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La guerra si radicalizza nel Sahel

Lungi dal suscitare speranze di pace, l’annuncio, il 10 giugno, del Presidente francese Emmanuel Macron di voler “ridefinire” l’intervento della Francia nel Sahel, è stato seguito da un intensificarsi della guerra con modalità « medio-orientali ».

Una nuova strategia dettata dall’Eliseo è in atto e privilegia l’azione congiunta di tutte le forze speciali – francesi, europee e africane – secondo le metodologie classiche della contro-insurrezione: operazioni segrete, infiltrazione, azione psicologiche, controllo ravvicinato delle popolazioni. Una strategia di cui i civili sono le prime e le principali vittime.

Venerdi 2 luglio, in un comunicato con foto, il Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (GSIM), formazione jihadista attiva nel centro del Mali, ha rivendicato gli attacchi esplosivi del 19 giugno a Menaka, del 21 a Gossi e del 25 a Tarkint.  

La forza Takuba dell’Unione Europea, i francesi dell’operazione Barkhane – colpiti da un’autobomba – e il contingente tedesco della Missione dell’ONU (MINUSMA) sono stati gli obiettivi dei combattenti islamici che hanno anche assaltato una posizione dell’esercito maliano (FAMa) nel villaggio di Boni, uccidendo 6 militari il 25 giugno.

Il 3 luglio, il sito zone militaire opex 360.com (http://www.opex360.com/2021/) dell’esercito francese ha informato i lettori dell’avvenuta eliminazione, il giorno dopo i fatti, del «gruppo terrorista implicato nell’attacco che ha ferito sei militari francesi a Gossi».

Ventiquattro ore prima, il 2 luglio, la ministra francese delle Forze Armate, Florence Parly, aveva annunciato davanti ai giornalisti la neutralizzazione e l’arresto di importanti dirigenti islamisti: «Dall’8 al 19 giugno, la forza Barkhane, la task force Takuba (formata da forze speciali francesi e di altri paesi europei) e l’esercito del Niger hanno condotto l’operazione Solstizio».  

Domenica 4, la risposta degli insorti islamici si è concretizzata in un attacco contro una missione amministrativa delle forze armate maliane, che hanno perso quattro soldati nello scontro.

Visibilmente, i due belligeranti supportano l’escalation militare sul piano della comunicazione. Segno evidente che la guerra nel Sahel sta entrando in una nuova fase, più aspra e radicale nei modelli operativi, improntati ai metodi delle operazioni clandestine e dei servizi segreti.  

Annunciata ufficialmente dal presidente francese Macron il 10 giugno, la svolta riguarda la ristrutturazione dell’intervento francese, con la progressiva riduzione di Barkhane. Un particolare importante, ma che, a causa del suo aspetto semantico, alcuni osservatori hanno confuso con una volontà di disimpegno delle forze transalpine nella regione sahelo-sahariana.

La datazione di Solstizio non è casuale. Alcuni giorni prima che i suoi commandos entrassero in azione, il generale Vidaud, comandante della task force Sabre, di stanza in Burkina Faso, aveva dichiarato il 3 luglio alla televisione France 24 che ci sarebbe stata un’intensificazione delle «operazioni di neutralizzazione».  

D’altra parte, si deve notare che la risposta jihadista è immediatamente scattata il giorno stesso della fine di Solstizio.

A Parigi se l’aspettavano?

Comunque sia, bisogna ricordare che, qualche giorno dopo il discorso di Macron, Youssef al-Annabi, leader di Al-Quaïda nel Maghreb islamico (AQMI), aveva diffuso un intervento nel quale invitava alla mobilitazione tutte le katiba (cellule combattenti) islamiste.

Le sue dichiarazioni sono state giudicate molto ‘politiche’, perché assortite di un appello all’unità di tutte le etnie del Mali ed anche al popolo francese, affinché si dissociasse dall’intervenzionismo espansionista dell’Esecutivo.

Da tempo ormai in Francia sono emerse riserve sostanziali sulla guerra nel Sahel. Il 23 giugno scorso, il senatore comunista Pierre Laurent si esprimeva in questi termini: «Credo che la ‘razionalizzazione’ della nostra politica d’intervento militare in Africa non verta sul ritiro del nostro esercito, ma piuttosto su una sua ‘riconfigurazione’. L’obiettivo evidente resta quello di dispiegare le nostre forze d’intervento sempre più avanti ed in un più grande numero di paesi. Noi siamo protagonisti di un escalation militare che si sta sviluppando ad un ritmo incredibile».

Gli eventi ci dicono infatti che l’operazione Solstizio, contrariamente all’enunciato di un giornalista del mensile Le Point, non è stata l’ultima scintilla di Barkhane, ma il primo atto di un nuovo dispositivo che rischia d’implicarci nell’irakizzazione del Sahel.

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