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Burkina Faso. Si apre il processo sull’assassinio di Thomas Sankara

A distanza di 34 anni dalla morte del “padre della rivoluzione burkinabé”, si è aperto – lunedì 11 ottobre – il processo per l’assassinio del leader panafricanista Thomas Sankara e di dodici suoi compagni, a seguito del golpe militare che il 15 ottobre 1987 rovesciò il suo governo guidato dal Parti africain de l’indépendance e dalla Union des luttes communistes – reconstruite (ULC-R).

Thomas Sankara, nominato presidente del Consiglio Nazionale della Rivoluzione (CNR) il 4 agosto 1983, voleva “decolonizzare le mentalità” e difendere i poveri e gli oppressi, non solo del suo paese, ma di tutta l’Africa, depredata e saccheggiata dalle potenze imperialiste occidentali e dai loro vassalli locali corrotti e autoritari.

Un simbolo della lotta antimperialista e panafricanista che non ha mai accettato che il Burkina Faso e l’Africa subsahariana fossero condannati a vivere in condizioni materiali e sociali di povertà estrema, analfabetismo, mortalità infantile.

Voleva “osare inventare l’avvenire” per ottenere quel cambiamento radicale necessario ad emanciparsi dalla condizione di “paese sotto-sviluppato”, risultato di una impostazione neocoloniale predatoria e delle politiche di sottomissione finanziaria dettate dal FMI, proprie di un “sistema che consente ad un pugno di uomini sulla terra di comandare tutta l’umanità”.

Sul banco degli imputati del Tribunale militare di Ouagadougou spicca sicuramente il nome dell’ex presidente Blaise Compaoré, il quale, insieme ad altri 13 imputati, è accusato di “attentato alla sicurezza dello Stato”, “complicità in assassinio” e “complicità in occultamento di cadavere”.

Inizialmente, il numero delle persone implicate doveva essere più elevato, ma molti degli imputati sono ormai deceduti.

Insieme ad alcuni soldati dell’ex guardia presidenziale di Compaoré, in particolare l’ex ufficiale capo Hyacinthe Kafando – accusato di essere il capo del commando che assaltò il CNR – c’è anche il generale Gilbert Diendéré, uno dei principali leader dell’esercito durante il golpe del 1987, promosso poi al ruolo di capo di Stato maggiore. Quest’ultimo sta attualmente scontando una condanna a 20 anni di reclusione in Burkina Faso per il tentativo di colpo di Stato nel 2015.

La morte del “Che africano” è stato un argomento tabù durante i 27 anni del regime instaurato da Blaise Compaoré, rovesciato nel 2014 da un’insurrezione popolare che lo ha costretto a riparare in Costa d’Avorio, dove è riuscito ad ottenere la nazionalità ivoriana.

A sinistra, il golpista Compaoré

Per questo, verrà processato in contumacia, come confermato dai suoi avvocati lo scorso 7 ottobre, i quali in una nota dichiarano di voler boicottare questo “processo politico”.

Ciò che è rassicurante è che nella fase attuale del caso, la sua presenza non è necessaria per la dimostrazione della verità”, ha aggiunto l’avvocato della parte civile Guy Hervé Kam, perché “gli elementi che sono nel dossier permetteranno certamente, alla fine del processo, di poter determinare la responsabilità individuale di tutti gli accusati”.

Dopo la sua caduta e fuga, il caso giudiziario relativo all’assassinio di Thomas Sankara è stato ripreso dal governo democratico di transizione e la giustizia burkinabé ha emesso nel dicembre del 2015 un mandato di arresto internazionale contro Compaoré.

Nel febbraio 2020, una prima ricostruzione dell’assassinio di Thomas Sankara ha avuto luogo sulla “scena del crimine”, nella sede del Consiglio Nazionale della Rivoluzione (CNR) a Ouagadougou.

Al processo assisterà quasi sicuramente Mariam Sankara, la compagna di Thomas, che ormai da oltre trent’anni vive a Montpellier, nel sud della Francia, costretta all’auto-esilio dopo il golpe di Compaoré e le iniziali remore ad abbandonare il suo paese.

Sto aspettando che sia fatta giustizia e che la verità sia conosciuta. E non sono la sola, tutto il Burkina lo sta aspettando”, ha dichiarato.

La sua battaglia per la verità e la giustizia è iniziata nel 1997, quando presentò una denuncia alla giustizia burkinabé per l’assassinio di suo marito. Nel 2012 la Corte Suprema ha deciso finalmente di aprire l’indagine istruttoria.

Il processo si concentrerà sulla sequenza precisa dell’assassinio: dagli elementi dell’inchiesta istruttoria trapelati alla stampa risulta che il commando partì dalla casa di Blaise Compaoré e che il generale Diendéré era presente al Consiglio per dirigere le operazioni del putsch.

Inoltre, si cercherà di far luce sui complici, in particolare quelli che hanno avuto un ruolo dopo la morte di Thomas Sankara; ad esempio, il medico Jean Christophe Diébré, il quale aveva redatto il certificato di morte di Thomas Sankara indicando una “morte naturale”.

