I consigli che il vecchio analista Martin Wolf gli invia sono per molti versi illuminanti. A cominciare dalla prima considerazione: “la strada ordossa porta al fallimento”. E’ la strada seguita (fino a un certo punto) dal predecessore Jean-Claude Trichet e imposta dalla Germania.
Ma è notevole anche una seconda osservazione: in assenza di un banca centrale che funzioni come “prestatore di ultima istanza” gli stati della Ue di fatto “si finanziano in moneta straniera”. Un altro dei “bachi strutturali” della scriteriata costruzione dell’euro e della Bce (inchiiodata per statuto e ideologia alla sola “lotta all’inflazione”).
L’invito è quindi a “favorire la crescita”, non “l’austerity perenne”. Un po’ keynesiano, certo, ma indicativo dei dubbi che serpeggiano nelle teste pensanti del capitalismo europeo senza più bussola certa.
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Caro Mario, congratulazioni e condoglianze:la prossima settimana Lei assumerà uno degli incarichi più importanti delle Banche centrali nel mondo, ma dovrà anche accollarsi una responsabilità pesantissima. Solo la Bce ha il potere di spegnere l’incendio che divampa nella zona euro.
Lei dovrà scegliere fra due strade: quella ortodossa porta al fallimento, quella non ortodossa dovrebbe condurre al successo. La zona euro deve fare i conti con una serie di complesse sfide a lungo termine, ma gli Stati membri non avranno la possibilità di effettuare gli aggiustamenti necessari e di implementare le riforme richieste se non riusciranno a sopravvivere. Tra i requisiti immediati c’è: fare in modo che la Grecia imbocchi una strada sostenibile; evitare un tracollo dei mercati dei titoli di Stato per una serie di grandi Paesi; impedire il collasso delle banche. Gli ultimi due sono i più importanti.
L’economista che ha spiegato meglio il ruolo della Bce è Paul De Grauwe, dell’università di Lovanio. Perché, chiede De Grauwe, gli interessi sui titoli di Stato di molti grandi Paesi della zona euro sono più alti di quelli del Regno Unito, nonostante la situazione dei conti pubblici d’Oltremanica non sia affatto più rosea? In Spagna il deficit e il debito pubblico sono più bassi che nel Regno Unito, in Italia il rapporto debito/Pil è più alto, ma il deficit è molto più basso e in Francia il deficit è più basso, anche se il debito è leggermente più alto.
Di certo è sorprendente che i mercati mostrino meno scetticismo sulla solvibilità del Governo di Londra che su quella di altri Paesi. Non è perché gli anglofoni hanno architettato un ingegnoso complotto per distruggere l’euro: non sono così ingegnosi. Per sintetizzare in termini crudi la spiegazione alternativa che fornisce il professor De Grauwe: il problema è la Banca centrale, bellezza.
D’altronde, che cos’è che determina il prezzo del debito sovrano? I Governi non offrono nessun collaterale a garanzia, e i diritti sui proventi delle tasse sono una sicurezza illusoria. Facciamo l’esempio dell’Italia: il debito pubblico equivale al 120% del prodotto interno lordo, la durata media dei titoli di Stato è di sette anni e il disavanzo di bilancio è pari al 4% del Pil. Il Governo di Roma, dunque, ogni anno deve raccogliere sui mercati un quinto del Pil. Questo qualsiasi creditore lo sa. Supponiamo che i creditori temano che il Governo italiano non sia in grado di farsi prestare una somma tanto alta. L’Italia potrebbe sopravvivere tagliando la spesa pubblica? No. Se il Paese cercasse di estinguere il suo debito in questo modo dovrebbe tagliare la spesa pubblica di molto più di un quinto del Pil, dal giorno alla notte, perché basterebbe un tentativo del genere per precipitare il Paese in una depressione. Nessun creditore in possesso delle sue facoltà mentali può immaginare che un Paese sia in grado di rifinanziare il suo debito in una situazione del genere.
I mercati dei titoli di Stato si sorreggono a vicenda: la disponibilità a prestare denaro agli Stati dipende dalla percezione che anche gli altri siano disposti a farlo, ora e in futuro. Questi mercati sono esposti a crisi di panico che si autoalimentano e perciò hanno bisogno di un compratore di ultima istanza credibile: la Banca centrale. Il Regno Unito una Banca centrale ce l’ha. Gli Stati membri sotto la giurisdizione della Banca centrale no. Di fatto, si indebitano in valuta estera.
