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Verso la guerra civile… in Israele?

Israele come gli Usa dell’era Trump? E’ fantasia immaginare la Knesset presa d’assalto non dai palestinesi, ma dalle varie fazioni israeliane che si scontrano per le strade?

La commissione esteri e difesa della Knesset, presieduta da Orna Barbivai (Yesh Atid), lunedì scorso ha discusso della “parata delle bandiere” promossa dai gruppi sionisti più oltranzisti, che potrebbe tenersi a Gerusalemme giovedì prossimo.

La manifestazione (che celebra l’occupazione militare della città avvenuta nella “Guerra dei Sei Giorni” nel 1967) è stata riconvocata per questa settimana dopo che era stata annullata lo scorso 10 maggio a causa dei lanci di razzi palestinesi sulla città.

L’attuale ministro della Difesa Benny Gantz ha detto che chiederà di annullare la marcia a causa della delicata situazione della sicurezza. “Abbiamo il dovere di agire con sensibilità sul piano politico, civico e della sicurezza” ha affermato Gantz.

Alcuni politici israeliani, come il deputato di Yesh Atid Ram Ben Barak, hanno chiesto alla polizia di cancellare la marcia sostenendo che il suo scopo non è più quello di celebrare Gerusalemme, bensì di far naufragare sul nascere la coalizione guidata dal leader di Yesh Atid, Yair Lapid, e dal leader di Yamina, Naftali Bennett, sostenuta anche dal partito arabo islamico Ra’am, una tesi sostenuta domenica anche dall’editoriale del Jerusalem Post.

La coalizione che intende defenestrare Netanyahu dopo 11 anni di governo e due processi per corruzione è composta da otto partiti.

Rappresentando destra e sinistra, ebrei e arabi, laici e religiosi (non ultra-ortodossi ndr), il nascente governo ha la potenzialità di porre rimedio a sfiducia e animosità, di sanare le fratture tra le varie comunità e di guidare il paese lungo un percorso meno travagliato e più stabile”, scrive David Brinn nell’editoriale del Jerusalem Post del 3 giugno.

Ma per raggiungere questo obiettivo, i partiti che compongono la coalizione devono temporaneamente archiviare le loro ambizioni e ideologie e lasciarle fuori dalla porta”.

Il governo sarà sostenuto da otto parlamentari arabi: quattro del partito arabo islamico Ra’am e altri quattro eletti nelle liste di partiti sionisti. Sebbene tecnicamente Ra’am non sia il primo partito arabo a entrare in un governo israeliano, secondo il Times of Israelquesta è sicuramente la prima volta che un partito arabo gioca un ruolo così cruciale nella sua formazione”.

Secondo un sondaggio diffuso sabato della tv israeliana Canale 12, il 46% degli israeliani sostiene il nascente governo Bennett-Lapid, contro il 38% che preferirebbe un’altra tornata elettorale, la quinta in poco più di due anni, mentre il 15% degli intervistati non ha espresso una preferenza.

Ma il clima di contrapposizione tra i sostenitori di Netanyahu e quelli del nuovo governo si va facendo incandescente, tanto che Nadav Argaman capo dei Servizi di Sicurezza Generali (lo Shabak) ha pubblicato una dichiarazione sulla situazione di estremo pericolo sociale.

I toni dei discorsi politici, in particolare nei social network, si connota per un linguaggio sempre più violento, mentre gli scontri tra i politici possono essere interpretati come incitamento alla violenza. Argaman ha messo apertamente in guardia da una probabile degenerazione della situazione.

L’allarme è scattato in particolare di fronte alle manifestazioni e alle esternazioni di rabbia dell’elettorato di Yemina, che si oppone alla decisione del leader Naftali Bennett di andare al governo.

La parola “smolani” (sinistrorso) è sempre più associata a “boged” (traditore), e alcuni leader politici poco propensi alla nuova coalizione di governo, hanno subito minacce. L’incitamento alla violenza politica e settaria è cresciuta sui social e nella nuova piattaforma Tik Tok in misura preoccupante.

Un primo test potrebbe essere proprio lo svolgimento o meno della “Parata delle bandiere” a Gerusalemme il prossimo giovedì che sarà un vero e proprio test in piazza sul nuovo governo.

E questa volta non ci sarà il pretesto dei razzi o delle manifestazione della resistenza popolare palestinese, è una contraddizione tutta interna al modello coloniale e sionista, così come Trump lo è stato per il modello statunitense.

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