di destra Merz, ritornato in politica dopo una carriera di alto profilo nel mondo dell’alta finanza, nella BlackRock di Warren Buffett.
È il suo secondo grande ingresso in politica, dopo avere conquistato qualche anno fa la presidenza del Nord Reno Westfalia, il Land più popoloso della Germania – abitato da circa 18 milioni di cittadini, su un totale di 85 – la regione industrial-mineraria tradizionale bastione della socialdemocrazia, ora alle prese con una complessa transizione ecologica.
Non è però detto che il neo-eletto presidente Laschet diventi automaticamente il candidato della CDU/CSU alle elezioni del 26 settembre prossimo, considerato che il ministro della Sanità, Jens Spahn, e il leader della CSU bavarese Markus Söder risultano al momento più popolari nei sondaggi.
Dopo la lotta di potere per la carica di Presidente, si apre quindi quella per la candidatura a Cancelliere.
La crisi dei due pilastri della politica tedesca
La destra del Partito aveva nel tempo, con sempre maggio forza, accusato la Merkel di averne progressivamente “social-democratizzato” la politica, considerando le sue scelte sull’immigrazione, in particolare la decisione di regolarizzare di un milione di profughi siriani durante la crisi migratoria del 2015, oltre ad un atteggiamento ritenuto “poco intransigente” nei confronti degli altri paesi della UE.
Bisogna ricordare che 3 su quattro degli ultimi governi della Germania sono stati il frutto di una “Grande Coalizione” insieme alla SPD, l’altra formazione che ha dominato tradizionalmente l’arena politica tedesca. Una strategia che ora sembra essere giunta ad un punto morto, visto che ha penalizzato entrambe, e soprattutto ha fatto emergere due soggetti politici in grado di destabilizzare – almeno in parte – la politica tedesca: i “Verdi”, non più ai margini della vita politica soprattutto ad ovest, e l’estrema destra dell’AFD, soprattutto ad Est.
Nelle legislative del 2017 la CDU-CSU raggiungeva uno dei suoi peggiori risultati assestandosi sotto il 33%, mentre alle europee del 2019 diminuiva ulteriormente i suoi consensi, scendendo al 28,9%; risultati poi confermati dalle varie elezioni regionali.
Angela Merkel, con le elezioni di settembre, non sarà più Cancelliere dopo 16 anni in cui ha dominato la politica tedesca ed in parte quella continentale. E non si profila all’orizzonte un leader tedesco del suo calibro.
Frau Angela, succeduta ad Helmut Kohl, già da tempo non era più Presidente della sua formazione, anche se la sua “delfina” Annegret Kramp-Karrenbauer (“AKK”), designata per la sua successione, era rimasta in carica appena 14 mesi.
Si era dovuta dimettere dopo lo “scandalo” delle elezioni regionali in Turingia, nel febbraio scorso. In quel Land della Germania orientale la leadership locale della CDU aveva consentito la formazione di una maggioranza regionale grazie ai voti dell’estrema destra dell’AFD, causando un terremoto politico.
Una decisione “sconfessata” dal centro, e poi rientrata, ma che aveva di fatto aperto il vaso di pandora dell'”apertura a destra” e costituito un significativo precedente nei confronti di una formazione con cui si escludeva ogni forma di collaborazione.
L’emergere della formazione “populista di destra” AFD aveva infatti messo in crisi l’orientamento complessivo dei conservatori tedeschi, visto che nelle elezioni legislative del 2017 vi era stato un travaso di circa un milioni di voti dalla CDU-CSU alla AFD, che aveva portato ad maggiore sbilanciamento a destra da parte del leader della formazione bavarese – in parte rientrato – comunque non premiato alle successive elezioni regionali.
L’exploit di Alternative für Deutschland alle regionali, in particolare ad est, non aveva fatto altro che approfondire questa crisi, considerato che in Brandeburgo ed in Sassonia è ora il secondo partito, con percentuali ben oltre il 20%.
Catastrofe sanitaria, recessione economica e crisi istituzionale
A otto mesi dalle elezioni legislative (a fine settembre), e le regionali di marzo nel Baden-Wütternberg ed in Renania-Palatinato, la Germania è minata da numerosi problemi al centro dall’intreccio tra crisi sanitaria e recessione economica.
Se lo Stato ha gestito relativamente bene la “prima ondata”, la seconda è risultata invece catastrofica. Uno scontro di potere tra il governo centrale e i 16 presidenti dei Land ha portato al varo, a metà ottobre, di misure di contenimento decisamente inadeguate.
Il 14 ottobre, dopo 8 ore di riunione, l’unica decisione presa riguardava solo la chiusura di bar e ristoranti dopo le 11 di sera, nonostante i precisi moniti della Merkel.
La situazione è precipitata, soprattutto nei Land orientali, ed ha costretto dal 13 dicembre alla chiusura di tutte le attività commerciali non essenziali e delle scuole.
La gravità della situazione aveva superato un mese prima, cioè già a metà novembre, le già fosche previsioni della Merkel (si parlava di un numero dei contagiati sopra i 20 mila al giorno).
Oggi la situazione sembra essere sfuggita di mano, con 1.244 morti il solo 14 gennaio e più di 26 mila contagiati. Il numero dei decessi a dicembre ha superato i 16mila, portando il totale a più di 46 mila.
Inoltre si è avuto un netto calo degli screening, da metà dicembre a metà gennaio, il che ha annullato di fatto ogni possibilità di tracciamento, e quindi anche l’incapacità di valutare l’impatto della cosiddetta “variante inglese”.
Un vuoto di iniziativa che non sembra possa essere colmato in tempi rapidi dalla vaccinazione, visto che al 15 gennaio avevano avuto la prima dose solo 842.000 persone.
Anche la situazione economica è preoccupante.
Il PIL tedesco è calato lo scorso anno del 5%, interrompendo un decennio di crescita successiva alla crisi del 2009, quando la contrazione del PIL era stata del 5,7%.
Un dato spicca su tutti: la fine dell’aumento costante degli occupati. Che erano 40,8 milioni nel 2010 e 44,8 nel 2020, l’1,1% in meno rispetto al picco del 2019.
Certo si tratta di una performance migliore della media europea (-7,8%), ma dovuta al massiccio flusso di aiuti dello Stato, con interventi complessivi di circa 75 miliardi. Aiuti pubblici che hanno fatto schizzare il deficit al +4,8%, mentre prima era a zero.
Tra i settori più colpiti vi è lo comparto manifatturiero, assolutamente strategico, visto che determina più di ¼ del PIL complessivo; qui il calo è del 10,4%, con le esportazioni diminuite del 9,9% e le importazioni dell’8,6%.
Oltre a questo vi è stata una evidente “crisi istituzionale” tra il governo federale e le regioni sulle misure da adottare, con una pressione della destra negazionista (ma non solo) che rappresenta ormai porzioni non trascurabili della popolazione tedesca, specie ad est.
Una vera e propria “crisi di civiltà” in quello che sembrava essere lo stato più avanzato dell’Unione.
Questa mancanza di coesione si inserisce in una mai sanata frattura tra Ovest ed Est, successiva all’annessione della RDT dell’ex RFT, e nella crescente polarizzazione sociale che colpiva già prima della pandemia parti consistenti dell’Ovest.
Il futuro della Germania è quindi molto più incerto e imprevedibile di quanto narrato dai media mainstream.
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