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La vita di un operaio per l’Inail vale 1.900 euro

Non si sarà vergognato perché esistono delle tabelle fissate dalla legge, scritta da gente che non ha mai corso il rischio di morire se non di eccessi goderecci (ci scorrono davanti agli occhi, mentre scriviamo, le immagini dei festini del Pdl laziale; ma nel parlamento dei “nominati” lo spettacolo non è stato dei migliori, negli ultimi 20 anni). E quindi si sarà detto “sto solo obbedendo agli ordini”. O peggio ancor “in fondo io sono solo uno che qui ci lavora, che cosa posso mai fare?”.
Qui sta la differenza tra uomini e no. Un uomo, di fronte alla mostruosità che doveva portare la sua firma, si sarebbe fermato, avrebbe interrogato criticamente i suoi superiori; e infine si sarebbe rifiutato di mettere il proprio nome in calce a un’infamia. Non gli sarebbe successo nulla di grave, nessuno l’avrebbe licenziatoper questo gesto. Non l’ha fatto.
L’episodio è di una gravità incommensurabile, al di fuori di ogni immaginazione. Persino Il Sole 24 Ore, organo di Confindustria, ha avuto un moto di orrore. Almeno questo…

Terremoto, risarcimento beffa all’operaio morto sotto le macerie

Quanto vale la vita di un uomo di 35 anni, morto sul lavoro, mentre sostituiva un collega? Un uomo che non era sposato, non aveva figli e abitava con i genitori? La risposta: 1.900 euro (ossia il rimborso, e anche parziale, delle spese funerarie) è arrivata dall’Istituto nazionale contro gli infortuni sul lavoro ai genitori di Nicola Cavicchi, l’operaio di San Martino, in provincia di Ferrara morto sotto le macerie della Ceramica Sant’Agostino nella notte dello scorso 20 maggio: la notte della prima scossa del terremoto d’Emilia.
Cavicchi è uno dei 4 operai morti nel sisma del 20 maggio (con lui morì anche un collega alla Sant’Agostino). Nella scossa del 29 a morire furono altri 11 operai più un titolare d’azienda e un ingegnere chiamato a fare un sopralluogo a un capannone.
Se è vero che la vita non ha prezzo la morte, almeno per legge, ne ha uno. A farlo, lasciando stare le assicurazioni private, è (almeno per chi è morto lavorando) l’Inail. L’istituto a cui, scorrendo col dito le varie voci delle buste paga, vengono versati contributi a tutela dei dipendenti. Il valore della vita di questo giovane l’Istituto lo ha calcolato tenendo conto del fatto che morendo non ha lasciato una famiglia: non aveva figli e moglie da mantenere, ma viveva con i genitori. Risultato: 1.900 euro.
Ma per la famiglia questi due zeri dopo un 19 sono troppo pochi e sono moralmente inaccettabili per la famiglia. Così ieri Bruno Cavicchi, il padre dell’operaio, ha incontrato Oreste Tofani, presidente della Commissione di inchiesta del Senato che si occupa proprio di infortuni sul Lavoro. A lui ha raccontato di quell’assegno, a lui ha chiesto spiegazioni per poi lasciarsi andare a un comprensibile sfogo: «Ai familiari delle persone morte sul lavoro non spetta nessuna somma di denaro se il parente deceduto, in questo caso mio figlio, non contribuisce al sostegno della famiglia».
Ora Bruno Cavicchi sta pensando di chiedere udienza al prefetto di Ferrara e consegnargli quell’assegno: «Con quei soldi non ci abbiamo pagato neanche i santini distribuiti il giorno del funerale di mio figlio».

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