Naturalmente, gli Stati membri possono ridurre i rischi. Possono ridurre il debito e il disavanzo, anche se in realtà in Spagna, all’inizio della crisi, erano tutti e due più bassi che in Germania. Possono emettere titoli di Stato a lunga scadenza: nel XIX secolo, gran parte del debito pubblico del Regno Unito era costituito da obbligazioni irredimibili. Possono promettere rigore nei conti pubblici, anche se l’effettiva utilità di questa politica dipende dal risultato atteso: una promessa di austerity senza fine raramente genera credibilità.
Qualsiasi sforzo da parte della Bce per trasformarsi in quel prestatore di ultima istanza di cui gli Stati membri hanno bisogno scatenerà un fuoco di fila di proteste. Diranno che la Banca centrale potrebbe rimetterci, che si rischia di aggravare l’azzardo morale e di scatenare l’inflazione.
Per la prima di queste obiezioni, la risposta corretta è: e allora? Lo scopo di una Banca centrale è quello di stabilizzare l’economia di un Paese, non di fare soldi; anzi, ci sono molte più probabilità di perdere soldi con interventi titubanti che con interventi energici ed efficaci. Quanto alla seconda obiezione, bisogna avere una comprensione chiara delle regole che governano la politica economica e le politiche di spesa; e bisogna anche stabilire se un Paese è credibilmente in grado di rifondere il suo debito: l’Italia e la Spagna sicuramente lo sono. Per la terza obiezione, non c’è alcuna ragione valida per attendersi un processo inflattivo fuori controllo come conseguenza delle operazioni della Banca centrale. L’espansione della base monetaria non determina automaticamente un’espansione dell’offerta complessiva di moneta, come lei sa bene. Anzi, nel corso della crisi che stiamo vivendo, base monetaria e offerta di moneta hanno seguito strade differenti in tutte le grandi economie. E questo che significa una crisi finanziaria.
Supponiamo che la Bce riesca a stabilizzare in questo modo i mercati dei titoli di Stato: automaticamente stabilizzerebbe anche le banche, perché sono i timori di default degli Stati che sollevano preoccupazioni sulla solvibilità del sistema bancario. Il capitale necessario per proteggere il sistema bancario europeo da default su ampia scala di Stati importanti semplicemente non esiste. E particolarmente ridicolo presupporre che gli Stati sovrani possano fornire garanzie effettive contro l’ipotesi di una loro stessa insolvenza. Ma dato che non c’è alcuna ragione valida perché un’Eurozona ben gestita debba andare incontro a default di questo tipo, la risposta è che bisogna fermarli: alla fonte.
L’aggettivo non è scelto a caso. Un’Eurozona ben gestita è un’Eurozona che favorisce la crescita e promuove l’aggiustamento. Anche qui la Bce ha un ruolo centrale da giocare.
L’Eurozona nel suo complesso non ha subìto bolle speculative di proporzioni eclatanti, con conseguenti crisi finanziarie: queste bolle sono state limitate a qualche Paese della periferia. Nulla giustificava l’insorgere di una grossa recessione, con conseguente rallentamento della crescita. Ma la Bce ha consentito che il Pil nominale e l’offerta di moneta (teoricamente, il “secondo pilastro” delle sue politiche) restassero al palo. Nel secondo trimestre del 2011, il Pil nominale della zona euro era più alto di appena l’1,4% rispetto a tre anni prima. La moneta in senso ampio è cresciuta al tasso annuo composto di poco più del 2%, nei 36 mesi fino alla fine di agosto. E l’inflazione- il solo target rilevante quando i prezzi delle materie prime sono così instabili – è cresciuta al tasso composto dell’1,4% annuo nei 36 mesi fmo a settembre. Per chiunque abbia un po’ di buon senso, tutto questo è un chiaro segnale che la politica della Bce fino a oggi è stata troppo “tirata”. Se l’Eurozona vuole avere qualche speranza di aggiustamento con crescita, le cose devono cambiare, e subito.
L’Eurozona rischia un’ondata di crisi bancarie e dei conti pubblici. Il Fondo europeo per la stabilità finanziaria non è in grado di fare da argine, solo la Bce può farlo. E l’unica istituzione comune a tutta l’Eurozona, e in quanto tale ne ha il dovere. Ne ha anche il potere. Mi dispiace, Mario, ma Lei dovrà scegliere fra accontentare i falchi della moneta e salvare l’Eurozona. Scelga la seconda opzione, spieghi perché fa questa scelta e si ricordi: la fortuna aiuta gli audaci.
Suo Martin
(traduzione di Fabio Galimberti)
dal Financial Times (e da Il Sole 24 Ore)
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