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In Occidente si parla di soluzione politica al conflitto, ma Kiev non ci sta

Ora che la controffensiva ucraina attesa per mesi e giunta in ritardo – come persino Repubblica, a modo suo, ha riconosciuto – non raggiungerà gli scopi prefissati, una qualche exit strategy da questa guerra gli occidentali devono pur trovarla. Tanto più se “l’Ucraina ha il governo più corrotto e più stupido del mondo, al di fuori della Nigeria.

Non significa pace, significa che l’Ucraina, usata fino ad oggi come carne da cannone, sarà usata in modo diverso in questa “terza guerra mondiale a pezzi”. L’asse euroatlantico non ha nessuna intenzione di cimentarsi in una guerra simmetrica, anche perché il rischio è la distruzione dell’umanità.

Dunque, a Vilnius la NATO ha rimandato l’adesione di Kiev alla fine delle ostilità, rilanciando su generiche garanzie fino all’ingresso nell’alleanza. E per l’Ucraina si era cominciato a parlare di una «soluzione coreana» già con largo anticipo, ribadita anche nei media statunitensi.

Negli ultimi giorni si sono ripresentate affermazioni del genere, provenienti anche da personaggi inaspettati. Qualche giorno fa, su Usa Today News, è comparso un articolo nel quale si riportavano opinioni fiduciose su Zelensky e sulle operazioni militari, ma anche pareri di un certo peso completamente opposti.

Steven Myers, veterano dell’aeronautica poi in servizio al Dipartimento di Stato, ha dichiarato che “strategicamente, questa guerra è stata persa da entrambe le parti prima che iniziasse. Finirà in una situazione di stallo, che ora penso fosse l’intenzione di Putin fin dall’inizio”.

Myers sostiene che le tattiche russe sono state “completamente incoerenti con la conquista” e l’obiettivo era semplicemente tenere l’Ucraina fuori dalla NATO. Ciò che l’establishment di Mosca esplicita da anni e che, invece, è stato sempre derubricato a scusante per le mire imperiali di Putin.

Anche l’economista Edward Luttwak, consulente di Washington, in un suo recente tweet ha ribadito che l’Ucraina ha vinto la sua libertà. Ma lo ha detto per affermare che è giunto il momento che gli Stati Uniti pensino a un piano di pace, perché con gli attacchi alle infrastrutture (le azioni terroristiche al ponte di Crimea comprese) non si risolve nulla.

Sempre nell’articolo di Usa Today, Sean McFate, professore alla Syracuse University e membro dell’Atlantic Council, non un gruppo filo-putiniano, ha detto che “la NATO sta vivendo la stanchezza dei donatori e la delusione per le spacconate di Zelensky”. Il suo governo “sta perdendo credibilità, la principale risorsa dell’Ucraina”.

Del resto, aspettarsi che l’invio di armi consenta a Kiev di vincere la guerra è “la definizione di follia strategica”, ha aggiunto. Le guerre di oggi non si vincono più sui cambi di battaglia, e la dimostrazione è che “gli Stati Uniti vincono battaglie e perdono guerre da 50 anni”.

Se il conflitto non ha conclusione nella dimensione militare, deve averla per forza in quella politica. Persino Crosetto, il ministro della difesa italiano, ha parlato in questo senso e del fatto che sarebbe pronto a trattare con la Russia e con la Cina per una «pace giusta».

Una definizione che rimane ambigua, perché bisogna capire chi decide cosa sia giusto e cosa no. Ma già questa frase ha spinto Podoljiak, consigliere di Zelensky, a rispondere che i russi vanno sconfitti sul campo di battaglia e che una soluzione politica “comporterà il collasso del sistema di ordine di sicurezza globale”.

Che la guerra si concluda con una disfatta russa non ci crede più nessuno, al di là della retorica della dirigenza ucraina. E quando parla del collasso del sistema di sicurezza globale, intende che quello imperniato sull’arbitrio di Washington e Bruxelles subirà un duro colpo, come era già successo con l’Afghanistan.

Significherà, insomma, l’avanzare di un mondo multipolare, cosa che però ad oggi sembra inevitabile, e per cui gli euroatlantici si devono preparare con una visione strategica di più lungo periodo. Hanno già sacrificato migliaia di ucraini, sono pronti anche a mettere da parte le velleità dei loro corrotti politici.

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