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Cronache sociali dal terremoto

Stanco morto, il giovane ragazzo di Livorno che è venuto con le Brigate della solidarietà a dare una mano al campo, si addormenta con il finestrino aperto, mentre Francesca la leader Fiom che collabora alla gestione dello spaccio di Cavezzo, mi racconta che è incazzata per l’art.18 che ci tolgono, che è preoccupata per la crisi, per il lavoro e per i ricatti che quotidianamente i lavoratori devono subire. A lei il modello aquilano non è piaciuto, ne vorrebbe uno “emiliano”, democratico ed assembleare, sia per quanto riguarda la gestione dell’emergenza nei campi, sia per la ricostruzione. 
Con lei vado a Fossoli dopo aver smaltito tutti i pacchi che ci sono piovuti addosso da mezza Italia. Come al solito arriva di tutto: una colonna di tassisti da Milano, furgoni dallo Zam, dai circoli di Rifondazione, macchine piene da privati cittadini che hanno voglia di esprimere solidarietà. Poche ore prima con Francesca cerchiamo di rassicurare una bracciante ucraina in lacrime, è stata licenziata! La donna mi dice che ha il mutuo, suo genero in cassa-integrazione e che la sua tv, finita di pagare la settimana prima del sisma, si è rotta cadendo a causa delle scosse. Non è l’unica storia di questo tipo che sentiamo qui al campo, i padroni in Emilia ricattano, delocalizzano, e fanno firmare liberatorie per far lavorare mentre la terra trema.
Evidentemente la quindicina di operai morti non ha scalfito le coscienze di chi mette davanti a tutto il profitto. Quanto tempo resteremo qui? E’ la domanda più ricorrente, alla quale è impossibile dare risposta oggi. Qui, lungo queste strade, dove incontri cippi di partigiani uccisi, l’intreccio tra terremoto della crisi e crisi del terremoto è evidente,lo si vede dai capannoni distrutti e dai cartelli vendesi affissi ancor prima delle scosse. Quando mi chiama una giornalista per domandarmi che cosa affligge la popolazione, io gli dico chiaro e tondo che qui il problema è la casa che non c’è più ed il lavoro che scappa via. Poi viene tutto il resto. A L’Aquila,  già da subito si capiva che sarebbe durata a lungo, ma qui non si ha ancora idea di cosa riserverà il futuro, c’è preoccupazione e ansia. 
C’è pero voglia di ripartire, di andare avanti nonostante tutto. Ci si aiuta l’un con l’altro, ma non nascondo che la guerra tra poveri è sempre dietro l’angolo. Haisha vuole diventare volontaria e in mezza giornata si prende in mano lo spaccio per i vestiti che abbiamo costruito a Cavezzo. Suo marito si rende disponibile per fare da mediatore per le volanti rosse ( le chiamiamo così le macchine che fanno il carico dai nostri spacci e raggiungono i più piccoli presidi di tende rifornendoli di quello che serve). Un fornaio, insieme ad altri cittadini, ci fa da guida perchè conosce bene il territorio,così quando finisce di fare il pane viene da noi. Noi lavoriamo così, in presa diretta senza la burocrazia che schiaccia la partecipazione.  Diamo al popolo la possibilità di darsi una mano da pari a pari, senza delega. La chiamiamo scherzando tra noi la protezione civile popolare.
Bel popolo quello emiliano, capita che mentre sei a discutere di dove posizionare il prossimo spaccio ti arrivi davanti in canottiera
Adelmo Cervi, figlio di uno dei sette fratelli Cervi, che ti racconta che suo padre ed i suoi zii, oltre a sostenere i partigiani, facevano il soccorso rosso. 
Qui dove vai incontri storie antiche che la terra che trema sembra far rivivere con tutta la loro forza.  Una donna al campo m dice che quelli del PD sono incazzati con noi, immagino perché in “casa loro” stiamo facendo in basso a sinistra quello che loro hanno smesso di fare andando in alto a destra. Altri invece ci accusano, ci dicono che noi vogliamo mettere la stella rossa sopra le disgrazie, io gli rispondo semplicemente che se invece di fare a gara per chi è più servo delle banche, gli altri partiti facessero a gara per chi fa il campo migliore per i terremotati, forse sarebbe meglio per tutti. Evitiamo di ostentare i nostri simboli comunque, per rispetto, e perchè è giusto in momenti come questi lasciare a casa la propaganda. Conta quello che fai, e questi giorni sono un “campo” di verifica per noi che vogliamo socializzare il partito rendendolo uno strumento utile per il popolo. Andrea (partito in “missione” con la volante rossa insieme ai toscani), organizza un campo in meno di mezza giornata, e quando la mattina gli portiamo una lavatrice, montata da un idraulico contento di collaborare alla macchina della solidarietà, mi dice che ha parlato con il sindaco di Carpi ed è riuscito a fare un’assemblea con i cittadini, così da oggi distribuiamo anche i pasti. Federica intanto mi chiama al telefono e mi dice che a Cavezzo ci sono i preti che stanno cantando inni alla Madonna e che quelli della protezione civile stanno montando le reti per recintare l’ultimo campo “libero” dell’Emilia. Intanto arriva altro materiale dal Pacì di Bergamo. La cassa di resistenza che abbiamo lanciato come Prc, per dare una mano alle famiglie degli operai morti, ha superato i 5 mila euro, i GAP si organizzano per vendere in tutta Italia le forme di parmigiano caduto nei caseifici emiliani e la lista dei volontari cresce. Oramai sembra consolidarsi, un meccanismo orizzontale che favorisce l’auto-organizzazione popolare e sviluppa pratiche tra soggetti plurali e diversi. Saranno settimane e mesi difficili per tutti, non lasciamo solo il popolo emiliano, è stato e  rimane un motore di solidarietà impressionante per tutto il paese.

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