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Accordo USA-Giappone su investimenti e terre rare, in pressing su Pechino

Il 28 ottobre il presidente statunitense Donald Trump ha fatto tappa a Tokyo. Era uno dei momenti più attesi dei suoi cinque giorni di viaggio in Asia, anche per l’incontro con Sanae Takaichi, primo capo di governo nipponico donna… ultraconservatrice, ammiratrice di Margaret Thatcher e promotrice del rilancio militare del Giappone.

Ma al di là dell’apparentamento ideologico tra i due leader, rimaneva il nodo di cosa Tokyo può fare per Washington. La seconda amministrazione Trump, prima ancora che i suoi nemici strategici, sta facendo pagare lo scotto della sua egemonia in crisi innanzitutto ai suoi ‘alleati’, a cui viene chiesto di ripagare decenni di protezione.

La prima prova di Takaichi di fronte al padrone oltreoceano è andata bene, perché la prima ministra giapponese aveva tre carte da mettere sul tavolo: la conferma degli investimenti promessi negli Stati Uniti, l’aumento delle spese militari, un accordo sulle terre rare. Quest’ultimo tema è uno strumento dirimente nel braccio di ferro con la Cina.

Domani Trump dovrebbe vedere Xi Jinping a Seoul. Sul terreno delle terre rare si è consumato lo scontro commerciale delle ultime settimane, e il tycoon sta mettendo in campo una serie di intese per garantirsi una maggiore indipendenza dalle filiere cinesi. I piani concordati recentemente con l’Australia vanno in questa direzione.

Il “Quadro di Tokyo” appena stipulato prevede nuovi investimenti pubblici e privati per “rafforzare la sicurezza e la resilienza delle catene di approvvigionamento di minerali critici e terre rare“, oltre alla creazione di un Gruppo di Risposta Rapida USA–Giappone per gestire eventuali situazioni emergenziali.

Questo “Quadro” assume particolare importanza in vista dello sfruttamento dell’enorme giacimento di terre rare scoperte al largo di Minamitorishimo, per il quale gli Stati Uniti contribuiranno, finanziariamente e con le proprie tecnologie, alle operazioni di estrazione che dovrebbero partire il prossimo anno.

Accanto a questo dossier, c’era quello degli investimenti giapponesi negli States, per finanziarne la reindustrializzazione. Il Segretario al Commercio USA Howard Lutnick ha confermato un pacchetto di 550 miliardi di investimenti giapponesi su vari settori. Significativo è il fatto che la casa automobilistica Toyota dovrebbe spendere fino a 10 miliardi di dollari per aprire nuovi stabilimenti negli Stati Uniti.

Di grande valore è anche l’investimento nippinico per la cooperazione nello sfruttamento dei giacimenti di gas naturale dell’Alaska, per la produzione di GNL. Tutto questo per il mantenimento dei dazi al 15%. L’intesa tra Tokyo e Washington, però, prevede anche che la prima smetta di acquistare GNL da Mosca: le pressioni statunitense non hanno solo risvolti economici, ma anche geopolitici e strategici.

Non a caso, dopo l’incontro al Palazzo di Akasaka, Trump ha deciso di incontrare le famiglie dei cittadini giapponesi rapiti decenni fa: un messaggio per Pyongyang. I due capi di governo si sono poi diretti verso la base navale di Yokosuka, dove Takaichi ha ribadito l’impegno a difendere “un Indo-Pacifico libero e aperto“.

Ancora una volta, il riferimento che rimane sullo sfondo è al ruolo della Cina. La prima ministra nipponica ha confermato che il Giappone aumenterà le spese militari al 2% del PIL. Trump, da parte sua, ha annunciato il via libera alla fornitura di missili per gli F-35 giapponesi, altro equipaggiamento militare che andrà a ingrassare il complesso militare-industriale stelle-e-strisce.

I punti su cui USA e Giappone si sono accordati confermano l’atteggiamento di Washington, e stabilizzano – almeno per il momento – il quadro dei dazi e degli investimenti richiesti a Tokyo, mentre rafforzano la tendenza alla guerra generale. L’attenzione alle terre rare va ad aggiungere un ulteriore tassello alla cornice di pressione che gli Stati Uniti stanno costruendo intorno alla Cina, attendendo di vedere su quali base domani si muoverà la ricomposizione (solo momentanea, è evidente) degli interessi divergenti delle due superpotenze.

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