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Gli obiettivi di Washington e Ankara su Donbass e Crimea

Con l’impennata dei contagi da coronavirus in Turchia, Mosca ha praticamente chiuso fino a giugno il consueto forte flusso turistico russo verso le spiagge turche, invitando i cittadini a dirottare le vacanze delle feste di inizio maggio verso la Crimea, dove i prezzi di alberghi e alloggi sono cresciuti di colpo in media del 50%.

Naturalmente, il virus c’entra, eccome. Ma la drastica riduzione di voli verso la Turchia è anche una risposta di Mosca al connubio ucraino di Ankara.

E, in fondo, la Crimea non è ora così allettante per i russi. Almeno, non per tutti. Addirittura, Sergej Ponomarëv, su Svobodnaja pressa, si chiede se non sia giunto il momento per Mosca di «dire apertamente che la Turchia è un nostro nemico». In altre parole: «Ma perché abbiamo bisogno della Turchia? Quella stessa Turchia che si intromette in Libia, Asia centrale, Caucaso, nelle repubbliche “musulmane” russe».

Quindi, se è solo per andare a ubriacarci «con roba di bassa qualità negli hotel “all-inclusive” di Antalya, Kemer, Alanya e Bodrum, ne possiamo fare a meno e dirottare su Soči, Anapa o Jalta». Se è invece per le operazioni in Siria, allora «meglio aver a che fare con Iran e Hezbollah: almeno lì è tutto chiaro. È vero, abbiamo posato un gasdotto attraverso la Turchia; ma non è chiaro chi abbia più bisogno di quel gas, dato che la Russia ha trasformato un paese nemico in un hub internazionale del gas, con le relative entrate nelle tasche turche. Abbiamo anche iniziato a costruirvi una centrale nucleare, proclamando che “Akkuyu Nükleer Güç Santrali è il pegno di una forte amicizia russo-turca”! Ma, dato che la Turchia se ne infischia di tutte le organizzazioni internazionali, dove sono le garanzie che non sputerà, ad esempio, anche sulla MagAtË (AIEA)? Non è che, per caso, stiamo costruendo, in uno stato ostile, proprio accanto a noi, una struttura in cui, volendo, si può ottenere uranio arricchito?».

Oltretutto, in risposta alle «parole gentili e ai sorrisi russi, la Turchia ringrazia, abbattendo i nostri aerei in Siria, o sostenendo il Medžlis dei tartari in Crimea e nei territori adiacenti».

Ora, poi, Erdogan, nell’incontro con Zelenskij del 10 aprile, ha annunciato di «unirsi alla “Piattaforma crimeana”, l’idea ucraina, cioè, di creare un ampio fronte di stati che sostengono “il ritorno della Crimea all’Ucraina”. Si sapeva di come Recep Tayyip non abbia mai voluto riconoscere la Crimea come russa; ma non gli bastava: vuole far pressione sulla Russia. Evidentemente, nel quadro dell’idea pan-turca del “Grande Turan”, con Ankara alla testa».

E se questa può esser solo l’opinione di un giornalista, espressa in maniera brutale, ben più concrete sono le ultime dichiarazioni del segretario del Consiglio di sicurezza russo, Nikolaj Patrušev, sulla possibilità di provocazioni armate e attacchi terroristici contro la Crimea: nel 2020 ne sarebbero stati sventati almeno 10 e un altro lo scorso 9 aprile, organizzato dal Tahrir al-Sham.

La cosiddetta “Piattaforma crimeana” di Kiev considera infatti la “riconquista” della penisola una priorità della junta e Patrušev non esclude una sorta di “Gleiwitz” neo-nazista, con il sacrificio di soldati ucraini per “giustificare” un attacco alla penisola. A parere di Patrušev, il pericolo maggiore viene dagli Stati Uniti; ma anche la Turchia non è da meno.

