La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, ha pronunciato ieri il suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione (titolo dal sapore assai statunitense). In avvicinamento alla fine del suo mandato, oltre che le ovvie indicazioni sugli ultimi mesi della sua presidenza, un’occasione del genere non poteva non trasformarsi in un bilancio della sua attività.
La presidente ha rivendicato di aver raggiunto quasi tutti gli obiettivi postisi nel 2019, da portare a compimento nei 300 giorni che mancano alle elezioni europee. Tra questi ve ne sono alcuni trattati in maniera strumentale, e altri su cui la politica tedesca è molto più concreta.
Innanzitutto, la von der Leyen ha lanciato un appello contro la violenza sulle donne per sostenere le direttive in merito proposte dalla Commissione. Lo stesso tema con cui aveva principiato il suo discorso di insediamento, quasi a voler chiudere il cerchio nascondendo le mire di potenza dietro questioni di per sé progressive.
Allo stesso modo è tornata sul Green Deal e sulla risposta da dare al collasso climatico che viviamo. Più volte abbiamo scritto come la transizione verde nasconda una strategia per ridare respiro ad attività economiche in crisi, in un settore da sostenere con forti aiuti secondo la logica del «più Stato per il mercato».
È una questione di competitività delle multinazionali su base continentale con altri grandi attori del mondo. Per questo, accanto alla retorica, la von der Leyen ha accennato all’avvio di un’indagine anti-sussidi nel settore elettrico cinese, per tutelare il mercato dei produttori europei senza evocare esplicitamente l’imposizione di dazi alle importazioni. Per ora.
“Continueremo a sostenere l’industria europea durante questa transizione”, ha detto. Nel farlo si presentano oggi tre sfide – lavoro, inflazione e contesto imprenditoriale – verso cui, agli sgoccioli del suo mandato, la Commissione si vuole preparare anche con l’aiuto di Mario Draghi.
“Perché l’Europa farà «whatever it takes» per mantenere il suo vantaggio competitivo”, proprio all’ex presidente BCE e del governo italiano è stato chiesto di preparare un rapporto sul futuro della competitività europea. Su questo lato molto si vuole fare anche per ciò che riguarda la digitalizzazione e la semplificazione burocratica.
Parlando dei flussi migratori, la maschera da baluardo dei diritti umani della UE è caduta definitivamente. Mentre la von der Leyen ha parlato di ‘gestione umana’, ha ricordato l’accordo con la Tunisia – cioè l’esternalizzazione delle frontiere in cambio di soldi e investimenti – da cui trarrà vantaggio l’industria europea più che i popoli nordafricani.
Quel che interessa alla classe dirigente continentale è solo far assurgere la UE al ruolo di attore geostrategico di peso globale, e per farlo deve fare in modo che i propri «campioni europei» abbiano tutto un cortile imperialista di cui approfittare. E proprio su questo nodo la politica tedesca ha nascosto più che mai lo stato delle cose.
L’ex ministra della difesa di Berlino ha parlato della nascita di “un’Unione geopolitica”, ma la realtà delle mire di Bruxelles è molto meno rosea di quel che vuol fare apparire. La fine della Françafrique e l’arretratezza in tanti settori strategici stanno mettendo a dura prova la possibilità di questo salto imperialistico della UE.
Ma soprattutto, a farlo sono stati innanzitutto gli Stati Uniti. “Chiunque voglia indebolire o dividere l’Europa o privarla dei suoi valori troverà in me un fermo avversario”, aveva detto nel suo discorso di insediamento la von der Leyen. Eppure, si è passato sotto silenzio, ad esempio, l’ormai certo beneplacito dei servizi a stelle e strisce nell’atto di sabotaggio del Nord Stream.
Ancora: si continua a sostenere l’Ucraina e l’allargamento della UE a Kiev così come ai Balcani. Ma è chiaro che le economie continentali sono state le prime a rimetterci da questa guerra; e anche la difesa europea avanza a tentoni, nonostante la Bussola Strategica di un anno e mezzo fa.
Mentre dal pantano nell’est Europa gli imperialisti euroatlantici cominciano a cercare una via d’uscita che permetta a tutti di aver ‘vinto’, i dati sulla fine del modello export-oriented centrato sulla Germania si vanno ad aggiungere a un’inflazione che continua a colpire duramente l’industria e i lavoratori.
Il progetto imperialista della UE si sta muovendo con sempre maggiore difficoltà in un contesto di contraddizioni che sono esplose in brevissimo tempo, tra la pandemia e l’intervento militare russo in Ucraina. La classe dirigente mostra di annaspare, sempre alla rincorsa e incassando battute d’arresto una dopo l’altra.
La presidente uscente ha parlato di un’Europa che deve risponde all’appello della Storia. Al di là del fatto che abbiamo qualche dubbio del fatto che qualcuno stia davvero chiedendo all’Europa di tornare al centro della scena globale, dopo secoli di colonialismo e violenze, ad ora la risposta data è stata piuttosto debole. Subordinata, quanto meno, alle imposizioni Usa.
Ad ogni modo, da Bruxelles continueranno a ricercare questo posto nel mondo, e col peggiorare delle condizioni i costi saranno ulteriormente scaricati sulle classi popolari. Bisogna prepararsi a trovare risposte all’altezza della situazione.
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Mauro
Questa ‘signora’ha lo sguardo cattivo…negli anni ’40 avrebbe svolto benissimo il ruolo di kapò in un campo di concentramento nazista…ma non è sotto inchiesta x gli ‘impicci’fatti con i sieri miracolosi della Pfizer?Ancora parla?Chi la protegge?
E Sem
In fondo il suo lavoro lo ha fatto. L’ obbiettivo di consegnare l’ europa al suo peggior nemico sembra brillantemente raggiunto.