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Un arcobaleno per diecimila Educatori Professionali

Un arcobaleno. Ecco cosa siamo stati. Ed ecco cosa siamo.

Colori che si sono trovati e si sono mischiati, inventando sfumature e tonalità prima sconosciute.

Colori che hanno pennellato con arte, idea e intuizione una tela bianca. Che l’hanno trasformata in una storia. In una fiaba. In una raccolta di tracce, segni, impronte, mappe, solchi.

Colori appuntiti e intensi, che hanno tratteggiato strade… partenze… Arrivi… Incontri…attese…traguardi.

Si, abbiamo colorato una pagina importante del nostro album.

Noi siamo stati e siamo questi.

Sconosciuti che si sono conosciuti.

Abitanti di facebook che sono entrati nelle reciproche case e famiglie.

Punti lontani che si sono avvicinati talmente tanto da non poter più fare a meno di questa vicinanza.

Colleghi che sono diventati molto di piu:perché quando un’ingiustizia tocca qualcuno come te, la realtà comincia. E non è più il sogno infranto di uno solo.

Noi siamo stati “sogni infranti”.

Persone alle quale, dall’oggi al domani, hanno sfilato un’identità. Hanno tentato perlomeno di farlo. Lavoratori e lavoratrici che improvvisamente sono stati “appesi” in attesa di comprendere che cosa fare di loro. Donne e uomini che hanno voluto essere quello che sono, educatori professionali, senza improvvisare competenze e saperi ma costruendo la propria borsa degli attrezzi.

Così come fa ogni lavoratore nei confronti del proprio zaino di esperienza.

Noi siamo diventati Educatori Professionali.

E quando questa costruzione lenta, per nulla indolore, faticosa é stata presa a sberle e offesa, siamo diventati Educatori Professionali per l’equipollenza. Educatori professionali cioè per il nostro diritto negato. Per il nostro sogno infranto, Per il nostro colore oscurato.

Ci siamo presi per mano. 1000 persone. E abbiamo scoperto di essere potenti. Perché potente era la nostra visione. Perché potente era il nostro sentire.

C’è solo la strada

su cui puoi contare

la strada è l’unica salvezza

c’è solo la voglia e il bisogno di uscire

di esporsi nella strada e nella piazza.

Perché il giudizio universale

non passa per le case …

Cantava un Gaber d’antan in pieni anni settanta, cantava l’urgenza di partecipare alla vita,  così differente da un’attuale e  ben più diffusa attesa del giudizio universale digitando messaggini su uno smatphone.  Una partecipazione alla cosa pubblica fatta di rassicuranti like che non impegnano, di affrettate e poco ragionate invettive telematiche, schieramenti partigiani dell’una o dell’altra parte fondati sul niente, tutto purchè si possa chiudere la schermata e passare ad altro in un attimo. Una partecipazione fragile sterile povera di consapevolezza, capacità critica ma anche di strumenti, di lotta si sarebbe detto un tempo con parole precise ma che ora hanno perso il loro significato.

Ciò che è successo in questi mesi può essere paradigmatico della forza e della centralità che possono assumere il lavoratori del mondo della Educazione e per estensione gli operatori del sociale. Categorie marginali nelle lotte sindacali, spesso snobbate dalla politica. Private del giusto riconoscimento economico e giuridici in molti contratti collettivi di lavoro; esposte alle logiche degli appalti al ribasso ed alla intermittenza degli incarichi; soggette a rischi di malessere professionale e burnout: spesso in assenza di adeguate supervisioni, manutenzioni dei processi educativi. Ma bisogna fare un passo indietro e tornare più o meno a inizio estate, quando gli EP post 99 hanno avuto la amara sorpresa di apprendere che il loro titolo non era equipollente alla laurea abilitante per l’esercizio della professione. l’Istituzione del nuovo albo all’interno di un ordine multiprofessionale sanitario creava un solco: tra “adatti” e “non adatti”. Ed in questa seconda categoria confluiva anche il fiume degli educatori laureati in Scienze della Educazione. La professione nel nuovo quadro vedeva cristallizzarsi una sorta di balcanizzazione già in essere, sottotraccia, da decenni. Le nuove novità di legge per molti educatori non portavano sicurezza e riconoscimento economico: al contrario generavano ansia per il proprio futuro e costituivano una nuova spesa non indifferente per chi tenuto ad iscriversi all’albo. È successo qualcosa di inedito ed inaspettato. La categoria degli educatori ha mostrato un nuovo protagonismo, dal basso. Senza la mediazione delle associazioni di categoria, vissute da molti come corporative

Ci siamo ritrovati, vittime di una banale ingiustizia, uno di qui buchi neri legislativi di cui è disseminata la nostra legislazione, una frase mancata, un decreto non attuato.. tutto tace per vent’anni e all’improvviso si rischia il posto di lavoro, la serenità  famigliare ma in fondo più di tutto si rischia  la dignità e in una vicenda di promesse mancate e notizie taciute la propria identità professionale ma anche personale.

