La politica della nuova amministrazione statunitense ha principalmente due assi: il mantenimento dell’egemonia nord-americana nel mondo, oggi in vistoso declino, e il ripristino di una maggiore compattezza sociale in una realtà estremamente polarizzata.
La recente visita a Bruxelles di Antony Blinken ha confermato la volontà neo-atlantiste dell’attuale amministrazione, con Biden che ha tenuto una video-conferenza con leader della UE questo mercoledì in cui ha esplicitamente rivendicato la priorità di vaccinazione dei cittadini USA.
Blinken ha detto espressamente: “gli USA vogliono ricostruire le proprie partnership, prima ed innanzitutto con i nostri alleati NATO. Vogliamo rivitalizzare l’Alleanza”.
Certamente gli Usa vogliono usare la NATO per il contenimento di Russia e Cina, e risolvere favorevolmente una serie di dossier che vanno dal North Stream 2 all’Afghanistan, e l’allineamento delle spese militari dei suoi membri al 2% del PIL dei rispettivi Paesi.
L’Afghanistan, la più lunga guerra persa da parte statunitense, rimane ancora un grattacapo insoluto considerando che, anche in caso di un probabile rinvio del ritiro delle truppe statunitensi oltre maggio, Biden sembra volere dare attuazione alla sua exit strategy entro l’anno prossimo.
É chiaro che in questo dossier un accordo con la Cina è fondamentale, considerata l’influenza del Pakistan in loco, un partner importante, anzi strategico, ormai più per Pechino che per Washington.
Gli Usa vogliono assicurarsi alleati sia sul continente che altrove – anche con troppo velati ricatti – per proseguire con la Nuova Guerra Fredda che hanno avviato senza troppe remore, e porsi nuovamente come perno delle relazioni internazionali includendo all’uopo nel loro multilateralismo selettivo anche I propri principali antagonisti.
Biden ha definito il premier cinese “un delinquente” in campagna elettorale e poi il presidente della Federazione Russa “un assassino”. Parole che pesano come come pietre che segnalano come Gli USA stiano giocando a carte scoperte, come confermato dal primo incontro al vertice sino-americano svoltosi in Alaska.
I leader russi e cinesi sono stati invitati al summit “virtuale” che dovrebbe tenersi il 22 ed il 23 aprile a Washington sulla crisi climatica, cui dovrebbero partecipare una quarantina di Paesi, tra cui Germania, Francia e Italia. con Mario Draghi.
Un incontro che probabilmente preparerà il terreno per la Conferenza dell’ONU sul cambiamento climatico che si dovrebbe tenere a Novembre in Scozia.
É interessante notare come tra gli obiettivi della Casa Bianca non ci sia solo la catalizzazione degli sforzi per limitare il riscaldamento globale, ma anche esplicitamente “mettere in luce gli esempi di come affrontare l’ambizione climatica creerà ottimi impieghi ben remunerati, farà avanzare tecnologie innovative, e aiuterà i paesi vunerabili ad adattarsi agli impatti climatici”, come ha detto Biden stesso venerdì mattina.
É chiaro quindi che la “transizione ecologica” sia una tema chiave della ristrutturazione produttiva, la cornice entro la quale si darà la competizione tra i maggiori attori internazionali: USA, Cina e UE.
Non a caso la ristrutturazione produttiva che la UE sta imponenendo ai vari Paesi, attraverso i vari Recovery Plan, si basa sugli investimenti “green” e sulla digitalizzazione.
Biden ha ribadito la propria volontà di accelerare il ritmo della vaccinazione in un momento in cui il virus è tutt’altro che sconfitto negli USA, anche se i dati complessivi in parte vanno migliorando.
Biden vuole raddoppiare il suo obiettivo di persone vaccinate entro aprile, cioè alla fine dei primi cento giorni dal suo mandato, da 100 milioni a 200 milioni.