Gli USA, ha detto, «a parole dichiarano di non aver interesse a fomentare il conflitto; di fatto, concedono fondi per l’armamento dell’esercito ucraino, accrescono la presenza di navi nel mar Nero, programmano manovre congiunte, incrementano» i voli spia attorno alla Crimea, ampliano i centri di addestramento per le unità di sabotaggio.

E, tali pericoli, secondo Patrušev, trovano terreno fertile nella «possibile complicazione della situazione inter-etnica e inter-religiosa», inasprita dall’attività del Medžlis dei tatari di Crimea, strettamente legato alla Turchia, insieme al rientro nella penisola di elementi che «hanno partecipato a conflitti all’estero nelle file di organizzazioni terroristiche» islamiste.

È così che il politologo Vladimir Avatkov evidenzia proprio il fattore turco nella questione crimeana, con Ankara che si presenta quale centro del mondo turco. Oltre al sostegno alla “Piattaforma crimeana”, infatti, nella Turchia stessa sono attive varie organizzazioni che, in precedenza, agivano per la secessione della Crimea dall’Ucraina e il suo passaggio in campo turco e ora coordinano la propria attività coi battaglioni neo-nazisti ucraini.

D’altronde, la Turchia è anche una spina nel fianco della NATO, scrive Stanislav Tarasov. Ma una spina che deve esser sopportata. Nel marzo scorso la turca Hurriyet Daily News riportava l’intervento di Jens Stoltenberg alla Stanford University e, alla domanda se la Turchia debba essere esclusa dalla NATO per via dei rapporti tra Recep Erdogan e Vladimir Putin, aveva risposto che «la Turchia è un alleato importante. Guardate anche solo la carta geografica e vedrete che la Turchia è estremamente importante», sia per la vicinanza a Iraq e Siria, sia per le basi usate dalla NATO.

Da parte sua, in varie occasioni Erdogan ha invece accusato la NATO di insufficiente appoggio alla sua politica regionale e la Yeni Çağ lamenta che all’interno dell’Alleanza si sia formata di fatto una «coalizione anti-turca capeggiata dalla Francia, che si contrappone alle “azioni provocatorie della Turchia in Libia e nel Mediterraneo”, mentre membri dell’alleanza partecipano a coalizioni con Israele e Arabia Saudita per il controllo del cosiddetto “istmo siriano”, tra Mediterraneo orientale e Golfo Persico, restringendo la capacità della Turchia di assicurarsi una zona di sicurezza ai confini sud-occidentali».

In altre parole: ad Ankara va molto stretta la cintura euro-atlantica. Vale a dire che le «ragioni dell’opportunismo turco nella NATO», scrive ancora Tarasov, «sono più profonde e multidimensionali, e i problemi sorti con gli “S-400” russi sono solo la punta dell’iceberg, sebbene siano diventati una sorta di “elemento di identità” nella relativamente nuova politica estera indipendente» e nella disputa per la leadership regionale. Ecco perché l’americana Foreign Policy scrive che Washington esprime «profonda preoccupazione e allarme su dove si stia dirigendo la Turchia».

Anche perché, come osserva il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, pur se «Ankara giudica molto importante l’adesione alla NATO… sta tuttavia cercando di mantenere indipendenza di decisioni politiche».

D’altra parte, a proposito della Crimea, è anche l’indecisione di Mosca a stimolare le avventure contro la penisola. O, quantomeno, così la pensa il politologo Mikhail Aleksandrov su Svobodnaja pressa. A cosa si deve la «telefonata di Biden a Putin? Non credo che gli americani temessero che avremmo avviato operazioni militari contro l’Ucraina, mettendo fine al regime russofobo di Kiev. Penso piuttosto che stiano cercando di distogliere la nostra attenzione, in vista di un attacco ucraino» proprio alla Crimea.

La dichiarazione di Patrušev suggerisce che «i nostri Servizi stanno sul chi va là e non si fidano delle telefonate di Biden. Dobbiamo però sbarazzarci degli elementi che, da noi, vanno a guinzaglio degli USA e conducono colloqui sul nulla, mentre l’Occidente aumenta la pressione, schiera truppe ai nostri confini…».

