Menu

La fantasia di Trump su Gaza è una ricetta per un’altra “guerra infinita”

Il futuro di Gaza e Cisgiordania, nella mente genocida di Trump e Netanyahu, è un incubo distopico stile “Elysium”, su cui – per quanto riguarda gli aspetti morali e culturali, consigliamo la lettura del perfetto “intervento” di Nevio Gambula, ospitato in questa pagina.

Superando però l’orrore e lo schifo, bisogna pure provare a spiegare perché una “soluzione finale” del genere, in cui ricchi e benestanti occidentali gozzovigliano in stile Sodoma e Gomorra sulle tombe di centinaia di migliaia di palestinesi – oltre a quelli già massacrati inevitabilmente ce ne saranno almeno altrettanti, prima la la “Grande Deportazione possa avere luogo – in realtà non può neanche funzionare. Se non allargando così tanto l’area del conflitto da coincidere di fatto con l’intero mondo musulmano (due miliardi di persone), oltre che ovviamente con Paesi e persone che non possono tollerare tutto questo. Antifascisti, insomma.

Seguiamo perciò l’argomentare di quei “liberaldemocratici” che provano ancora – inutilmente, come sempre – a indirizzare altrimenti gli “animal spirits” del capitalismo neoliberista in veste “messianico-godereccia” trionfanti a Tel Aviv e Washington.

Jamie Dettmer è un importante “opinion editor “dell’edizione europea di POLITICO. Niente di sovversivo, insomma, anzi con fin troppa “comprensione” per il genocidio dei gazawi…

Eppure il semplice e cinico “realismo politico” gli fa vedere subito il problema: “Secondo il piano di Trump, i palestinesi verrebbero sfollati, molto probabilmente con la forza, verso i paesi vicini. E il suo ‘affare immobiliare del secolo’, trattando Gaza come se fosse Atlantic City, rischia di trascinare gli Stati Uniti in un’altra guerra senza fine.” Sembra stia parlando una Santanché o un Briatore, ovviamente con ben altri soldi veri in tasca…

Soluzione troppo immaginata “sulla carta”, insomma, un po’ come facevano oltre un secolo fa Sykes e Picot – ministri degli esteri di Francia e Gran Bretagna, ancora in pieno “primo colonialismo” – tracciando i confini del Medio Oriente con la riga e la squadra. Una suprematista indifferenza alle popolazioni che, creando Paesi immaginari, creavano anche i problemi irrisolvibili che l’area da un secolo rinnova.

Questa non sarebbe una guerra scatenata da nobili ambizioni di portare la democrazia in Medio Oriente” – un’altra narrazione retorica che copriva l’obiettivo di far fuori i governi arabi anche solo leggermente “autonomi” rispetto all’asse Usa-Israele (Libia, Siria, Tunisia, in parte persino l’Egitto di Mubarak, ecc) senza ripetere l’impegno insostenibile di una guerra come in Iraq o Afghanistan.

Sarebbe invece “un conflitto alimentato dalle fantasie di un magnate immobiliare. Renderebbe gli Stati Uniti un bersaglio ancora più grande per qualsiasi gruppo jihadista emergente e getterebbe l’intera regione in una maggiore instabilità, destabilizzando alleati come l’Egitto e l’Arabia Saudita”.

L’analisi è insufficiente, certo. Noterete che non nomina neanche Israele – che pure è il problema dei problemi – né fa almeno finta di ricordare che il “jihadismo” terroristico è nato grazie agli stessi Stati Uniti, quando avevano bisogno di proxy per combattere l’Unione Sovietica. Ma è certamente giusta la previsione per cui l’invasione di gaudenti riccastri occidentali in vacanza a Gaza (e in Cisgiordania) fornirebbe oceani di benzina per accendere qualsiasi rogo.

Anche l’ex qaedista Al Jolani, insomma, appena installato a Damasco, sarebbe costretto a fare il continuatore riluttante delle politiche di Assad. Un po’ come quell’Osama Bin Laden passato – anche lui – dall’essere rambizzato da Hollywood come “freedom fighter” all’essere target fino alla morte.

