cercando di restituire tutta l’importanza delle motivazioni usate dai magistrati per sanzionare la Fiat e “ordinarle” la riassunzione praticamente immediata; senza aspettare i tempi di un ricorso in Cassazione (peraltro limitato per procedura ai soli casi di legittimità, non al merito).
Ieri Antonio compiva gli anni, voleva festeggiare ma non ci riusciva perché «ho un magone», diceva agli amici che lo chiamavano per fargli gli auguri. Quel magone aveva un nome, era l’attesa trepidante di una sentenza. Antonio è un operaio giovane e ottimista, sennò non avrebbe tre figli ai quali, da quando è in cassa integrazione perché è marchiato a sangue con la sua tessera Fiom in tasca, fatica a garantire il pranzo e la cena. A metà mattinata ad Antonio sono arrivati gli auguri più attesi: la magistratura ha detto la sua e anche in appello ha confermato che la Fiat ha discriminato gli operai di Pomigliano iscritti alla Fiom, al punto che nessuno dei 2.150 assunti – dei cinquemila che avrebbero dovuto essere – ha quel marchio incompatibile con l’idea d’impresa e di democrazia che ha Sergio Marchionne. Che ora dovrà assumerne 145, tutti iscritti alla Fiom, è costretto ad aprire i cancelli della fabbrica al demonio, un demonio assetato di giustizia.
Ma la giustizia è compatibile con i progetti di Marchionne? La giustizia è compatibile con le ricette della coppia Monti-Fornero, ai quali va stretta persino la pratica novecentesca di rappresentanza e democrazia sindacale? Marchionne, Monti e Fornero pensano che i diritti acquisiti – a un lavoro dignitoso e non costretto da ricatti, a una vita non precaria, a una liquidazione e a una pensione certe e non da fame – siano un lusso che non possiamo più permetterci. Perciò hanno usato Marchionne come grimaldello per riportare i rapporti di forza e le relazioni sociali a prima dell’autunno caldo del ’69, cancellando leggi giuste e promulgandone di odiose.
Antonio non è un lupo solitario, è un animale metropolitano, come lui a Pomigliano ce ne sono tanti che ieri hanno pianto di gioia dopo aver troppo a lungo pianto di rabbia, espulsi dalla loro fabbrica, umiliati, evitati dai compagni che hanno scambiato la dignità con una promessa, che sempre più appare falsa, di lavoro e di futuro. In tanti ieri hanno festeggiato con Antonio e come Antonio: secondo la giustizia non è lecito discriminare gli operai sulla base del colore della tessera che hanno in tasca, e per il rifiuto a sottostare al diktat di Marchionne: ti farò lavorare solo se ti presenterai nudo davanti ai cancelli, spogliandoti di ogni diritto e dignità. Loro, Antonio e tante sue compagnie e compagni hanno detto no, facendo storcere il naso a politici, sindaci e sindacalisti perbene e premale, imprenditori democratici in giacca, cravatta e scarpe autofirmate e non in pullover, quelli che avevano ordinato, da molti inascoltati, di dire sì al ricatto padronale e dopo il vulnus alla democrazia di Marchionne li avevano ancora insultati: se siete fuori dal lavoro, industriale e sindacale, è colpa vostra, colpa della vostra dissennata presunzione.
La sentenza di ieri che respinge il ricorso della Fiat parla a tutti, persone perbene e permale. Parla agli operai che non avevano ceduto e a quelli che invece avevano sperato di cavarsela con il cappello in mano, quelli che cominciano a capire che in una fabbrica senza diritti, e senza Fiom, non si campa. La sentenza parla alla politica, alla sinistra in primo luogo, sia quella che ha votato la cancellazione dell’art.18 voluta dal governo Monti-Fornero sia a quella che raccoglie le firme per un referendum che ripristini una giustizia non dettata dal capitale. Se il lavoro non rientra nell’agenda politica, se non torna a prenderne la testa di lista, la testimonianza straordinaria degli operai di Pomigliano e persino il sussulto di dignità della magistratura resteranno soltanto resistenze di una cultura democratica in via di rottamazione.
La sentenza parla anche alla Cgil che oggi chiama in piazza i lavoratori delle fabbriche in crisi per rivendicare una risposta alla crisi di natura opposta a quella dominante in Italia e in Europa. La forza del sindacato guidato da Susanna Camusso sta in tutti gli Antonio di Pomigliano che non si sono spogliati davanti al padrone. Prima ancora che la Fiom sono questi operai ad aver vinto la partita davanti al giudice e al paese. È ora che la Cgil ne prenda atto, accettando finalmente l’idea che la Fiom è una risorsa, non un problema. I problemi stanno altrove, e siedono al tavolo di una trattativa impossibile con il governo e la Confindustria che usano la crisi del paese allo stesso modo in cui Marchionne usa la crisi dell’auto e della Fiat.
Diciamolo con chiarezza, almeno noi: siamo tutti Antonio, siamo tutti operai di Pomigliano.
«Queste motivazioni valgono per tutti i lavoratori; sanciscono che ognuno è libero di scegliersi il sindacato che vuole e non va penalizzato»
Francesco Piccioni
La Corte d’appello aggrava la sentenza di primo grado. La Fiat, a Pomigliano, ha solo 40 giorni per far rientrare 19 metalmeccanici della Cgil. Altri 126 nei prossimi sei mesi. Riconosciuta la discriminazione sia collettiva che individuale
La legge è uguale per tutti. E soprattutto, di questi tempi, serve a tutelare i più deboli. Specie se la controparte si chiama «Fiat modello Marchionne».
I metalmeccanici della Fiom hanno accolto con compostezza la pubblicazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma che ribadisce un concetto semplice, già espresso in primo grado dal giudice del lavoro: nelle assunzioni della newco Fip (Fabbrica Italia Pomigliano) c’è stata «discriminazione collettiva» perché nessun iscritto alla Fiom è stato fatto rientrare tra i 2.000 «neo-assunti». Siccome la Fiat sembra dura d’orezzhio e non intende la necessità di rispettare, se non le leggi, almeno le sentenze dei tribunali, la stessa Corte dà 40 giorni di tempo al Lingotto per riassumere – intanto – i 19 lavoratori che hanno fatto ricorso individualmente, con nome e cognome, insieme alla Fiom. Nel loro caso, infatti, è stata riconosciuta anche una «discriminazione individuale».
Per altri 126 – fino a raggiungere il totale di 145 persone, l’8,75% dei dipendenti attuali, che è esattamente la percentuale deglii ex di Pomigliano iscritti alla Fiom – ci saranno invece sei mesi di tempo. L’elenco dei candidati alla riassunzione dovrà, specifica la sentenza, esser fornito dalla stessa Fiom e dovrà rispettare le tessere realmente attive al momento dell’avvio della causa.
È una svolta secca, bisogna ammettere. Come ha immediatamente sottolineato il segretario generale dell Fiom, Maurizio Landini, «è una sentenza che ha valore generale, non a favore della sola Fiom; sancisce la libertà del singolo lavoratore di scegliersi il sindacato che vuole e il suo diritto a non essere discriminato per questo». Qualsiasi sindacato, anche quelli che non hanno firmato contratti nazionali o aziendali, ma che possono certificare un consenso in termini di iscritti. È insomma una libertà della persona, non del sindacato.
Ma anche l’espetto «esecutivo» ha una notevole importanza. Il Lingotto, anche prima dell’ascensione di Marchionne, coltiva da sempre l’antipatica abitudine di attendere con (proprio) comodo il momento in cui rispettare una sentenza avversa. Un modo per ribadire, a dispetto di tutto, «chi comanda qui». Ora deve invece sbrigarsi ad avviare le pratiche di assunzione.
Sia Landini che i quattro delegati arrivati di corsa da Pomigliano restano cauti. «È l’ennesima ordinanza di un tribunale italiano che, per comportamento antisindacale o discriminazione, condanna la Fiat a rispettare le leggi e la Costituzione. Ci sembra ora che anche le forze politiche, il governo, le istituzioni, rivendichino il rispetto dovuto alle norme di questo Paese». Un invito a esprimersi rivolto soprattutto «quelle forze politiche che si candidano a costituire un governo» diverso dall’attuale dopo le prossime elezioni d’aprile.
In qualche modo, c’è persino l’invito rivolto a Marchione: «se è mal consigliato, cambi i suoi consiglieri; fin qui non gli hanno portato grandi risultati, riguardo all’Italia». Perché «il nostro è un ragionamento strettamente sindacale: se uno si abitua a trattare soltanto con le organizzazioni che dicono sempre ‘sì’ ed escono dagli incontri dicendo che tutto va bene, poi non riesce a risolvere i problemi». Un esempio? La Fiom sostiene che la riassunzione, come scritto negli stessi accordi imposti da Fiat con un ricatto, deve riguardare «tutti gli oltre 4.300 ex dipendenti». Davanti alle facce stupite dei cronisti, Landini conferma: «sappiamo bene che c’è un momento difficile per l’auto, e per Fiat è più difficile che per altri marchi. Ma Volkswagen ha affrontato momenti altrettanto difficili senza licenziare nessuno. Con i contratti di solidarietà, a orario ridotto e con l’integrazione di cig, ha mantenuto tutte le competenze attive e poi è stata in grado di ripartire». E anche icontratti di solidarietà non sono una novità per Fiat: «all’Iveco funzioano ancora, e li avevamo contrattati noi».
Certo, ci vorrebbe un governo che – al contrario dell’attuale – non cercasse soltanto di eliminare il contratto nazionale a favore di quello aziendale, allungare l’orario di lavoro, ecc. Ma «se la Fiat crede davvero nei suoi progetti dichiarati e vuole davvero restare in Italia, gli strumenti per gestire una fase difficile si possono discutere». Un sindacato libero, che sa ragionare con la propria testa e sa dire anche dei «no» quando è necessario, diventa un pungolo per la «creatività» dell’impresa. Cosa che non avviene se «dei sindacati di minoranza, che hanno insieme meno iscritti di quanti non ne abbia la Fiom da sola, possono firmare accordi poi validi per tutti».
Su tutta la vicenda, e sulla piazza di oggi, pende la spada di Damocle della trattativa sulla «produttività». Con il governo che preme per eliminare il «punto Ipca» (un pallido surrogato del punto di contingenza, depurato della «componente energetica importata» e altre voci) e non modificare lo schema autobloccante della rappresentanza aziendale (la «riserva di un terzo» nelle Rsu a favore di Cgil, Cisl e Uil). La chiusura del ragionamento – ancora una volta indirizzato alla «politica» perché dica qualcosa nel merito – verte dunque sulla «conferma del ruolo centrale del contratto nazionale» e «l’applicazione dell’accordo del 28 giugno» per quanto riguarda una «seria misurazione della rappresentanza sindacale».
C’è infatti «un attacco alla democrazia e al lavoro in fabbrica che coincide con l’attacco ai diritti di tutti». Anche per questo, nella sala di fianco, si andavano raccogliendo le firme per i referendum sull’art. 18 e contro l’art. 8 della «manovra d’agosto» dettata dalla troika Bce-Ue-Fmi. Perché ci sia ancora una legge in grado di tutelare il più debole: chi lavora,
Il Corriere della sera ne parla a pagina 48. Forse ha una qualche influenza il fatto che la Fiat ha un posto di rielievo nel cda di via Solferino?
Titolo british: “Fiat, ricorso respinto . Rientro a Pomigliano per 145 tute blu Fiom ”
Catenaccio intimidatorio: “L’azienda: andremo avanti. Il 30 incontro con Cisl e Uil ”, con fine allusione a un ennesimo accordo separato con i due storici “complici” del Lingotto.
Il Sole 24 Ore, quotidiano di Confindustria, dà invece in prima pagina uno striminziato richiamo (“Da riassumre i lavoratori Fiom di Pomigliano”) e poi l’articolo a pagina 19. Accompagnato da un’analisi di Michele Tiraboschi (professore di diritto del lavoro all’Università di Modena e consigliere del ministro del Lavoro Sacconi, non propriamente un “osservatore imparziale”) titolata “Una sconfitta per tutti, compresa la Fiom”. Giudizio sorprendente e profesionalità del professore quantomeno dubbia: in apertura premette di non conoscere le motivazioni della sentenza (che invece sono pubblicate fin da ieri pomeriggio anche sul nostro sito). Si tratta quindi di un giudizio dichiaratamente ideologico, per mascherare che si tratta intanto di una sconfitta secca della Fiat e di tutto lo smantellamento della legislazione del lavoro che ha avuto come protagonista lo stesso Tiraboschi al fianco di Sacconi.
La Stampa di Torino, organo ufficiale di casa Fiat, nasconde ovviamente la brutta notizia a pagina 23, tra quelle di “poura economia”, dopo persino i consigli di cucina. Un banale “pastone” di lanci d’agenzia, senza la minima “compartecipazione”. Leggere per credere.
Fiat, la Fiom vince in appello a Roma “Assunzione per 145 a Pomigliano”
La Corte d’appello di Roma ha dato ragione alla Fiom sulla assunzione di 145 lavoratori iscritti al sindacato dei metalmeccanici Cgil nello stabilimento della Fiat di Pomigliano D’Arco. Per il giudice, l’azienda dovrà quindi reintegrare i 145 operai della Fiom. Secondo quanto spiega l’avvocato della Fiom Franco Focareta «la Corte d’Appello con la sua decisione ha rafforzato l’ordinanza del giudice di primo grado, accogliendo il ricorso della Fiom e dando anche un ordine specifico di riammissione dei 19 lavoratori che hanno fatto ricorso in primo grado assieme al sindacato». Inoltre, ha precisato il legale, «la Corte dà ordini dettagliati» alla Fiat per il piano di reintegro che è «immediatamente esecutivo».
«Una buona notizia», commenta la leader della Cgil, Susanna Camusso . E il segretario nazionale della Fiom, Giorgio Airaudo :«Si tratta di sanare una discriminazione e un’ingiustizia».«Già da mesi quella sentenza è esecutiva e ora la Corte d’appello la conferma», aggiunge Airaudo rilevando che «l’iscrizione al sindacato non può essere intesa come elemento di selezione e discriminazione nelle assunzioni. Tutti i lavoratori rimasti fuori devono rientrare, compresi quelli iscritti alla Cgil, anche perché la cig scade il prossimo luglio».
Di avviso opposto Fiat., che ha diffuso una nota in cui «prende atto del dispositivo della sentenza della Corte d’Appello di Roma con cui respinge il suo ricorso avverso alla sentenza del Tribunale di Roma del 21 giugno scorso. FIP di Pomigliano d’Arco in ordine alle potenziali conseguenze di tale provvedimento non può che richiamarsi a quanto dichiarato il 30 giugno scorso a commento della sentenza di primo grado. Le considerazioni di allora risultano ancor più valide oggi, alla luce del fatto che l’azienda è già stata costretta a far ricorso negli ultimi mesi alla cassa integrazione per un totale di 20 giorni lavorativi, a causa della situazione del mercato automobilistico europeo». In conclusione, «L’azienda ha avviato un accurato esame delle motivazioni della sentenza e si riserva ogni tipo di iniziativa legale di opposizione, incluso il ricorso alla Corte di Cassazione».
Lo scorso 21 giugno il Tribunale di Roma aveva condannato la Fiat per discriminazioni contro la Fiom a Pomigliano disponendo che 145 lavoratori con la tessera del sindacato di Maurizio Landini venissero assunti nella fabbrica. Alla data della costituzione in giudizio alla fine di maggio su 2.093 assunti da Fabbrica Italia Pomigliano nessuno risultava iscritto alla Fiom. Ad agosto la Corte d’appello aveva giudicato «inammissibile» la richiesta della Fiat di sospendere l’ordinanza di assunzione per i 145 iscritti alla Fiom riconoscendo una discriminazione ai danni del sindacato nelle riassunzioni dei dipendenti dello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco.
È la stampa, bellezza!
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