In generale, comunque, per quanto elevato sia il rischio che gli USA possano spingere Kiev a un attacco militare aperto e massiccio contro il Donbass o la Crimea, Washington non sembra al momento intenzionata a una simile piega degli eventi – e tantomeno a prender parte a un conflitto in prima persona, anche se vari osservatori russi, di fronte alle manovre “Defender Europe”, parlano di “approssimarsi di una seconda crisi caraibica” e tutto dipende dal fatto se Pentagono, Casa Bianca e Bruxelles credano nella risolutezza russa – ma pare piuttosto molto propensa a mantenere ai massimi livelli la tensione tra Ucraina e Russia, dato che questo risponde in pieno ai propri interessi, sia nei confronti di Mosca, che della UE.

Come nota, ad esempio, Andrej Raevsij (The Saker), «la “torta imperiale” comune tra USA e UE si è ridotta» e gli yankee debbono azzannarne la parte maggiore. Da qui, l’opposizione USA al “North stream 2”, che «non minaccia Paesi baltici, Polonia e Ucraina, ma minaccia di rendere la UE più competitiva degli USA sul piano energetico».

Se ci sarà la guerra, la UE ne risentirà molto più degli USA. E anche se le forze russe resteranno sull’attuale linea di contatto, «qualsiasi aperto intervento russo in Ucraina porterà a un’immediata isteria militare in Occidente, assicurando il completo dominio USA, tramite la NATO, sul continente europeo».

Il fatto che il “North stream 2” sia completo al 95%, scrive Raevskij, «è uno schiaffo per Biden, che vorrà mostrare agli europei “chi sia il padrone”. In caso di conflitto, il gasdotto verrà immediatamente chiuso e gli europei verranno puniti, sia rifiutando loro energia a basso costo, sia per i miliardi di dollari già spesi per il progetto».

Ma, intanto, è il Donbass che continua a pagare il prezzo maggiore e vede ancora allungarsi il numero di vittime civili. Nella tarda serata del 14 aprile, le forze ucraine hanno ripetutamente bersagliato alcuni rioni alla periferia di Donetsk, i villaggi di Lozovoe e Staromikhajlovka e la periferia di Dokučaevsk. Colpi di mortaio da 120 mm sono caduti su edifici civili nel rione “Kievskij” di Donetsk; qui, le schegge delle bombe hanno colpito vari piani di un edificio, provocando la morte di un uomo di 59 anni.

Nella LNR, colpito in particolare il villaggio di Zolotoe-5, mentre il vice Ministro per l’informazione della DNR, Daniil Bezsonov, ha dichiarato che «La minaccia di un’offensiva ucraina non è affatto una fantasia», tanto che le finestre di buona parte degli edifici pubblici di Donetsk vengono protetti coi sacchi di sabbia, mentre blindati del reggimento neo-nazista “Azov” si dirigono verso Mariupol.

Per gli Stati Uniti, però, e i loro vassalli europei, sarebbe l’Ucraina a essere minacciata dalla “aggressione russa”. Il 15 aprile, Washington, con la vecchia scusa di “ingerenza nelle elezioni” USA, ha introdotto nuove sanzioni contro 16 enti, 16 persone fisiche e ha espulso 10 diplomatici russi; mentre, da Bruxelles, i Ministri degli esteri di Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna, convocati alla corte del segretario di stato USA Antony Blinken, hanno ribadito «il sostegno all’integrità territoriale ucraina, hanno altamente apprezzato la moderazione ucraina di fronte alle provocazioni russe», sottolineando «la necessità che la Russia allenti immediatamente la tensione».

È il caso di intendersi sul concetto di “moderazione”.

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2 Commenti


  • Ale

    Si potrebbe ritrovare la fonte del discorso di Andrej Raevsij?


    • Redazione Roma

      Sakeritalia.it

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