Il taglio a sorpresa dell’outlook sul rating dell’Italia, modificato da Standard & Poor’s da “stabile” a “negativo” dopo quasi cinque anni in cui era rimasto invariato, domani, lunedì, dovrà fare i conti con la riapertura dei mercati finanziari. Peserà infatti un cambiamento delle prospettive a medio-lungo termine; il che implica più del 30% di possibilità che il rating sovrano italiano venga retrocesso nei prossimi 24 mesi.
Va sottolineato come, di per sé, scendere di un gradino dalla A+ alla A non sia una tragedia. L’Italia resterebbe un debitore poco rischioso per i cosiddetti “investitori” se anche il declassamento dovesse verificarsi; ma il fatto che crea dubbi, incertezze e incognite è che la rating action di S&P ripropone “il caso Italia” all’attenzione del mercato, affiancandolo alla già lunga lista di fonti di vulnerabilità di una stabilità finanziaria giù piuttosto ipersensibile a ogni stormir di foglia. Il rischio defalult per i conti pubblici greci, l’arresto di Strass Khan e il conseguente vuoto ai vertici del Fondo Monetario in una fase critica della crisi del debito europeo, le elezioni amministrative in Spagna in un clima di alta tensione sociale con il pericolo dell’emersione di nuovi “buchi” oltre a quelli bancari delle casse di risparmio.
Il “declassamento” del rating italiano non può ora far altro che rafforzare una tendenza già in atto da qualche settimana e che ha visto il riallargamento dello spread tra gli stati europei più forti (Germania e Francia) con i paesi periferici (Grecia, Portogallo, Irlanda) e quelli semi-periferici a rischio Pigs (Italia, Belgio, Spagna).
Ma le valutazioni di Standard & Poor’s non convincono l’economista progressista statunitense Paul Krugman, il quale in una intervista sul Mattino di Napoli afferma che: “l’Italia ha un debito pubblico molto elevato, anche prezzi e salari sembrano sopravvalutati, ma ha una situazione sul versante del deficit sicuramente migliore rispetto a quella di altri Paesi. E non mi sembra presenti problemi di finanziamento nel settore privato. Spagna e Irlanda hanno dovuto salvare le loro banche, in Italia il sistema del credito è rimasto solido. Insomma: non vedo nessun peggioramento, non mi dà l’impressione che possa entrare nell’area della crisi. Semmai il suo problema è che continua ad avere una economia piuttosto debole perché non è competitiva sul piano dei costi. Voglio solo dire che sul versante dei conti pubblici la situazione italiana non è affatto peggiorata’”.
A fronte del “combinato disposto” tra agenzie di rating e speculatori finanziari, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha già riaffermato gli impegni presi con l’Unione Europea, confessando che la manovra finanziaria del governo potrebbe essere di ben 40 miliardi di euro (come avevamo denunciato du questo giornale settimane fa) e non di 24-25 miliardi. Il problema è che questa ulteriore mazzata sociale andrebbe avanti anche in caso di crisi del governo Berlusconi. L’eventuale caduta dell’esecutivo potrebbe aumentare lo spread con i titoli di stato tedeschi ed eccitare gli speculatori, ma non fermerebbe la tabella di marcia delle lacrime e del sangue che l’Unione Europea e la classe dominante ha deciso di spremere ancora dai lavoratori e dalle famiglie per bruciarle nella fornace del pagamento del debito pubblico. Serve un miracolo? No. Servirebbe un bel pò lotta di classe, dal basso in questo caso, che rendesse il costo del non pagamento degli interessi del debito pubblico agli speculatori più alto del suo pagamento.
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