Possiamo dire, finalmente, che il processo metterà fine a tutte le bugie, avremo una forma di verità. Tranne che il processo non sarà in grado di ripristinare il nostro sogno, il sogno burkinabé”, ha detto Halouna Traoré, ex compagno di Sankara ed unico superstite del golpe del 1987, in un’intervista televisiva.

Secondo lui, “toccherà a noi imparare le lezioni di questo processo” perché questo “ci porta a guardarci allo specchio, a vedere il male che ci siamo fatti con la complicità esterna, perché il lato materiale del colpo di Stato è avvenuto in Burkina, ma i suoi promotori vengono da fuori”.

Traoré chiama direttamente in causa le responsabilità politiche e materiali di dirigenti e ufficiali dell’esercito, sia francesi che statunitensi, alcuni dei quali sarebbero stati presenti a Ouagadougou nei giorni immediatamente successivi al golpe.

Come scrivevamo qualche mese fa, secondo alcune rivelazioni di un agente dei servizi segreti interni alla rivista burkinabé Courrier Confidentiel, confermate poi dall’istruttoria, agenti francesi erano presenti in Burkina Faso il giorno dopo l’assassinio, il 16 ottobre 1987, per distruggere le intercettazioni telefoniche destinate a Blaise Compaoré e Jean-Pierre Palm, un ufficiale della gendarmeria ora accusato nel caso Sankara.

Insieme a Jean-Pierre Palm, era presente “un bianco che si diceva di essere un tecnico, più un altro che si diceva fosse un capitano francese chiamato Baril”, come riportato dalle rivelazioni.

Allora, “abbiamo preso gli archivi delle intercettazioni riguardanti Blaise Compaoré e Jean-Pierre Palm, che erano stati condiviso e abbiamo proceduto alla loro distruzione. Lo stesso Palm è venuto nel nostro dipartimento, accompagnato da francesi (…) in cerca di prove che lo intercettassero”.

Questi “francesi” sarebbero agenti della Direction Générale de la Sécurité Extérieure (DGSE) e avrebbero preso parte – in maniera più o meno diretta – alla distruzione delle intercettazioni telefoniche nella gendarmeria burkinabé il giorno dopo l’assassinio di Thomas Sankara.

Il presidente francese Emmanuel Macron si era impegnato nel novembre 2017, durante un viaggio in Burkina Faso, a rimuovere il “segreto di difesa” su tutti gli archivi francesi riguardanti l’assassinio di Thomas Sankara.

Da allora, tre lotti di documenti declassificati sono stati consegnati a Ouagadougou (a novembre 2018, gennaio 2019 e aprile 2021), ma questi contengono solo documenti secondari, nessuno proveniente degli uffici di François Mitterrand e Jacques Chirac, rispettivamente Presidente della Repubblica e Primo Ministro di Francia all’epoca dei fatti.

Non c’è traccia della presenza francese il 16 ottobre 1987 a Ouagadougou nei documenti forniti finora, anche se questi devono necessariamente esistere. “Emmanuel Macron non ha mantenuto in pieno la sua promessa, ciò mostra chiaramente che c’è un certo imbarazzo” sulla vicenda, afferma la rete internazionale “Justice pour Sankara, justice pour l’Afrique”.

Questa rete denuncia il fatto che “questo processo rischia di essere amputato dalla parte internazionale del caso, poiché solo l’indagine sulla parte nazionale del caso è chiusa”, nonostante i “nuovi elementi dell’inchiesta, in particolare l’arrivo di cittadini francesi il 16 ottobre 1987 per ripulire le intercettazioni telefoniche”.

È fondamentale sapere chi sono queste persone e chi le ha mandate. Per fare questo, rilanciare la commissione rogatoria verso la Francia o lanciarne una nuova potrebbe aiutare a chiarire queste zone grigie. Sembra che queste intercettazioni avrebbero potuto provare la partecipazione di Blaise Compaoré e Jean Pierre Palm al complotto per assassinare Thomas Sankara e i suoi compagni”, scrive in un comunicato pubblicato in occasione dell’apertura del processo.

La “parte internazionale”, che riguarda propriamente il coinvolgimento delle autorità di Stato francesi e statunitensi, non sarà quindi affrontata direttamente, ma costituirà il “convitato di pietra” dell’intero processo.

Tuttavia, sembra che il giudice militare François Yaméogo, nominato a capo dell’inchiesta nel marzo 2015, sia intenzionato ad andare fino in fondo: infatti, già nel 2016 aveva mandato un messaggio forte chiedendo l’apertura degli archivi francesi protetti dal “segreto di difesa” e lanciando una commissione rogatoria affinché le udienze potessero aver luogo in Francia.

Il processo per l’assassinio di Thomas Sankara arriva in un momento “delicato” per il governo francese e il presidente Macron in politica estera, soprattutto nel Sahel, dove dovrà prendere effettivamente il via la smobilitazione dell’operazione militare Barkhane.

Nel frattempo, nuove inchieste evidenziano gli affari e le complicità dell’Agenzia francese di sviluppo con soldati della missione congiunta “G5 Sahel”, accusati di abusi e esecuzioni sommarie, e prosegue il riassetto dei precari equilibri geopolitici con la rinnovata presenza russa e l’intensificarsi dei suoi rapporti bilaterali con diversi attori politici nella regione.

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