Il 26 marzo i contagiati giornalieri negli USA sono stati 75 mila, 1.260 I decessi e più di 40 mila ricoverati; dati che sottolineano una parziale inversione di tendenza, evidente rispetto al picco di gennaio, ma non certo l’uscita dal tunnel, considerato che le morti totali sono state fino ad ora più di 540 mila.
Intanto, fino a sabato quasi novanta milioni di persone sono state completamente vaccinate – compresi i 48,7 milioni cui è stato somministrato il vaccino monodose Johnson & Johnson.
Più di un quarto della popolazione totale ha ricevuto almeno un primo vaccino, mentre il 15% hanno concluso il ciclo, con una media di dosi usate dell’80%.
Meglio dell’UE e non lontani dalle ottimistiche previsioni iniziali.
Se il compimento della difficile transizione politica e il gigantesco stimolo fiscale recentemente votato con l’American Rescue Plan, nonché l’accelerazione della vaccinazione, segnano un “cambio di passo”, le contraddizioni sociali esplosive del sistema statunitense sono state tutt’altro che in via di neutralizzazione.
Due sparatorie in una settimana hanno causato due e vere e proprie stragi, prima a Atlanta in Georgia – con 8 morti, di cui 6 donne di origini asiatiche – e poia Boulder, nel Colorado, con 10 persone uccise segnalano che gli Stati Uniti sono un paese in cui il mass shooting rimane una esperienza “normale”.
I dati forniti dal Gun Violence Archive sono eloquenti: 600 sparatorie in cui quattro o più persone sono morte, lo scorso anno, contro le 417 nel 2019.
Un condensato di malessere sociale aumentato, in un Paese in cui l’acquisto di armi è in crescita, che ha prodotto nell’anno della pandemia un inasprisi della violenza in diverse fasce della popolazione.
Un altro problema che non sembra avere una facile soluzione è la gestione dell’immigrazione che preme dal Sud, questione su cui Biden è sulla difensiva, considerato che ci potrebbe essere il flusso più grande degli ultimi 20 anni attraverso i confini messicani .
Gli USA hanno dichiarato che 100mila persone hanno cercato di attraversare il confine a febbraio, in forte aumento rispetto a gennaio.
Tra questi 9.500 circa bambini non accompagnati, provenienti prevalentemente da Honduras, Guatemala e Salvador.
Un flusso alimentato dall’aspettativa creata dalla decisione di Biden di non espellere i minori dal territorio statunitense, contestuale però alle misure draconiane prese dall’attuale amministrazione per espellere adulti e intere famiglie, come riporta Sarh Pierce del Migration Policy Institute, in una precisa inchiesta del Financial Times.
La popolazione statunitense ha attraversato il periodo pandemico in maniera molto differenziato.
Come scritto dal New York Times, nell’articolo qui tradotto: [la pandemia] “ha colpito principalmente li avoratori poveri e ha risparmiato chi guadagna di più.
Le misure sociali recentemente adottate, che comunque escludono l’aumento del salario minimo a 15 dollari ed hanno carattere “transitorio”, sono frutto delle mobilitazioni avvenute l’altro anno, quelle del “nuovo movimento operaio” che si è affacciato durante il ciclo pandemico e delle mobilitazioni per la giustizia razziale iniziate il giugno scorso.
Allo stesso tempo sono, per così dire, frutto del “welfare di guerra” necessario per consolidare il fronte interno rispetto all’impegnativa agenda internazionale.
Come scrivono Tankersley e DeParte, sono una: “opportunità per i Democratici di unire, in un paese fortemente polarizzato, una nuova maggioranza costruita su un rinnovato consenso per il governo”, dopo la profonda spaccatura manifestata dal Paese per tutta la campagna elettorale presidenziale fino ai famosi fatti di Capitol Hill.
Secondo gli ultimi sondaggi di RealClearPolitics, infatti, il 53% degli americani approverebbe il suo lavoro come presidente contro un 43% contrario.