Ma il punto centrale non riguarda neanche le possibili reazioni estreme di gruppi armati per ora facilmente controllati dall’Occidente. Una “soluzione finale” stile Mar-a-Lago non è sopportabile neanche dai più disponibili dei regimi monarchici (a proposito dell’esportazione della democrazia…), che fin qui hanno mantenuto un atteggiamento più che complice con Usa e Israele: Arabia Saudita, Giordania, Emirati, Qatar, lo stesso Egitto di Al Sisi. E non perché abbiano qualche limite di fronte all’orrore…

Le premesse sono già state poste: “In una dichiarazione rilasciata durante la notte, l’Arabia Saudita ha respinto categoricamente ogni tentativo di dislocare i palestinesi dalle loro terre ancestrali e ha avvertito che non normalizzerà le relazioni con Israele senza l’istituzione di uno Stato palestinese. Una mossa che farebbe saltare gli Accordi di Abramo, il processo di normalizzazione arabo-israeliano che Trump aveva avviato nel suo primo mandato e che è andato avanti dal 2020.

Il diritto internazionale è stato seppellito, l’autodeterminazione dei popoli anche, ma è difficile far ingurgitare a dei regimi monarchici il rischio concreto di vedersi rivoltare contro i propri “sudditi” e l’intero mondo musulmano, che va ben al di là del Medio Oriente.

Non è che l’America trumpiana non lo sappia, ma è convinta di poter costringere i satelliti arabi più dipendenti – Egitto e Giordania – a realizzare la parte di piano che Trump immaginerà per loro. La minaccia è quella solita: “tagliare gli aiuti statunitensi, da cui entrambi i paesi dipendono fortemente. Senza quegli aiuti, sarebbero costretti a introdurre misure di austerità, con il rischio di gravi crisi politiche ed economiche. La scorsa settimana, Trump ha fatto intendere il potere di pressione che crede di avere: ‘Lo faranno. Lo faranno… Facciamo molto per loro, e lo faranno.’”

Nella Storia, però, non conta sempre o soltanto quello che i capi di Stato “vogliono” fare, ma quello che più spesso “sono costretti” a fare. Al di là delle spaventate dichiarazioni immediate, insomma, Al Sisi o Abdallah – quelli realmente dipendenti dai soldi Usa – “sono in una posizione difficile”. Ma “il taglio degli aiuti americani sarebbe un problema politico per loro, il rischio di accogliere 1,8 milioni di palestinesi arrabbiati – insieme a Hamas – potrebbe essere ancora più pericoloso per la stabilità dei loro regimi”.

Ecco dunque  gli esseri umani in carne e ossa riapparire da un genocidio immobiliarista che vuole solo spianarli con le ruspe per tirar su dei resort di lusso. Persone incazzate come mai prima d’ora nella Storia, ormai abituate a sopravvivere e morire combattendo sotto le bombe e dentro i tunnel, contro regimi aristocratici certo violenti e pronti a tutto, ma a corto proprio di uomini da mandare in guerra. Ricordiamo che la “potente Arabia Saudita”, ricca e armata con modernissimi aerei Usa, ha preso scoppole memorabili dagli Houthi yemeniti, fino a firmare un accordo in perdita…

Il più cinico dei realismi, insomma, porta a conclusioni quasi geometriche: “sperare che Trump e Netanyahu si tirino indietro potrebbe essere un’illusione. Il loro piano non è stato un’improvvisazione, e stanno contando sul fatto che gli Stati arabi, alla fine, cederanno. Ma il Medio Oriente ha spesso dimostrato di far saltare anche i piani meglio congegnati. E questo non è affatto uno di quei piani.”

Da materialisti sappiamo bene che il “realismo politico” è una bestia non troppo migliore dell’avventurismo messianico (“dio è con noi!”), ma almeno fonda i suoi argomenti su una base razionale. Non soltanto sul “noi vorremmo dominare il mondo”.

Trump e Netayahu perderanno, questo è sicuro. Ma scorrerà molto sangue, a meno che l’economia mondiale non consigli velocemente altro…

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

1 Commento


  • antonio D.

    Fare molta attenzione alla “natura mistica e messianica “ della.storia biblica (almeno per come ci viene narrata) nella quale Sansone (noto ebreo ismaelita) che per battere i filistei (antichi palestinesi) disse la “la fatidica.frase”: …muoia Sansone con tutti i filistei! …capite ora inquali “mani”siamo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *