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“Guerra di classe” in Italia

Il rapporto sulla coesione sociale elaborato da Istat, Inps e Ministero del Lavoro segnala che la l’aumemto di 3,3 punti percentuali dell’indicatore sulla povertà in Italia è la più elevata registrata nei Paesi Ue. Quasi 7,9 milioni di pensionati in Italia hanno un reddito da pensione inferiore a 1.000 euro al mese. Si tratta del 47,5% dei pensionati (16,69 milioni a fine 2011) mentre il 37,7% dei pensionati percepisce un reddito fra mille e duemila euro, infine solo il 14,5% dei pensionati ha un reddito superiore a duemila euro. Dal 2009 al 2011, grazie alle controriforme adottate dai vari governi (Prodi e Berlusconi), il numero dei pensionati è diminuito mediamente dello 0,4%.

Ma il problema povertà non riguarda solo i pensionati e i disoccupati. Anche tra chi lavora si configura ormai il fenomeno – fino a ieri tutto anglosassone – dei working poors cioè coloro che lavorano ma guadagnano troppo poco. Nei primi sei mesi del 2012 infatti sono stati attivati oltre cinque milioni di rapporti di lavoro ma solo meno di uno su cinque è a tempo indeterminato. Il 68% delle nuove assunzioni è a termine. Il 19% dei nuovi rapporti di lavoro è stato formalizzato con contratti a tempo indeterminato (1.031.949) mentre l’8,5% (461.086) sono state le collaborazioni. I rapporti di apprendistato hanno rappresentato poco meno del 3% del totale avviamenti pari a 156.135 nuovi contratti. Nel corso del primo semestre del 2012, i nuovi avviamenti sono stati 5.421.084, circa 3.925.328 hanno riguardato il settore dei servizi, 788.113 l’industria (di cui 350.443 il comparto delle Costruzioni) e 707.643 l’agricoltura. Le “cessazioni” di rapporti di lavoro sono state 4,49 milioni.

L’Italia è ormai un paese in aperta fase di regressione sociale e diminuzione delle aspettative generali. Infatti è scarsa anche la mobilità sociale, un processo che consente agli individui di muoversi tra posizioni sociali diverse, e si riferisce all’insieme dei cambiamenti di classe sociale dei figli rispetto ai genitori, nel passaggio da una generazione all’altra, oppure ai cambiamenti che avvengono nel corso della vita di un individuo. Nel 2009 (ultima indagine Istat) il 62,6% degli occupati si trova in una classe sociale diversa da quella dei padri, un valore non diverso da quello del 1998. I tassi di mobilità assoluta (rapporto tra gli individui che raggiungono posizioni diverse da quelle di origine e la popolazione totale) più alti sono quelli delle donne (65,9% contro 60,6% degli uomini). L’origine sociale, nonostante i segnali positivi di allentamento, continua a pesare moltissimo sul futuro delle nuove generazioni. Questo è evidente se si prende in considerazione la mobilità intergenerazionale, ossia il confronto della classe sociale dei figli con quella dei padri, che mostra dinamiche preoccupanti: le posizioni rivestite dai figli al momento dell’ingresso nel mercato del lavoro sono più spesso simili a quelle dei loro padri. L’unico vero anticorpo a questo blocco sociale è il titolo di studio, che, pur non eliminando il familismo, aiuta a salire i gradini della piramide sociale. L’istruzione è da sempre considerata un “ascensore sociale”. Nel nostro Paese l’accesso ai livelli più alti di questa ultima appare più semplice per chi cresce in famiglie agiate e istruite. Infatti, i dati Ocse del 2010 confermano che in Italia la probabilità di laurearsi, per una persona il cui padre non abbia completato gli studi superiori, è tra le più basse d’Europa: circa il 10%, rispetto al 40% per l’Inghilterra e al 35% per la Francia. Infine è diminuito anche il livello di scolarizzazione e sono tanti i ripetenti alle scuole superiori: non è confortante il quadro della partecipazione scolastica in Italia che emerge dal Rapporto sulla coesione sociale. E per una volta é il Nord la “pecora nera”. Nell’anno scolastico 2010-2011, la quota di giovani tra i 14 ed i 18 iscritti al ciclo secondario di secondo grado è pari al 96,2%, ma la percentuale di diplomati sul totale dei 19enni scende al 78%. Il completamento del corso di studi è maggiore nel Mezzogiorno (86%) e nettamente inferiore nel Nord Italia (68%). Rispetto all’anno scolastico 2004-2005 il livello di scolarizzazione scende significativamente in tutta Italia, con maggiore concentrazione però nelle regioni del Nord, dove la quota di giovani diplomati sui 19enni si riduce in cinque anni di quasi 4 punti percentuali.

Leggendo e rielaborando questi dati, emerge con tutta evidenza come le èlite dominanti stiano operando attivamente – anche attraverso i diktat dell’Unione Europea e i governi a questa subalterni nel nostro paese – per aumentare le disuguaglianze sociali, ridurre le aspettative generali della società (inclusa e non esclusa quelle sulla lunghezza della vita) ed accentuare la subordinazione complessiva delle classi sociali subalterne riducendo anche le possibilità di accesso all’istruzione. Viene alla mente una efficace sintesi fatta dal miliardario statunitense Warren Baffet quando afferma “Non se esiste la lotta di classe ma se c’è l’abbiamo vinta noi”. Smentirlo diventa un punto di onore e di riaffermazione dei diritti dell’umanità.


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