Una conferma di come una parte consistente del Paese stia ancora con Trump, nonostante sia uscito dal cono dei luce dei media.
Certo, su alcune misure l’attuale amministrazione incontra il fuoco incrociato dei Repubblicani e degli stessi membri del proprio partito, con una risicatissima maggioranza al Senato che non permette di aggirare l’ostruzionismo legislativo del Grand Old Party e degli esponenti dem più “moderati”.
Occorrerebbe una maggioranza di 60 senatori, ma ne ha 50 più uno (la vicepresidente Kamala Harris, peraltro) ed infatti ha fatto propria per la prima volta l’ipotesi di cambiare le regole del Senato, che favoriscono il “filibustering”, per poter attuare i provvedimenti presidenzili già approvati dal Congresso.
Se è vero che tali misure porteranno ad un miglioramento delle fasce più vulnerabili della popolazione, e sono in parte allineate con i desiderata dell’ala più “progressista” dei Dem, non va dimenticato che sono principalmente varate in funzione della nuova “guerra fredda” e non intaccano affatto le fortune dei multimiliardari statunitensi.
Sembra chiaro che l’ulteriore pacchetto di investimenti, ipotizzato pari a circa 3 mila miliardi di dollari (infrastrutture e energia rinnovabile la prima tranche, istruzione e cura dell’infanzia la seconda), possa portare ad un incremento delle tasse dei più ricchi, cosa tra l’altro ipotizzata in campagna elettorale con un aumento della corporate tax dal 21 al 28%, così come l’aumento delle imposizioni per chi guadagna più di 400 mila dollari l’anno.
Cosa che creerà malumori in quella parte dell’establishment economico.
Il reddito medio di una famiglia afro-americana nel 2018 era di poco superiore ai 41 mila dollari, per avere un termine di paragone.
E’la competizione internazionale a spingere l’attuale amministrazione a metter mano alle storture più evidenti esplose con la pandemia, per rilanciare un sistema-paese che continua a mostrare le sue fragilità rispetto soprattutto al suo antagonista dichiarato: la Cina.
Sarebbe un errore però costruire narrazioni fuorvianti, come in parte fa l’articolo che abbiamo fin qui tradotto, e che dà la cifra dell’operazione di creazione di consenso messa in campo, subito ripresa dai media nostrani.
“Moderatamente progressisti” in patria e “marcatamente reazionari” all’estero, cioè imperialisti fino al midollo, anche nei confronti di quei paesi che vorrebbero legare a sé più come sudditi che come alleati.
Questi saranno ancora gli USA; non capirlo significa credere nel socialismo degli allocchi e legittimare il Partito Americano.
Buona lettura.
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Due decenni dopo la “Fine del Welfare”, i democratici stanno cambiando direzione
Jim Tankersley – Jason DeParle
25 anni fa, un presidente democratico celebrava “la fine del welfare per come lo conosciamo”, sfidando i poveri ad esercitare “indipendenza” e ad accettare budget bilanciati e misure assistenziali più ristrette.
Il Partito Democratico ha cambiato direzione proprio questa settimana.
Il suo primo grande atto legislativo sotto la Presidenza Biden è stato un “American Rescue Plan” finanziato con 1,9 miliardi di dollari da sostenere con un deficit con programmi ampi come assistere quasi ogni famiglia con figli e mirati come aiuti a contadini neri. Mentre provvede una serie di benefici alla classe media, è inoltre un’iniziativa per combattere la povertà di proporzioni epiche, dando assistenza in contanti a famiglie al termine della piramide sociale come mai prima dai tempi del New Deal.
Dietro questo cambiamento c’è un riallineamento di forze politiche, economiche e sociali, per alcune delle quali ci sono volute decenni, per altre un anno di pandemia, che hanno permesso l’avanzare di priorità progressiste.
