La vertenza Italpizza è scomoda, non solo per l’azienda stessa che si vede costretta ad affrontare le rivendicazioni dei suoi lavoratori, ma anche per tutte quelle realtà locali che le gravitano attorno.
La campagna elettorale del Pd è stata in parte finanziata da Italpizza, che in cambio ha ricevuto la variante al piano regolatore per ampliarsi su terreni verdi adiacenti allo stabilimento, oltre che l’esplicito appoggio politico durante i mesi di sciopero, in funzione anti-cobas. Insomma è in parte coinvolto tutto il sistema-Modena, costituito da cooperative, industriali, partiti, istituzioni e criminalità, che sta cercando di imporre questo nuovo modello di sviluppo: sostituzione dei contratti nazionali con i parametri del contratto multiservizi, la presenza sempre più evidente e ingombrante di cooperative (legacoop e confcooperative) e del loro seguito politico e della criminalità organizzata e infine l’uso della violenza da parte delle forze dell’ordine per reprimere ogni tipo di protesta.
Il tutto trova appoggio nei decreti sicurezza 1 e 2, emanati dal ministro degli interni che, rendendo punibile penalmente il blocco stradale, hanno sostanzialmente reso illegale scioperare, militarizzando le vertenze e rendendo sempre più massiccia e violenta l’azione delle forze di polizia. Non dimentichiamo inoltre lo “Sblocca Cantieri” che assicura grandi libertà a chi gestisce appalti e sub-appalti.
Una situazione non certo ideale per i lavoratori che lottano per un salario giusto e orari di lavoro meno flessibili. Rivendicazioni non questionabili: inizialmente dipendenti diretti con contratto alimentare, i lavoratori vengono appaltati a cooperative con un contratto multiservizio che diventa infine un contratto pulizie con conseguente compressione del salario. I turni di lavoro sono comunicati giorno per giorno e variano continuamente, vige l’obbligo di lavorare nei giorni festivi e l’eventuale indisponibilità a prestare servizio aggiuntivo il sabato o la domenica si traduce in ritorsioni sulle ferie o in sospensioni non retribuite.
Un linguaggio abituale per l’azienda, quello delle ritorsioni e delle minacce, che sono ricadute sul primo gruppo che si era rivolto al sindacato di base S.I. Cobas, tre persone vengono licenziate mentre le rimanenti dieci vengono trasferite in altri cantieri.
Così inizia il primo sciopero, e da subito l’atteggiamento delle forze dell’ordine è chiaro, gas Cs e manganelli per sciogliere il picchetto. Nonostante questo, la determinazione è tanta e da un primo gruppo di 13 si passa a 10 e l’11 dicembre arriva la prima vittoria: reintegro di tutti e 13 al proprio posto. Ma dopo il primo ciclo di scioperi tutti gli iscritti vengono demansionati e obbligati a condizioni di lavoro pericolose.
La protesta continua, così come continuano le continue violenze da parte delle forze dell’ordine. Una lavoratrice finisce in ospedale per una manganellata in pancia, a un rappresentante sindacale vengono rotte quattro costole, un delegato viene strangolato dai carabinieri dietro una camionetta “ti conosciamo, stai attento che fai una brutta fine”.
Gli operai sono continuamente feriti e minacciati dalle forze dell’ordine. Arresti giustificati da presunte aggressioni dei manifestanti di cui però non vi è traccia nelle immagini provenienti da via Gherbella, dove c’è lo stabilimento.
Decine e decine di violente cariche sul picchetto pacifico ai cancelli, con feriti, contusi, intossicati dai gas al cianuro usati dalla polizia, arresti e denunce si aggiunge l’attentato di stampo mafioso contro un delegato sindacale, a cui viene incendiata l’automobile sotto casa. Gli episodi sono numerosi e si susseguono uno dopo l’altro senza suscitare eccessivo scalpore, nonostante le denunce del sindacato sui continui abusi di potere, pestaggi e minacce contro operai e rappresentanti sindacali, dimostrando la reticenza delle istituzioni riguardo la questione.
La trattazione è impedita dal rifiuto dell’azienda di sedersi a un tavolo col S.I. Cobas, disertando anche il tavolo chiamato dal ministero del lavoro a Roma. La situazione peggiora con la disgregazione del fronte comune con la Cgil, che apre un tavolo Cgil-Cisl-Uil e Italpizza escludendo così una parte dei lavoratori dal tavolo della trattativa. Si arriva infine il 17 Luglio ad un accordo deludente ma che sancisce la legittimità e la correttezza delle rivendicazioni promosse dal sindacato. Accordo in cui, però vediamo i confederati fare quello che sanno fare meglio: appropriarsi di un merito che loro non è, spostando l’asticella della trattativa al ribasso a spese dei lavoratori, per non offendere l’amico padrone e l’amico PD.
La trattativa è stata aperta dopo che il Si Cobas ha coordinato un tavolo di lavoro tra diverse realtà militanti (Potere al Popolo, Modena Volta Pagina, Non Una di meno Modena, Iskra cdoc, Casa Spartaco…), che hanno collaborato per lanciare una grande campagna di boicottaggio di Italpizza. Questa campagna trova il suo coordinamento nella pagina facebook Sciopero Italpizza, grazie alla quale, per citare un caso emblematico, si è riusciti a convincere Amnesty International a rifiutare la sponsorizzazione di Italpizza per il Festival “Voci per la Libertà”.
La lotta che si gioca davanti ai cancelli di Italpizza non è rilevante solo per gli interessi dei dipendenti in sciopero, ma anche per la sua valenza simbolica, ovvero il rifiuto di un modello di produzione che trae vantaggio dallo sfruttamento dei lavoratori e che trova appoggio nelle istituzioni politiche, anche quelle che si dichiarano democratiche e di “sinistra”, e il rifiuto delle modalità di repressione della protesta, in cui la cruda violenza è ormai la prassi. Un modello che si ripete in altre realtà modenesi e non solo, da tutta Italia arrivano notizie scoraggianti, da Prato veniamo a conoscenza dei ripetuti agguati avvenuti alla Gruccia Creations contro gli operai in sciopero, del picchetto rimosso a forza dalla polizia davanti alla tintoria dl e di fatti simili accaduti contro i manifestanti del panificio toscano. Questi sono solo alcuni esempi delle modalità di repressione degli scioperi che stanno prendendo sempre più piede in Italia e che trovano sempre meno dissenso da parte dell’opinione pubblica. Per questo motivo, per impedire che tutto ciò diventi la normalità e che i lavoratori siano costretti al silenzio, la battaglia di Italpizza deve continuare fino a quando non saranno garantite condizioni di lavoro accettabili.
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