Quale sia l’oggetto del contendere poco importa, unico ed irripetibile non assume un valore di paradigma ma  è stato solo  innesco, speriamo. Quello che qui interessa raccontare è una possibilità di reazione, di costruzione e ricostruzione di consapevolezza politica che per alcuni mesi ha visto rinascere il protagonismo in persone variamente distanti da ogni tipo di azione politica.

Ci siamo, faticosamente, trovati moltitudine e numero, in elenchi pieni di nomi ma vuoti di persone, di volti di storie,  accomunati solo dall’identico problema da affrontare, vittime di un’ingiustizia di cui si percepivano i contorni ma non la soluzione.

Attraverso la capacità di analisi giuridica, storico-sociale, del contesto. Attraverso la capacità di utilizzo reticolare dei social e dei nuovi media. Attraverso la capacità di fare lobbying sul mondo politico e sui diversi livelli istituzionali. Attraverso la capacità di incrociare l’attivismo sindacale, in particolare di USB e della CGIL- FP le due sigle che più si sono spese ( seppur con differenti impostazioni) a fianco Delle rivendicazioni degli educatori. Il comitato lombardo spontaneo degli educatori professionali post 99 per la equipollenza è stato il motore di questo processo. Non l’unico attore. Ma sicuramente quello che ha messo più in evidenza i caratteri di un nuovo protagonismo dal basso della categoria. Abbiamo scelto l’unico modo possibile, la piazza virtuale, l’agone che frequentavamo quotidianamente per cazzeggio e divertimento è diventata la “sezione di partito” è divenuto il tavolo delle discussioni infuocate, del progetto e dell’azione. Abbiamo fatto di un luogo sterilmente virtuale uno spazio fecondo.

Abbiamo approfondito e discusso, riso e imprecato , virtualmente, visti il meno possibile, non per spregio alla relazione ma semplicemente per l’impossibilità economica fisica e di tempo. Abbiamo dovuto imparare a conoscerci dietro le parole, misurare caratteri dal lessico utilizzato, da una faccina o dall’incrocio di like che disegnavano geografie di consenso e di orientamenti.

Ma, poi, dal mondo virtuale abbiamo dovuto confrontarci con la realtà, con una politica stupita dalla nostra partecipazione, quasi sorpresa dall’essere interrogata e punta sul vivo, stimolata e “stanata” nelle contraddizioni. Una politica così permeata da ritualità e convenzioni da necessitare di una traduttore. Ne abbiamo avuto bisogno, abbiamo avuto la necessità di qualcuno che ci facesse da mediatore culturale con e nei confronti della politica. Una medium che ci introducesse non tanto alle singole persone (consiglieri onorevoli senatori che fossero) ma che ci consentisse di immedesimarci nel loro sguardo nei loro meccanismi mentali nella loro modalità e mentalità Abbiamo trovato questa capacità nel sindacato ed in particolare in USB Milano, rintracciandovi qui una riserva di competenza e conoscenza politica e di strumenti  di cui eravamo privi.

Ora il quadro che esce dalla legge di bilancio, attraverso diversi provvedimenti, ha perlomeno “messo in sicurezza” l’edificio. Come sollecitato da diverse importanti sigle di enti gestori e del mondo Cooperativo. La equipollenza è stata ottenuta per gli EP regionali sino al 2005: occorre conquistarla anche per chi si è diplomato successivamente (molti in Regione Piemonte). I laureati Sde hanno conquistato la possibilità di lavorare in ambito sociosanitario e della salute limitatamente a interventi socio-educativi. Vi è una forma di tutela anche per chi ha lavorato per anni alla luce del sole pur privi di specifici titoli abilitanti. Ma molti nodi restano ancora aperti. Quelli già citati rispetto ai riconoscimenti contrattuali, il riconoscimento per tutti gli educatori del lavoro usurante ai fini pensionistici, la supervisione obbligatoria con costi a carico degli enti, la armonizzazione dei percorsi formativi e molto altro ancora. Questi temi potranno essere affrontati con successo se il mondo della politica e delle rappresentanze sociali, associative, sindacali, datoriali, saprà interfacciarsi al nuovo protagonismo dei lavoratori della educazione. Sull’esempio dei Mille di garibaldina memoria auspichiamo una unità dal basso della categoria, che attraverso pratiche narrative ed autoriflessive sappia preparare il terreno per nuove conquiste. E per un rinnovamento complessivo del welfare.

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