Le disuguaglianze che crescono e i salari stagnanti negli ultimi venti anni hanno reso un ampio spettro di americani – di tutte le razze, da stati conservatori a liberali, di città metropolitane e rurali – sempre più preoccupati su come portare il pane a casa. Nuove ricerche documentano la gravità della povertà infantile.
Un’avanguardia energica e progressista ha spinto i Democratici verso sinistra, non Biden, che si è presentato come una forza moderata.
Le preoccupazione riguardo il deficit spending sono diminuite durante l’amministrazione precedente, quella di Trump, quando entrambi i partiti, entrambi inondati da correnti populiste, decisero finalmente di focalizzarsi sulle frustrazioni delle persone che non ce la facevano ad andare avanti, cosa che è anche peggiorata durante la pandemia, che ha colpito principalmente lavoratori poveri e ha risparmiato chi guadagna di più.
Un’estate di proteste riguardanti l’ingiustizia razziale e una grande moltitudine di elettori con alla sua testa i neri, che hanno portato alla Casa Bianca Biden e hanno permesso ai Democratici di avere di nuovo il controllo del Senato, hanno spinto affinché l’equità economica fosse all’ordine del giorno dell’agenda della nuova amministrazione.
Che la nuova legge sia il culmine di queste forze, o un investimento ancora troppo basso per abbattere povertà e disoccupazione, sarà la vera sfida per i Democratici in questa legislatura.
Assieme al cercare di rendere permanente una serie di provvedimenti provvisori nel programma di stimoli, i Democratici sperano di spendere migliaia di miliardi di dollari per migliorare infrastrutture, ridurre le emissioni che portano avanti il cambiamento climatico, ridurre il costo del college e delle cure mediche per i bambini, espandere la copertura sanitaria e le ferie pagate, e salari più alti per i lavoratori.
La nuova posizione democratica è “un addio lontano ai giorni del “big government è finito””, dice Margaret Weir, una scienziata politica della Brown University.
Agli occhi di chi la sostiene, la legge non è semplicemente uno dei più ampi programmi di aiuto economico e sociale da generazioni, ma anche l’inizio dell’opportunità per i Democratici di unire in un paese fortemente polarizzato una nuova maggioranza costruita su un consenso rinnovato per il governo.
“Assieme ai diritti civili, il diritto di voto e il diritto alla casa negli anni 60, e forse l’Affordable Care Act, questa è la cosa più importante che il Congresso ha fatto dai tempi del New Deal”, afferma il senatore Sherrod Brown, democratico dell’Ohio e da tempo sostenitore di politiche contro la povertà incluse nel piano di Biden.
“Le persone si rendono sempre più conto che il governo può stare dalla loro parte e ora lo è”, dice.
I conservatori non riescono a gettare la spugna su quello che definiscono una grande espansione del welfare. I democratici si trovano davanti diversi ostacoli per continuare con ogni altro di legislazione, a cominciare dal Senato, che richiede una maggioranza di almeno 60 voti, e la precarietà della maggioranza democratica. I democratici moderati stanno già resistendo ad un ulteriore espansione di budget.
Ma incoraggiati dalla crisi, tanti democratici vedono un’opportunità nell’usare il governo per risolvere grandi problemi.
Mentre la nuova legislazione sembra essere ampiamente supportata dagli elettori, un nuovo interesse per le lotte dei lavoratori sia a destra che sinistra, incluso il tentativo repubblicano di diventare il partito della classe operaia, ha scombussolato la visione di come gestire l’economia da entrambi i lati.
Biden si è presentato come centrista in un partito di cui una larga parte di elettori sosteneva candidati progressisti quali Sanders e Warren. Ma passerà le prossime settimane in giro per il paese a promuovere atti quali l’espansione della child tax credit, un aiuto di un anno da 100 miliardi di dollari che i democratici sognano un giorno che diventi una legge stabilita: reddito garantito a tutte le famiglie con figli a carico.
I Repubblicani hanno avuto difficoltà nell’attaccare l’ampio spettro di provvedimenti del piano di Biden, ad esempio quelli riguardanti pagamenti diretti fino a 1400 dollari e il finanziamento di maggiori di sussidi sanitari che beneficia tanti loro elettori. I leader del partito stanno cercando di spostare l’attenzione su temi quali l’immigrazione.
Un bollettino del Republican National Committee questa settimana ha denunciato l’aumento del debito nazionale dovuto al piano di recupero, i maggiori investimenti in stati liberal e città come San Francisco e gli 1,7 miliardi di dollari ad Amtrak, ma non tocca il child tax credit, che donerà alle famiglie fino a 300 dollari per ogni figlio.
Alcuni prominenti conservatori hanno sostenuto queste misure anti-povertà che dichiarano essere pro-famiglia, il che viola i principi base del Partito Repubblicano, incentrati sull’idea secondo cui gli aiuti federali sono un disincentivo al lavoro.
Tanti repubblicani provenienti da stati tendenzialmente conservatori hanno cominciato a notare i problemi nel proprio giardino di casa, dovuti ad una crisi da oppiacei e a stagnazione economica che ha portato l’America rurale ad avere più alti tassi di povertà rispetto a quella urbana, specialmente per quel che riguarda i bambini.
Una corrente emergente tra i conservatori, trainata da una nuova generazione di pensatori economici, supporta una maggiore spesa per le famiglie con figli a carico, per aiutare lavoratori poveri e, in alcuni casi, per incoraggiare le famiglie a fare più figli. Lo speaker radiofonico conservatore Hugh Hewitt ha convintamente sostenuto il child credit in una serie di tweet venerdì scorso, incoraggiando i genitori ad usare gli aiuti per mandare i figli alla scuola della parrocchia, e di dice di volerlo rendere permanente.
Comunque, questo potrebbe provocare un contrattacco in stile Tea Party come accadde quando Obama aveva appena iniziato a rimettere in sesto l’economia americana tramite stimoli nel 2009.
“L’hanno fatto passare e gli elettori non sanno che cosa stanno facendo”, sostiene Robert Rector, dell’Heritage Foundation, un think tank molto influente tra i parlamentari repubblicani.
“La battaglia deve ancora avere un avversario”, dice Mickey Kaus, un giornalista le cui critiche ai sussidi incondizionati ai poveri hanno aiutato a normalizzare i tagli al welfare durante l’amministrazione Clinton.
I Democratici sostengono che Biden abbia iniziato un percorso che porterà ad una vittoria a lungo termine creando programmi che aiuteranno non solo i più poveri, ma anche i lavoratori meno benestanti.
Si pensa che il pacchetto aiuterà con migliaia di dollari famiglie di ogni razza, superando l’opinione fra gli elettori bianchi secondo cui i sussidi aiuterebbero solo le minoranze razziali.
Il piano di aiuti, che Biden ha decretato legge giovedì, racchiude altre misure temporanee per aiutare americani senza o con poco reddito. Include benefici estesi per la disoccupazione, tagli alle tasse per i costi per le spese per i bambini e taglio delle tasse sui redditi da stipendio.
La lotta di Biden alla povertà, che si dice porterà fuori dal disagio sei milioni di americani, “è stato realizzata perché quel terzo di persone che guadagnano meno nella scala gerarchica sociale è stato toccato più sproporzionatamente dalla pandemia”, afferma Cecilia Rouse, presidente del White House Council of Economic Advisers.
I Democratici e ricercatori sulla povertà hanno cominciato a fare un lavoro su questi provvedimenti diversi anni fa, tra cambiamenti economici che hanno evidenziato buchi nello stato sociale. Quando un libro del 2015 di Kathryn J. Edin e H. Luke Shaefer “$2.00 a day” uscì sostenendo che sempre più famiglie passavano mesi senza entrate reali, il senatore Brown organizzò un incontro con i suoi colleghi per distribuirne delle copie.
Contemporaneamente, molti studiosi sono passati dal focalizzarsi sul fatto o meno che i sussidi federali stimolino le persone a lavorare a chiedersi se con uno stipendio basso un lavoratore possa crescere adeguatamente i propri figli.
Un crescente numero di ricerche accademiche, volute da ufficiali amministrativi di Obama proprio prima di lasciare l’incarico, mostra che una larga parte di bambini passa parte della propria infanzia sotto la soglia di povertà e che persino brevi periodi di povertà porteranno i bambini ad avere poche probabilità di prosperare da adulti. Un importante report delle National Academies of Sciences, Engineering and Medicine rivela che i bambini sostenuti da aiuti stanno meglio.
“Questo ci ha permesso di cambiare il discorso” dai mali della dipendenza “a quanto fanno bene i sussidi”, sostiene Hilary W. Hoynes, un’economista all’Università di Berkeley, che è nel comitato che ha scritto il report.
Dall’estate scorsa, si è cominciato a capire che il peso della pandemia gravava più sproporzionatamente sui lavoratori poveri, in particolare neri e latinos, che aveva prima cercato di limare il deficit con tagli alle tasse, ha finito per unire il Congresso nel concedere trilioni di dollari in stimoli.
Le proteste sulla giustizia razziale hanno portato ancora più pressione sugli aiuti federali. “Così come il movimento per i diritti civili ha spinto per Johson, questo ha sostenuto fortemente Biden”, dice Sidney Milkis, scienziata politica alla University of Virginia, che studia la relazione fra il presidente e i movimenti di base.
Mentre il child tax credit espanso porterà sollievo al 93% dei bambini, ciò toccherà di più le persone di colore. Analisti alla Columbia University stimano che i child benefit taglierà la povertà infantile a livelli pre-pandemici tra i bianchi del 39%, tra i latinos del 45% e tra i neri del 52.
“Il covid ha esposto i problemi del razzismo sistemico e della povertà sistemica che già esistevano”, sostiene il reverendo William J. Barber II, che è a capo della Poor People’s Campaign, un tentativo di far approcciare di più i poveri alla politica elettorale. “Ha obbligato ad una maggiore attenzione agli stipendi e alla povertà in questo paese.”
Ufficiali della Casa Bianca e leader democratici nel Congresso sostengono che il piano di aiuti di Biden ha cambiato narrazione, creando un forte impulso per un’espansione di tante sue misure anti-povertà. Diversi ricercatori affermano che il decreto taglierà la povertà infantile a metà entro fine anno.
I democratici dicono che questo diventerà un argomento contro i repubblicani che si potrebbero opporre al rendere le misure permanenti. “State cercando di votare per raddoppiare la povertà infantile?”, dice Brown.
Nel sostenere il piano, Biden ha deciso volutamente di parlare assieme di poveri e dela classe media non come due gruppi distinti e separati ma come categorie in continua evoluzione che si sovrappongono, considerando quanto entrambe già stessero soffrendo ben prima della pandemia. La scorsa settimana, ha parlato dei “milioni di persone senza lavoro senza che ne abbiano colpa” e ha detto che il suo piano beneficerà ogni famiglia con reddito di 100mila dollari l’anno.
“Questo è parte del perché io penso sia trasformativo”, dice Brian Deese, capo del National Economic Council di Biden. “Questo non è semplicemente un programma contro la povertà”.
Nei prossimi mesi, i democratici dovranno affrontare ostacoli nel rendere permanenti misure come il child benefit, incluse pressioni da falchi fiscali per metterle fuori gioco alzando le tasse o tagliando altre spese.
Ma il brusco passaggio perfino delle più temporanee misure ha rasserenato gli esperti anti-povertà.
“Un anno fa avrei detto che si trattava di un sogno”, afferma Stacey Taylor, che traccia la povertà per Fresh EBT by Propel, un applicazione per il telefono usata da milioni di persone che ricevono sussidi alimentari. “Non posso credere che avremo un reddito garantino per famiglie con figli a carico”.
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